lunedì 10 novembre 2014

Tenebre viola



L’anno scorso il simbolo di Fiorentina – Napoli fu il buon David Pizarro che in mezzo al campo al fischio finale mimò il gesto delle manette, a sottolineare l’esito di una partita giocata dai suoi come meglio non si poteva e diretta dall’arbitro come peggio era difficile fare. Quest’anno è impossibile non scegliere a simbolo di questa riedizione (che in sede di presentazione del campionato 2014-15 era stata presentata come lo “spareggio per il terzo posto”) il pessimo Iosip Ilicic che dapprima si toglie via dal braccio la fascia nera sbattendola a terra e poi – novello Batistuta – al momento di uscire dal campo risponde ai fischi assordanti del Franchi con il dito sulle labbra, a zittire tutti.
Peccato non fossimo al Nou Camp. Peccato che quella fascia nera fosse il simbolo di un lutto profondamente sentito dalla gente di Firenze, commossa e grata nell’ultimo addio a uno degli eroi del secondo scudetto, Giambattista Pirovano, spentosi proprio alla vigilia di questo sciagurato Fiorentina – Napoli.
Sono tante le cose che i prodi guerrieri in maglia viola si sono dimenticati di onorare, non soltanto la memoria di questo loro antico ex collega che da solo valeva quanto buona parte dei quattordici scesi in campo ieri sera messi assieme. Oltre al buon Pirovano, perlatro, c’era anche una vendetta sportiva – tanto per dirne una – da consumare rispetto alle ingiustizie sofferte proprio nella stagione scorsa contro questo stesso Napoli. Per non parlare di una tifoseria accorsa una volta di più a sostenere i propri beniamini “senza se e senza ma”, a dispetto di una classifica che non è ancora preoccupante (né potrà probabilmente diventarlo perché almeno tre squadre più impresentabili di questa Fiorentina vivaddio ci sono) ma sicuramente è mediocre nella maniera più desolante, per una squadra che si era presentata spezzando le reni nientemeno che al Real Madrid.
Stavolta il Napoli per “razziare” Firenze non ha avuto bisogno di arbitri compiacenti (Valeri e i suoi collaboratori sono stati impeccabili, pescando Higuain per esempio in un millimetrico fuorigioco nella prima delle sue due segnature, giustamente non convalidata), né delle sceneggiate di “Genny ‘a carogna” e compagni (con relativa latitanza e/o compiacenza delle cosiddette autorità). Si è potuto addirittura permettere di perdere Insigne nei primi minuti di gioco, per una contrattura muscolare abbastanza grave e non se n’è quasi accorto nessuno. Maertens non l’ha fatto rimpiangere, il Napoli ieri sera era troppo squadra rispetto alla Fiorentina per fermarsi “per così poco”.
Agli azzurri di Rafa Benitez è stato sufficiente essere schierati in campo con la saggezza di un allenatore che all’età del suo dirimpettaio già vinceva le Champion’s (vero, Milan?) e aver ritrovato forma fisica e determinazione che erano mancate all’inizio di questa stagione, insieme ad un Gonzalo Higuain in forma mondiale, quella che – per capirsi – aveva quasi fruttato all’Argentina un titolo mondiale ai danni della più forte Germania.
Di fronte a questa armata ricompattata, che non fa mai cose eccelse ma che difende in modo arcigno (orchestrata dal mai troppo poco rimpianto Christian Maggio) e riparte in contropiede in modo micidiale con i suoi attaccanti Higuain, Callejon e Maertens, è scesa in campo una Fiorentina che è sembrata più che in difficoltà tecnico-tattica momentanea. E’ sembrata decisamente alla fine di un ciclo, una volta di più.
Le due squadre, se si vuole, sono le stesse per organico della scorsa stagione, ma mentre il Napoli sembra aver trovato una dimensione di squadra più matura, mettendosi al servizio del suo micidiale goleador senza fronzoli né incertezze, la Fiorentina ha smarrito anche quelle sue poche, di certezze. Gli uomini che l’anno scorso avevano fatto la differenza, sopperendo anche all’assenza pesantissima di Gomez e Rossi, quest’anno sembrano ragazzotti allo sbando in un gioco più grande di loro.
Il resto lo fa un Vincenzo Montella che, dopo la parentesi felice di giovedi con il Paok, sembra tornato quello degli ultimi due mesi: in confusione mentale, oppure in polemica con una società a cui aveva chiesto altri effettivi che non questi con cui si ritrova, e con i quali non vuole o non sa più preparare le partite. Narra Radio Spogliatoio che il tecnico di Pomigliano d’Arco sia ai ferri corti ormai con lo staff dirigenziale viola, leggasi Mario Cognigni, il potente factotum di una proprietà che stenta a superare la propria estraneità rispetto al mondo del calcio. E’ probabilmente un film già visto, non molti anni fa, e c’è da chiedersi quando arriverà alle orecchie del successore di Cesare Prandelli la stessa fatidica frase: “si cerchi un’altra squadra”.
