lunedì 31 agosto 2015

DIARIO VIOLA: FIORENTINA, RITORNO SUL PIANETA TERRA



Non ce l’ha fatta la Fiorentina a terminare questo insolito mese di agosto senza sconfitte, anzi soltanto con quelle vittorie che avevano  travolto la tifoseria come in un film di Lina Vertmuller. Non ce l’ha fatta soprattutto a confermare quell’idea di squadra che aveva lasciato intravedere al suo allenatore ed al suo pubblico nelle uscite precedenti, allorché il risultato comunque aveva felicemente occultato alcune consistenti magagne.
All’Olimpico di Torino finisce l’imbattibilità (di breve durata) della squadra viola. E finisce forse – ma questo è francamente il male minore – il gemellaggio (anacronistico come tutti i gemellaggi) con i colori granata. Essere “anti” (nel caso specifico, avversi al colore bianconero) evidentemente non basta più. Marcos Alonso festeggia il bel gol del vantaggio viola e la sua inedita qualifica di capocannoniere della propria squadra più o meno come fanno tutti nel calcio moderno, con gesti e pantomime che ormai sono diventati consueti.
Ai supporters granata, che credevano di aver sopravanzato tecnicamente una Fiorentina rimasta sostanzialmente al palo della campagna acquisti e che invece si ritrovano bruciati dal ceffone del gol lampo della squadra viola e soprattutto dall’incapacità di aggredire per tutto un tempo i suoi portatori di palla, la mimica dello spagnolo è un comodo pretesto per sfogare la frustrazione. L’Olimpico da quel momento fischia Alonso in ogni occasione in cui questi riceve la palla, fino al termine della partita. Bravo Sousa a non toglierlo per non assecondare immotivatamente gli umori ferini di quel pubblico. Resta il fatto che forse d’ora in avanti c’è un motivo in più per scegliersi i cosiddetti amici in maniera più avveduta, fermo restando che chiunque doverosamente continuerà a commemorare la Tragedia di Superga ad ogni suo avversario.
Ma parliamo del presente, che finalmente incombe anche nel risultato oltre che – è il caso di dire – nel gioco. Prima e dopo il gol di Alonso, propiziato da una delle poche cose buone fatte da Borja Valero in questa partita e dallo sfortunato colpo di testa troppo centrale di Kalinic sul portiere Padelli su cui si avventa con classe e freddezza il novello goleador viola, la Fiorentina ha buon gioco a mettere nell’angolo un Torino che, come il Milan una settimana fa, arrivava allo scontro diretto accreditato di una presunta superiore e sontuosa campagna acquisti e che invece si presenta più o meno come il Grande Nulla, per usare un termine caro alla letteratura fantasy.
Per 25 minuti lo stadio granata ribolle di frustrazione a vedere i propri eroi rinunciatari perfino ad andare a pressare i portatori di palla dei gemellati avversari, per paura di subirne il contropiede. Kalinic dimostra di avere qualche numero, velocità e tenuta di palla, e lascia supporre che se servito a dovere – magari in un futuro non tanto remoto – qualche soddisfazione ai suoi tifosi finirà per darla.
Tra i suoi compagni, il gioiello Bernardeschi ha lasciato il posto per scelta del tecnico all’altro gioiello Mati Fernandez, mentre più indietro Suarez ha preso il posto a Badelj. Entrambi fanno poco o nulla per guadagnarsi lo stipendio. Molto meglio un Ilicic dalla vena ritrovata e dalla velocità di esecuzione leggermente incrementata, mentre per almeno venti minuti Borja Valero illude di essere tornato quello dei suoi ormai lontani esordi in viola.
Fatto sta che la Fiorentina mette sotto il Torino per un tempo, anche se sono i granata ad avere le migliori occasioni da rete ed è Tatarusanu a superarsi per sventarle, soprattutto su Quagliarella che ambisce a confermarsi pericolosissimo ed avvelenatissimo ex. Questo la dice lunga sul gioco viola, che qualcuno battezza come completamente cambiato dai tempi di Montella. In cosa, nello specifico, non è dato sapere, perché sia nel momento migliore che in quello peggiore la Fiorentina dimostra di prediligere la fitta trama di passaggi laterali, giravolte e rarissime verticalizzazioni che resero celebre il predecessore di Paulo Sousa su questa panchina.
Senonché, gli interpreti attuali del gioco viola sembrano un gradino al di sotto di quelli che non ci sono più, per un motivo o per l’altro. E alla fine, calato il fiato, il momento peggiore inesorabilmente arriva. Dopo aver corso un rischio assurdo nei secondi finali del primo tempo, in controllo assoluto del pallone e del risultato, la Fiorentina si ripresenta in campo nella ripresa con la chiara intenzione di trotterellare fino al novantesimo.
Il giochino le era riuscito con il Milan, e avrebbe potuto essere riproposto con successo anche in questa seconda giornata se l’ineffabile Tagliavento avesse concesso un rigore abbastanza poco discutibile su Kalinic, come da prima intenzione poi rimangiata su segnalazione del guardalinee. Ma tenere l’1-0 senza cercare più il raddoppio e senza avere a centrocampo palleggiatori robusti e di sicuro affidamento sul pressing granata che lentamente comincia a farsi assiduo ed insistente è evidentemente un’impresa al di sopra di questa Fiorentina a cui il fiato e la concentrazione non reggono novanta minuti.
Al ventiduesimo della ripresa si assiste al primo gol dell’ex, che vale il pareggio del Torino, di una squadra cioè che fino a quel momento era apparsa assolutamente inconsistente. Emiliano Moretti, ex giovane viola che vide naufragare le sue promesse nel crepuscolo e nell’agonia di Cecchi Gori, beneficia di una surreale disposizione a peracotta della difesa fiorentina. Tra un nugolo di maglie bianche bordate di viola Moretti ha il tempo di coordinarsi in una splendida veronica che fulmina l’incolpevole Tatarusanu.
E’ chiaro che non è finita qui. Un minuto dopo una Fiorentina che ha sostituito lo stato di shock a quello di torpore si fa uccellare dal fulmine Quagliarella, che va a segnare un gol formidabile in fotocopia a quello subito sempre dai nostri eroi da Tevez nella scorsa stagione sempre qui a Torino, sponda bianconera. Come dire, certe cose non cambiano mai.
Non è ancora finita. L’ex obbiettivo di mercato Baselli, nella prateria inpresidiata che è la trequarti viola, ha il tempo di prendere la mira e caricare un destro da fuori area che sorprende l’ancor incolpevole e sempre più infelice Tatarusanu.
3-1 e tutti a casa. Inutili gli ingressi di Bernardeschi e del redivivo Giuseppe Rossi, al quale bastano paraltro un paio di giocate delle sue per prendere più calci di punizione dal limite dell’area avversaria del resto della sua squadra in tutta la stagione scorsa. E per far vedere la differenza tra un giocatore di calcio vero e quelli che sta comprando, o tentando di comprare, la Fiorentina.
E’ arrivato Verdu, e il bilancio va sempre più su, cantano alla fine amareggiati i pochi tifosi trascinatisi fino a quassù speranzosi. Ce n’erano di più venerdi a vedere gli allenamenti a porte aperte. E’ il grande cuore di Firenze. Che ancora – va detto – non ha saputo o potuto trovare braccia adeguate, né troppo corte né troppo lunghe.
Oggi finisce il calciomercato. Se Dio vuole.