Se Montella però è in questo momento un condottiero allo sbando, i suoi uomini non lo aiutano con la loro condizione malcerta. Qualcuno mette sul banco degli accusati la preparazione estiva, fatta più sulle spiagge di Copacabana che sulle montagne delle Alpi e dell’Appennino come usava una volta. Ma è un alibi che non regge, anche le squadre che stanno davanti alla Fiorentina in classifica hanno preferito il fruscio dei soldi delle tournée estive al sudore delle corse in salita. Eppure adesso pedalano molto più veloce dei viola, anche senza prendere a pietra di paragone il più lento di tutti, quel Iosip Ilicic che perfino ieri per offendere la memoria di un morto glorioso che ha onorato la maglia da lui adesso indegnamente indossata e la platea che giustamente fischiava la sua inguardabile prestazione ci ha messo un tempo interminabile, tanto si muove al rallentatore.
Degli altri, non è che ci sia molto più da dire. Tolti i 10 minuti finali in cui il fiato del Napoli era un po’ calato e le residue briciole di orgoglio viola sono tornate a galla, la Fiorentina è stata tutta in un tiro da fuori di Babacar che ha scheggiato la traversa nell’agghiacciante primo tempo in cui gli azzurri potevano segnarne almeno quattro senza discussione, e in un colpo di testa di Mario Gomez che ha avuto la stessa sorte nella ripresa, poco dopo che i due portieri si erano esibiti in parate spettacolari (Neto su Higuain e Rafael su Cuadrado) e che il Pipita però aveva trovato il corridoio giusto portando finalmente in vantaggio i suoi.
Nell’Armata Brancaleone disposta da Montella indietro il solo Savic appare in crescita rispetto al passato, Tomovic pare tornato quello di Genova (sul gol di Higuain è andato a marcare Neto) e Alonso quello di Firenze un anno fa, mentre Gonzalo Rodriguez è uno dei fenomeni involutivi più clamorosi della storia del calcio a Firenze. In mezzo, Aquilani è costretto a fare il Pizarro anche quando c’è Pizarro, che comunque è meglio dell’attuale ectoplasma a nome Borja Valero (chissà se Del Bosque si fa ancora risate per gli appelli dei tifosi fiorentini prima dei mondiali). Per non parlare di Mati Fernandez, tornato giocatore da calcio a cinque come agli esordi viola.
In avanti, fuori il Vargas in forma smagliante di questo periodo a beneficio di un incomprensibile Ilicic (ma forse Cognigni & C. potrebbero dare qualche spiegazione di questa preferenza), con un Cuadrado in questo momento emarginato dal gioco di una squadra che trotterella e tocchetta (quando non è costretto a fare il terzino dalle buche lasciate dai compagni), le uniche note positive sono costituite da un Babacar che appare grandemente maturato, riuscendo quasi da solo a fare reparto, e da un Gomez che mostra di stare ritrovando una condizione accettabile, se Eupalla non lo fermerà di nuovo con qualche malanno.
La banda Montella contro il rasoio affilato di Benitez è apparsa alla fine di un ciclo, dicevamo. La scommessa di puntare su giocatori che avevano fatto un gran campionato (oltre che sul recupero di Pepito Rossi) aggiungendo solo alcuni rincalzi di presunta qualità si è dimostrata perdente. Probabilmente alcuni personaggi di questa Armata, che in casa non segna da quattro partite e che in undici partite ha fatto tredici punti perdendone già quattro e vincendone solo tre, hanno dato il massimo e adesso sono in fase discendente. Il giochino di Montella ormai tra l’altro lo conoscono tutti, e inoltre è apparso anche snaturato, a metà del guado tra il vecchio tiki taka e una velleitaria ricerca della profondità.
Senza Jovetic né Rossi e con Cuadrado atteso al varco da almeno due marcatori fissi (senza che nessuno dei suoi compagni sappia approfittare di questo raddoppio), le speranze viola di buttarla dentro sono affidate a quei due ragazzoni là davanti, il tedesco ed il senegalese. Sulle loro spalle sta il peso di portare in fondo questo campionato senza farlo diventare l’ennesimo, devastante anno zero.

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