lunedì 24 agosto 2015

DIARIO VIOLA: Il Diavolo non è brutto come lo dipingono



Alla fine si gioca. Il calciomercato più destabilizzante della moderna storia viola lascia il posto all’avvio di un campionato da X, intesa come incognita. Si parte al buio, non v’è certezza di chi saranno le dominatrici della classifica (e infatti i campioni in carica della Juventus rimediano subito un sonoro ceffone a domicilio dall’Udinese, e la Roma che ambirebbe a finire da campione la stagione in corso si salva a fatica in quel di Verona e la cosa più notevole della sua prestazione è la prima “stecca” del Messi d’Egitto, che forse stamattina i tifosi viola rimpiangono un po’ meno).
Non v’è certezza nemmeno su questa Fiorentina e questo Milan, che cominciano misurando rispettive forze ed ambizioni. Sono due debuttanti al primo ballo, due absolute beginners. Un po’ meno i viola che però hanno al timone un nuovo condottiero, l’imperturbabile Paulo Sousa. Un po’ di più il Diavolo che ha cambiato (e speso) molto. Un solo precedente, alla prima giornata del campionato 1977-78 finì 1-1 al Comunale di Firenze. Stop alle rimembranze, chi ha l’età sufficiente ricorda e non potrà mai dimenticare quel campionato e come finì. Qualcuno se lo risogna ancora la notte, come l’esame di maturità.
Stavolta pare di poter dire che la storia sarà diversa. Le squadre che scendono in campo al Franchi forse non sono esattamente quelle che alla fine si stringono la mano sul 2-0 per i viola, è presto per un verdetto definitivo. Ma di sicuro non sono destinate a ripetere (nel bene il Milan, nel male la Fiorentina) quell’ormai lontano campionato.
Diciamo subito che tutto gira per il verso giusto alla squadra viola. La fortuna aiuta l’audace Paulo Sousa, che al fischio d’inizio spiazza tutti mandando in campo una formazione diversa da qualsiasi pronostico. In tribuna il caso del giorno Joaquin, vero o diplomatico che sia l’infortunio annunciato alla stampa. In campo una formazione quasi montelliana nelle caratteristiche di gioco individuali e collettive, anche se dall’atteggiamento tattico ben diverso. Spazio al redivivo Roncaglia, che ci sarà tempo e modo per benedire come l’unico terzino vero in dotazione a questa squadra. Spazio a Marcos Alonso che ripagherà la fiducia segnando un gol su punizione che nemmeno Maradona, e annacquandolo subito con un paio di cappellate agghiaccianti, che avrebbero potuto costare care al cospetto di una squadra più registrata del Milan attuale, che davanti presenta il solo, isolatissimo e tristissimo Carlos Bacca. Stasera poca gloria per lui, che qui aveva fatto sfracelli pochi mesi fa con il Siviglia.
Spazio a Gilberto, che qualcuno ha già chiamato il nuovo Cafù, e qualcun altro ha già battezzato per quello che è, ala e non terzino. Speriamo che per capirlo non ci voglia il tempo che occorse a Prandelli per la riconversione di Vargas. Su tutto ciò veglia il solito superbo Gonzalo Rodriguez, avviato a diventare l’unico vero fuoriclasse di questo scorcio viola.
Più avanti, in quella zona che si definisce centrocampo e che era stata la più disastrata dalla campagna cessioni di Cognigni & soci, esce fuori un trio assortito tra un Borja Valero un po’ più arretrato, un Badelj che non si pesta più i piedi con il mostro sacro Pizarro ed un Ilicic che nessuno si sogna più di inventare come falso nueve. Da trequartista finalmente sbaglia gli stessi gol già fatti del passato ma svaria molto di più su tutto il fronte d’attacco. Il rigore trasformato con classe e freddezza gli rialza il voto abbassato dalla ciabattata a tu per tu con Diego Lopez.
Un altro che ciabatta dalla stessa posizione è il prode Kalinic, al quale evidentemente l’emozione dell’esordio gioca un brutto scherzo. Sarebbe stato bello segnare al Franchi alla prima occasione, non è andata così e non facciamogliene una colpa, aspettiamo di rivederlo nelle prossime occasioni. Nel frattempo si nota come il croato sia capace di difendere palla e scattare in avanti in maniera micidiale. Ne sa qualcosa Rodrigo Ely che graziato una prima volta da Valeri alla fine guadagna anzitempo gli spogliatoi portandosi quasi con se il protestatario Bonaventura.
Per il baby Diavolo è una mazzata. Fino a quel momento Milan e Fiorentina hanno fatto quasi partita eguale, con leggera preferenza ai punti per i viola che si sono mangiati comunque un paio di gol. Il Milan non tira mai in porta in novanta minuti, ma nella prima mezzora si fa preferire per prestanza fisica messa in campo (la cura Mihajlovic mostra i primi effetti) mentre i viola sono superiori per tecnica e velocità. Il terminale offensivo stasera tuttavia non è forse all’altezza delle occasioni create, anche se Bernardeschi mette in mostra il talento che gli conosciamo ormai, ma soprattutto una intelligenza tattica notevole per la sua età.
In una ripresa in cui i suoi compagni intenderebbero di fare accademia anzitempo, con il Milan in dieci uomini ma determinato a rimontare lo striminzito 1-0 del primo tempo, è l’unico a spezzarne il gioco sulla tre quarti cercando e ottenendo falli preziosi che ridanno fiato ai suoi e lo tolgono agli avversari. Il contrario di quello che fa Alonso, e qualcun altro dei suoi Tatarusanu compreso, dall’altra parte. Certi disimpegni sconsigliati ai cardiopatici speravamo francamente di non vederli più.
Dopo un primo tempo gagliardo, nella ripresa la Fiorentina oscilla tra attendismo ed un ritorno saltuario di montellite, aspettando il Milan per lunghi tratti (almeno un quarto d’ora dopo il raddoppio di Ilicic su rigore) e poi tenendo palla senza affondare nel quarto d’ora finale, quando il diavolo non ne ha più e con un po’ di cattiveria gli si potrebbe fare ancora del male. Troppa leziosità, troppi tocchi (molto meglio Borja Valero, ma deve imparare a dare via la palla di prima, benedetto uomo), troppa ricerca – comprensibile – dell’assist per Kalinic.
Va bene così, per l’amor di Dio. Chiunque avrebbe messo la firma sotto un esordio vittorioso in questa misura contro un avversario che veniva accreditato – a torto o a ragione - di una caratura superiore a quella viola. E invece i ragazzini rossoneri sono rimandati alla prossima sessione d’esame, così come il loro allenatore che tornava a Firenze smanioso di comprensibili rivincite. Mentre quelli viola si godono una settimana di meritato respiro dopo aver regalato al proprio allenatore ed al proprio pubblico felicità e soprattutto maggiori certezze, in attesa di concludere nella Torino granata un agosto fatto di sole squillanti vittorie.
E’ presto per dire dove porta tutto questo. Vien da ripensare a quell’altro Fiorentina-Milan di tanti anni fa. E allora è già una consolazione non da poco sapere che quest’anno, a meno di imprevisti, il campionato della Fiorentina finirà con molti meno patemi Se poi, come si è affrettato a dichiarare lo staff dell’ACF Fiorentina al completo, “la squadra è a posto così”, lo sapremo presto.
Ben tornato campionato.

domenica 23 agosto 2015

L'Arma rottama il Comandante Ultimo

La notizia è passata completamente sotto silenzio. E c’è da credere anche che siano in pochi i cittadini di questa Italia distratta da vacanze che non conoscono crisi (ed ormai in connessione con se stessa soltanto tramite i rotocalchi del ventunesimo secolo, social network sempre più approssimativi se non deleteri come Facebook o Whatsapp) che ricordino o addirittura sappiano chi è Sergio De Caprio.
Eppure, se c’è qualcuno che ha meritato nella storia di questa disgraziata Repubblica il nome di “salvatore della patria”, o per lo meno della sua dignità – della sua “immagine”, come si dice adesso -, è stato proprio questo carabiniere che un giorno d’inverno di tanti anni fa fece quello che non si era mai ritenuto possibile. Catturò, nel paese che ha inventato la Mafia ed alla testa soltanto di un pugno di coraggiosi come lui, addirittura il Capo dei Capi.
Allora era più giovane, eravamo tutti più giovani. Ed anche speranzosi, dopo la “lunga notte della Repubblica”, come è stata chiamata da qualcuno. Era l’inizio di un anno nuovo dopo quello “horribilis” che aveva visto crollare la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite e della propria corruzione (niente comunque a confronto di quello che sarebbe venuto dopo con la Seconda e la Terza) ed aveva visto crollare addirittura lo Stato sotto i colpi delle bombe di Capaci e Via d’Amelio. Nel 1992 l’Italia era ridotta ad una Colombia, ad un Libano qualsiasi, con rispetto parlando. Nel 1992, secondo la celebre frase di Tomasi di Lampedusa, tutto stava cambiando affinché niente veramente cambiasse.
Dopo aver sepolto anche il giudice paolo Borsellino, una parte di questo Stato ridotto ad un relitto alla deriva chiamò a raccolta le sue residue energie migliori. Il colonnello dei Carabinieri Mario Mori incaricò un giovane ufficiale dell’Arma di mettersi alla testa di una unità appena costituita appositamente (dal nome fortemente evocativo, CRIMOR) di dare la caccia e catturare il capo supremo di quella banda di Corleonesi che incredibilmente – ma neanche tanto – aveva messo in ginocchio una nazione.
La CRIMOR doveva combattere il crimine organizzato in silenzio, con pochi mezzi. E doveva ottenere risultati presto e bene, altrimenti il Belpaese quella volta non ce l’avrebbe fatta, dopo essere sopravvissuto ad altre crisi epocali come l’8 settembre e Via Fani – Via Caetani. Il giovane ufficiale, un militare (allora l’Arma faceva parte dell’Esercito e i suoi quadri uscivano dall’Accademia Militare di Modena) completamente fuori dagli schemi che tuttavia si era già distinto per coraggio e capacità, divenne famoso dopo quel fatidico 15 gennaio 1993 con il suo soprannome parimenti fortemente evocativo di Capitano Ultimo.
Come ha raccontato magistralmente Maurizio di Torrealta nel suo celeberrimo e ormai quasi dimenticato “L’uomo che arrestò Totò Riina”, De Caprio era un ammiratore degli Indiani d’America. La sua CRIMOR fu organizzata come una banda di apaches supertecnologici che compivano incursioni in un territorio in grandissima parte controllato da un esercito nemico, quello dei Corleonesi. Scelse di chiamarsi Ultimo perché fosse chiaro che non si considerava un eroe o un privilegiato, ma piuttosto l’ultimo dei servitori di questo Stato. L’ultimo e – aggiungiamo noi – il più bravo ed il più meritatamente fortunato.
Dall’estate 1992 al 15 gennaio 1993, la squadra di Ultimo scoprì due cose: che il Capo dei Capi aveva sempre vissuto indisturbato nel centro di Palermo (da cui faceva la spola senza problemi verso i suoi possedimenti corleonesi); e che il suo punto di forza – il mischiarsi senza problemi alla gente di Sicilia – era anche il suo punto debole. Lo catturarono in città a due passi dall’abitazione in cui soggiornava, come un clandestino qualsiasi. Un’operazione incredibile nella sua semplicità, per la quale tuttavia c’erano voluti una determinazione ed un coraggio senza precedenti nella storia repubblicana.
Per qualche anno dopo la cattura di Riina la storia di Ultimo, per quanto la sua identità fosse comprensibilmente secretata (la Mafia l’aveva condannato a morte al pari di quei Falcone e Borsellino a cui lui aveva reso giustizia), fu alla ribalta delle cronache. Il capo apache prestato all’Arma dei carabinieri affrontò Cosa Nostra sul terreno più e più volte. Poi, con l’attenuarsi delle luci della ribalta, arrivarono anche i “corvi” che avevano tradizionalmente rappresentato i temibilissimi avversari interni di chiunque aveva cercato di combattere seriamente il crimine organizzato.
Mario Mori
Mentre assieme al Colonnello Mori doveva discolparsi delle accuse infamanti del pentito Massimo Ciancimino, figlio di quel Vito che ormai tutti sanno essere stato uno dei principali referenti politici di Cosa Nostra in Sicilia, il Capitano Ultimo nel frattempo divenuto maggiore capiva che il suo tempo nell’isola era scaduto. Non per la condanna decretatagli dalle Cosche, ma per quella più subdola maturata contro di lui all’interno del suo stesso apparato, della sua stessa gente: la squadra che doveva difendere e ristabilire la giustizia.
Nel 2000, De Caprio chiese ed ottenne il trasferimento al NOE, Nucleo Operativo Ecologico. Di questa struttura era divenuto vicecomandante, con il grado di colonnello. Tanto per non smentirsi, per dirne solo una nel 2013 aveva partecipato all’arresto di Giuseppe Orsi presidente di Finmeccanica accusato di corruzione internazionale, concussione e peculato. La vicenda è quella della vendita di elicotteri al governo indiano. Il quadro, molti sostengono, è quello di un altro contenzioso con il paese asiatico che da tre anni tiene con il fiato sospeso quel che resta dell’opinione pubblica italiana. Interessi enormi, innominabili ed incontrollabili.
Probabilmente fu allora che, come il commissario Corrado Cattani della Piovra o come il Raul Bova che l’aveva così brillantemente interpretato sul piccolo schermo, il Comandante Ultimo fece un passo di troppo, quello oltre il quale non gli sarebbe stato consentito di andare.
Ecco quindi datata 4 agosto 2015 la lettera a firma del generale comandante dell’arma dei Carabinieri Tullio Sette con il quale viene disposta la sua rimozione da qualsiasi incarico operativo presso il NOE, pur mantenendogli l’incarico (puramente formale) di vicecomandante. “Normale avvicendamento strategico”, è stata definita questa disposizione dallo stesso Comando dell’Arma. Come dire, hai in squadra Leo Messi ed a partita (durissima e delicatissima) in corso lo sostituisci con un medianaccio da “palla o gamba”. E questo lo definisci un normale cambio tattico.
La notizia è trapelata soltanto il giorno 21, secondo lo stile di un paese dove le cose più strane, chiamiamole così, si fanno sempre mentre la gente è al mare (non che quando è in città stia più attenta a quello che succede e che la riguarda). Tutto cambia perché niente cambi davvero, come diceva il Principe di Salina nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
«Come soldati, come carabinieri, dobbiamo eseguire gli ordini anche quando a volte non si capiscono e non si condividono (….) Da Ultimo – si legge nella sua lettera di commiato al suo reparto – vi saluto nella certezza che senza mai abbassare la testa, senza mai abbassare lo sguardo e senza mai chiedere nulla per voi stessi, continuerete la lotta contro quella stessa criminalità, le lobby e i poteri forti che la sostengono e contro quei servi sciocchi che, abusando delle attribuzioni che gli sono state conferite, prevaricano e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere». 

Arrivederci Comandante Ultimo, e buona fortuna. C’è ancora una parte di questo sciagurato paese che si ricorda di dovere soltanto a lei ed a pochi altri il fatto di potersi ancora chiamare italiani senza vergognarsi. O almeno senza vergognarsi tropp­­o.

Sandro Mencucci, la verità su Salah

Torna a parlare Sandro Mencucci, consigliere di amministrazione della Acf Fiorentina e fino a poco tempo fa suo amministratore delegato. Lo fa a margine della presentazione della nuova Fiorentina femminile. L’argomento, inevitabile, è il tormentone dell’estate 2015, almeno per quanto riguarda il calciomercato viola.
E’ stato da pochi giorni ufficializzato – con transfert apposito dell’Uefa – il passaggio diMohamed Salah dal Chelsea alla Roma. Cancellato nella sostanza (nel diritto staremo a vedere, la Fiorentina non ha mai comunicato di aver deposto le armi legali impugnate non appena si è palesato il mancato ritorno a Firenze del Messi delle Piramidi) l’accordo di gennaio che stabilì il prestito ai viola dell’asso egiziano da parte della squadra londinese a cui in quel momento veniva ceduto il gioiello Cuadrado.
Prestito con diritto di riscatto, i Della Valle a giugno avevano addirittura versato il milione che doveva servire a confermare tale prestito, in attesa del riscatto definitivo a 18 che avrebbe dovuto avvenire l’anno prossimo. Quel documento, com’è ormai noto, portava la firma proprio del consigliere Mencucci, compresa la clausola (sotto forma di scrittura privata) che concedeva ad un evidentemente non troppo convinto Salah il diritto di veto sulla sua riconferma in viola anche per il campionato 2015-16. Inevitabile – all’esplodere del caso ai primi di giugno – per lo stesso Mencucci ritrovarsi nell’occhio del ciclone.
La vicenda che ha portato il cosiddetto Faraone a Roma resterà negli annali come la più incredibile e se si vuole assurda delle vicende contrattuali della storia viola. Dunque, il ragazzo si è già vestito di giallorosso dopo che l’Uefa gli ha concesso il transfert che lo sposta dalla corte londinese diMourinho a quella romana di Garcia. Nel frattempo, la Fiorentina ha continuato ad affermare categoricamente che Salah è suo e che se non può averlo lei non l’avrà nessuno. Il giocatore intanto da Trigoria ha fatto sapere di aver scelto lui, dopo che Mou gli aveva rinnovato la sua sorprendente disistima, e dopo aver visto la fine del regno di Montella in quel di Firenze.
Ecco dunque la verità di Sandro Mencucci e della stessa Acf Fiorentina che rappresenta. «Vederlo con la maglia della Roma non fa un effetto positivo, è segno che manca solidarietà tra le squadre. Ognuno fa i propri interessi, ma mi aspetterei maggiore collaborazione fuori dal campo».
L’accusa è evidentemente rivolta alla stessa Roma, che come in passato non si è fatta scrupolo di approfittare di un momento di difficoltà della Fiorentina per sottrarle un pezzo pregiato, facendolo per di più con uno stile quantomeno discutibile.
Mohamed Salah
Mohamed Salah
Il riferimento di Mencucci è altrettanto evidentemente a quel fair play invocato a tutti i livelli dai suoi datori di lavoro – i fratelli Della Valle – da quando hanno preso le redini della società viola. Un fair play, inutile dire, che non è mai stato ricambiato dalle altre società che fanno parte della Lega Calcio italiana. E’ indubbio inoltre che, come ha sottolineato anche Ulisse Savini, il mediatore di mercato che aveva favorito a gennaio l’arrivo di Salah a Firenze, «per l’ennesima volta abbiamo perso un’occasione di fare le cose fatte bene. E’ passata l’idea che tutto si può fare, che un giocatore può firmare un contratto e poi non presentarsi e andare ad un’altra società. In Italia facciamo finta che tutto sia normale (….) ci vorrebbe più solidarietà tra club. La Roma secondo me poteva fare qualcosa di diverso».
Tutto vero, tutto già apparso in varie repliche sugli schermi del grande calcio italiano. Tuttavia è altrettanto indubbio che la Fiorentina, per quanto corretta, abbia fatto per l’ennesima volta la figura dell’ingenua. Dell’unico Cappuccetto Rosso in un mondo di lupi. Sandro Mencucci, peraltro, è un professionista capace e avveduto, se ha posto la sua firma in calce a quel documento, è indubbio che non possono che avercelo spinto o le circostanze o i suoi datori di lavoro. Ricordiamo a tal proposito quanto esitò Salah a gennaio prima di venire a Firenze, dopo essere stato in trattativa con la Roma già allora. Ricordiamo il prezzo già fissato allora in 20 milioni di euro, per un giocatore che già alla prima partita aveva fatto peraltro dimenticare l’indimenticabile Cuadrado.
E’ probabile che per convincerlo gli sia stata offerta quest’arma con cui lui ha poi dato il benservito a quella società dove – a suo dire – aveva trascorso sei mesi ottimi. Anche se – va considerato – può averlo fatto a ragion veduta dopo gli eventi sconcertanti seguiti alla fine del campionato, dall’addio di Montella a quello di buona parte dei suoi ragazzi. Eventi dei quali evidentemente non siamo ancora alla fine, a giudicare del ritmo balbettante e più faticoso che mai a cui procede la campagna acquisti (chiamiamola così) della Acf Fiorentina.
Nel frattempo, a far dimenticare se possibile lo shock causato dall’affaire Salah è intervenuta la tragicommedia della presentazione di Milinkovic Savic, per finire con il preoccupante tamtam mediatico che vorrebbe un altro pezzo pregiato come Joaquin in procinto di salpare le ancore per far ritorno alla natìa Siviglia. Perdita che sarebbe tra le più incolmabili, a pochissimo tempo dall’avvio di un campionato già adesso in probabile salita.
Chissà che alla base di tutto quello che Firenze calcistica sta vivendo questa estate non ci sia la sconcertante rivelazione del collegio dei revisori dei conti viola. Dopo diverse stagioni in attivo – mosca bianca nel panorama pre-bancarottiero del calcio italiano –, la Fiorentina ha chiuso l’esercizio 2014 con un disavanzo di 37 milioni di euro. La circostanza sembrerebbe più episodica che strutturale, la contabilizzazione dell’operazione Cuadrado e della consistente riduzione del monte ingaggi arrivata a giugno incideranno infatti sull’esercizio in corso e non su quello ormai concluso. Tuttavia avrebbe indotto i Della Valle ad un ridimensionamento della loro esposizione economica nel calcio fiorentino.
Delle due l’una: o prestare fede alle rinnovate assicurazioni del fratello minore Andrea circa la volontà della famiglia marchigiana di continuare con lo stesso impegno nel calcio fiorentino stesso (non soltanto femminile ma anche maschile), o prestare fede ai rumors che vogliono il gruppo in fase di sganciamento da un mondo diventato per loro troppo costoso e sempre meno comprensibile (non soltanto quando si tratta di aver a che fare con Roma ed Inter).
A pochi giorni dal battesimo in campionato di fronte alle Tigri di Mihajlovic, ognuno scelga l’interpretazione che preferisce. O che teme di più.

giovedì 20 agosto 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: E INTANTO IL TEMPO SE NE VA....

15 agosto 2015



Arriva Nikola Kalinic dal Dnipro di Dnipropetrovsk e la novità è che si ferma, non prosegue per Roma o altre città che rivaleggiano con Firenze non solo per arte e prestigio. No, il ragazzo si ferma e soprattutto firma. Nella fattispecie, il contratto che ne fa un giocatore della Fiorentina per i prossimi anni. Finita l’era del crepuscolare Mario Gomez, comincia quella dell’ex promessa del calcio croato, che dovrebbe durare – se “carta canta” – addirittura quattro anni. Il buon Nikola arriva a titolo definitivo. Se si vuole, un’altra grossa novità di questa estate viola che ci stava abituando a sentir parlare (molto) e concludere (poco) soltanto di prestiti.

Buffa la vita, e il calcio che ne fa parte. Due anni fa la Fiorentina stracciò il Dnipro in Europa League all’andata ed al ritorno. L’anno scorso, ad organici praticamente invariati, fu il Dnipro ad andare in finale eliminando il Napoli, mentre la Fiorentina alzava bandiera bianca contro i detentori di Siviglia, che poi in finale sarebbero stati messi a dura prova proprio dagli ucraini. Fu proprio Kalinic in quel di Varsavia, dopo i due gol che avevano sbattuto fuori i partenopei, a segnare quello che illuse i suoi prima della remuntada sevillana guidata da Bacca. I due si ritroveranno nella prima giornata di campionato, il colombiano in rossonero ed il croato in viola, e la sfida del Franchi dirà molto su chi è destinato a sorridere quest’anno e chi invece a tribolare.

Arriva dunque Kalinic, ed arriva – udite, udite! – anche la contestazione. Il gruppo di tifosi denominato Marasma 1993 ha appeso sui cancelli dello stadio lo striscione che recita “tic tac tic tac, i’tempo sta per scadere. Spendere no per vincere ma per convincere!!” E’, pur con il consueto freno a mano tirato che contraddistingue una tifoseria in altri tempi ben più insofferente come quella viola, la prima contestazione aperta da tre anni a questa parte nei confronti dei proprietari della società viola. Ogni riferimento ai quindici giorni e poco più che mancano alla fine del calcio mercato ed ai tre acquisti – a dir poco, o meglio, a dire quello che ha detto Andrea Della Valle in persona – che ancora latitano e che rendono la Banda Sousa una banda dagli uomini contati, è assolutamente evidente.

Tra 9 giorni si comincia a fare sul serio. Al Franchi non si presenterà un Barcellona in clima vacanziero né tantomeno un Chelsea da rimpatriata tra portoghesi, ma bensì un Milan con propositi di rinascita dichiarati, guidato da un ex tra i più avvelenati di quanti sono passati da queste parti e sono stati costretti ad andare via a collo torto e magari non proprio per colpa loro. Almeno non tutta. Sinisa Mihajlovic vorrebbe tanto cominciare il suo ciclo vincente a spese di quello del collega Sousa e della sua Fiorentina, aggiungerebbe un sapore irresistibile a quel piatto che com’è noto si mangia freddo e che lui aspetta di gustare da quando alla fine del 2011 fu esonerato dalla guida di una squadra viola a cui si era spento tutto, non soltanto la luce. Chissà se Paulo Sousa ha gli uomini per impedirglielo, lo scopriremo solo vivendo, e aspettando che quel tic tac tic tac inesorabile trascorra portandoci qualche altra buona novità.

Intanto, in attesa di qualche annuncio da Viale Manfredo Fanti e del prossimo temporale che spezzi l’afa magari senza demolire qualche altro scorcio di Firenze, al vostro cronista alle prese con il tempo da ingannare e le poche notizie da commentare torna in mente un altro Fiorentina-Milan di avvio campionato. Una vita fa.

Era l’11 settembre 1977. Allo Stadio Comunale non ancora intitolato ad un Artemio Franchi vivo e vegeto scesero i rossoneri allenati da Pippo Marchioro. Il Milan era in uno dei momenti meno fulgidi della sua prestigiosa storia, il Cavaliere era ancora di là da venire. I viola invece – malgrado con Ugolini si trovassero in difficoltà economiche accentuate dal sacrificio della mancata cessione di Antognoni e dagli infortuni irrecuperabili a promesse del calibro di Guerini e Roggi – venivano da un campionato strano ma soddisfacente. L’anno prima la Juve che un giorno sarebbe diventata campione del mondo con poche aggiunte aveva chiuso a 51 punti, mentre al secondo posto a 50 era arrivato un Torino appena un po’ meno grande di quello chiamato Grande per definizione. Graziani, Pulici & C. avevano dato spettacolo. Terza si era classificata – a 15 punti di distanza – la Fiorentina di Carletto Mazzone, non ancora chiamato dai suoi concittadini romani “er magara”, ma già soprannominato dalle nostre parti “stroncapettini” per evidenti motivi.

I vola sembrarono partire bene. Al 53’ segnò un difensore, Marco Rossinelli. Al 90’, quando sembrava ormai fatta, pareggiò Egidio Calloni, che i suoi tifosi di manzoniane letture chiamavano “lo sciagurato Egidio” per motivi altrettanto evidenti, ma che se gli capitava la buttava dentro. Quel giorno lo fece, e virò il campionato della Fiorentina al brutto. Il resto è storia nota, con la salvezza conquistata solo a sei minuti dalla fine dell’ultima giornata grazie al gol dell’interista Scanziani al Foggia, mentre al Comunale Fiorentina e Genoa giocavano lo spareggio del terrore che mandò in B Pruzzo e compagni.

Ricordi, nient’altro che ricordi. Però, tic tac tic tac, il tempo passa, i giocatori restano bravi ma contati. Come l’altra volta vengono da un campionato – chiamiamolo così – di vertice. Come l’altra volta si trovano di fronte un Milan al momento indecifrabile. Come l’altra volta, forse (ipotizziamo, ma a ragione che presto vedremo quanto veduta) sono nelle mani di una proprietà che ha fatto il suo tempo, e che ha cominciato a guardarsi intorno più per vendere che per comprare.
Diciamo la verità. Con i Della Valle i risultati non sono mancati (magari le vittorie sì), ma è stato difficile se non impossibile appassionarsi. Quell’anno, uno degli ultimi del povero presidente Ugolini, ci si appassionò molto di più. Ecco, a ben pensarci non vorremmo riviverlo per tutto l’oro del mondo.

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: IL PARADOSSO VIOLA



 9 agosto 2015

Due indizi nel calcio non fanno mai una prova. Fanno semplicemente due partite a fila giocate bene, e vinte meritatamente. La Fiorentina è il paradosso dell’estate 2015. Finora ha ceduto o lasciato partire qualcosa come 24 giocatori, prendendone in cambio soltanto tre e per di più in prestito, Astori, Pepe, Suarez che vengono ad aggiungersi al mitico Erboso. Poi ci sarebbe Gilberto, ma trattandosi di difensore brasiliano è meglio vederlo all’opera prima di parlarne. C’è il rischio di veder proiettato Octavio 2 La Vendetta. O di scoprire che si è trattato dell’ennesima idea “Brillante” di qualcuno dello staff viola.

Più che una campagna acquisti è sembrata fino a pochi giorni fa una rotta in stile Caporetto. Roba da cattivi pensieri, del genere “ridimensionamento”. Roba che non si vedeva dai tempi dell’altrettanto mitico Zagano. Altri tempi, che speravamo francamente di non rivivere più, nonostante fossimo assai più giovani di adesso.

Ebbene questa squadra residuale ti mette in fila nel giro di una settimana Benfica, Barcellona e Chelsea. Peccato che sia il mese sbagliato. Due mesi fa avrebbe significato vincere la Champion’s.
Ma siccome invece siamo ad agosto, ecco che appunto di calcio d’agosto si tratta. E adesso più che la squadra di nuovi acquisti avrebbero bisogno i tifosi di un po’ di Valium. Perché l’euforia dilaga, e ciò avviene inoltre nel più pericoloso dei momenti, quello in cui a qualcuno a Casette d’Ete potrebbe venire la tentazione di dire “siamo a posto così”.

Già la concorrenza batte le mani a scena aperta, pur essendo in ciò interessata. De Laurentiis parla di Fiorentina rafforzata dal mercato. Stai a vedere che quei 20 e passa che se ne sono andati erano una masnada di nullafacenti. Mah, sai che c’è? Aspettiamo avversari più tosti, come ha detto un mio amico scherzando. Il Barcellona vero probabilmente assomiglia di più a quello che due sere dopo il Franchi, recuperati i giocolieri lasciati a casa, ha dato tre sberle alla Roma. Sousa ha fatto uno sgarbo al maestro Mourinho che ci è piaciuto molto, confermando tra l’altro l’Inghilterra terreno di conquista per i vola, come ai tempi di Batistuta e Gilardino, e scusate se è poco. Ma per vincere la Premier deve aver fatto qualcos’altro rispetto a quanto fatto vedere a Stamford Bridge al cospetto dei viola.

E’ vero che le altre italiane tentano, e sugli stessi campi rimediano schiaffoni. Mentre noi, per il secondo anno consecutivo siamo campioni d’Europa avendo battuto i campioni d’Europa in carica. Forse è il caso davvero di prendere dei calmanti. Altrimenti alla prima di campionato si rischiano nuove delusioni. Stavolta tocca ai rossoneri dell’ex avvelenato Mihajlovic mettere alla prova questa ennesima “brillante” Fiorentina. Ogni commento è superfluo, Miha non aspetta altro che di levarsi una soddisfazione.

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In casa viola c’è la spending review. Non esiste trattativa, nemmeno quella per il rinnovo del servizio catering, che non assuma prima o dopo connotati estenuanti. Per prendere Astori c’è voluto quasi più che a mettere ad un tavolo arabi ed israeliani a parlare di pace. Tutto si fa complicato in Viale Manfredo Fanti quando c’è da spendere.
La maxi-rottamazione di giugno ha portato ad un risparmio sul monte ingaggi di circa 20 milioni di euro, per non parlare del mancato esborso conseguente al mancato trattenimento di Salah, altri 18. Poi ci sarebbero i 31 di Cuadrado, che disperiamo ormai di rivedere contabilizzati da qualche parte (intendendo con ciò i libri contabili viola).

I soldi non mancherebbero, ma la voglia di spendere dei fratelli marchigiani pare ai minimi storici. Per ora tutto si regge su questa partenza fulminea agostana dei ragazzi di Sousa. Speriamo regga il fiato e l’estro di Bernardeschi e qualcun altro. I giocatori sono bravi ma contati. Il campionato italiano è lungo, ed offre insidie con il dovuto rispetto ben peggiori di un Barcellona capitato da queste parti in gita, e per di più a ridosso di un nubifragio terribile e dannosissimo che forse ha ispirato sentimenti di beneficienza.

Stiamo a vedere. Dopo l’agghiacciante bufala Balotelli (almeno di questo e basta speriamo che si sia trattato), gli uomini mercato viola sono rimasti a Liverpool per Borini. Entusiasmo iniziale, conclusione quasi fatta, puntuale complicazione. L’ingaggio è alto, il braccio tentenna, spunta fuori la proverbiale Lazio e tenta di complicare l’incerta trattativa viola. Chissà perché, pare un film già visto.

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Tormentone Salah. Resterà negli annali come la più incredibile ed assurda delle vicende contrattuali non solo della storia viola, ma crediamo anche della storia del calcio. Dunque, il ragazzo può vestirsi di giallorosso dopo che l’UEFA ha concesso – un po’ indispettita, forse, per essere stata disturbata in piena stagione balneare – il transfert che sposta il Messi delle Piramidi dalla corte londinese di Mourinho a quella romana di Garcia.

La Fiorentina continua a sbraitare che Salah è suo e che se non può averlo lei non l’avrà nessuno. Romanzo popolare tragicomico. Il ragazzo da Trigoria fa sapere di aver scelto lui, dopo che Mou gli aveva rinnovato la sua sorprendente disistima, e dopo aver visto la fine del regno di Montella in quel di Firenze. Dove peraltro s’è trovato benissimo, e ci mancherebbe altro.

Restiamo attoniti, lo siamo da quando abbiamo appreso che esisteva un documento di scrittura privata a firma dell’amministratore delegato Sandro Mencucci che concedeva a Salah il diritto di veto sul suo riscatto da parte della fiorentina. Ma come, metti le mani su uno dei fuoriclasse più esplosivi del momento a costo quasi stracciato e invece di blindarlo alla prima occasione gli metti in mano le chiavi per sgattaiolare via, mentre te sei in coda tra l’altro a pagare il milione del rinnovo del prestito manco fosse la bolletta della luce.

Conosciamo personalmente Sandro Mencucci da una vita, e possiamo testimoniare che è tutt’altro che uno sprovveduto e un incapace, soprattutto nel suo mestiere. Se ha posto la sua firma in calce a quel documento, non possono che avercelo spinto o le circostanze o i suoi datori di lavoro. Ricordiamo a tal proposito quanto nicchiò il Salah a gennaio prima di venire a Firenze, dopo essere stato in trattativa con Roma già allora. Ricordiamo il prezzo già fissato allora in 20 milioni di euro, per un giocatore che già alla prima partita aveva fatto peraltro dimenticare l’indimenticabile Cuadrado.
E allora, a pensar male……. Per convincere il prodigo a diventare figliolo gli è stata offerta quest’arma con cui lui puntualmente ha pugnalato la mano tesa ad offrirgli il rinnovo del contratto. L’ha fatto – va detto – a ragion veduta dopo due mesi sconcertanti seguiti alla fine del campionato ed all’addio di Montella e di buona parte dei suoi ragazzi. L’ha fatto – forse – senza causare troppo dispiacere a chi teneva i cordoni della borsa dalla quale dovevano uscire i soldi per trattenerlo. Il braccino si era teso, ma non troppo, come sempre, e la pugnalata di Salah l’ha mancato, non facendogli alcun male. Ai tifosi invece, è tutta un’altra questione. Pardon, ai clienti.
A proposito, come sta andando la campagna abbonamenti?

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Nel 1969 l’amichevole con il Barcellona seguì la conquista dello scudetto da parte di De Sisti & C. Come è cambiato il mondo. Adesso le amichevoli si fanno prima.