martedì 3 maggio 2016

Momenti di gloria



Chi osa vince. E’ il motto dello Special Air Service, l’unità d’elite dell’esercito inglese alla quale vengono affidate le missions impossibile, le questioni più delicate e pericolose da sbrogliare. Una specie di berretti verdi britannici.
E’ un motto che piace agli inglesi, da sempre, da quando salivano sulle navi pirata di Francis Drake a quando reinventarono un gioco che aveva fatto la sua comparsa nella Firenze del Cinquecento, per poi essere definitivamente codificato (più o meno come lo conosciamo adesso) alla metà dell’Ottocento nei colleges di Sua Maestà Britannica.
Sono le 22,30 circa ora italiana quando il referee fischia la fine del match tra Tottenham Hotspurs e Chelsea che chiude la 36sima giornata della Premier League. Lo score è 2-2, i punti che separano gli Spurs dalla vetta restano sette, con due turni da giocare. A Leicester, capoluogo delle Midlands, esplode incontenibile la gioia. Le Volpi, così i propri tifosi chiamano affettuosamente i propri beniamini in maglia blu, sono campioni d’Inghilterra, per la prima volta nei loro 132 anni di storia.
La favola bella è finita. Adesso comincia la leggenda. L’atto conclusivo si consuma in luoghi dai nomi mitologici: stadi che si chiamano Old Trafford (dove il Leicester resiste all’ultimo assalto, quello condotto dal Manchester United) e Stanford Bridge (dove il Tottenham fallisce il suo ultimo assalto al Chelsea, lasciando via libera alle Volpi).
Gli outsiders, rimasti in testa dall’inizio della stagione, entrano di diritto nella storia del loro calcio e non solo, bissando a distanza di quasi quarant’anni l’impresa del Nottingham Forest di Brian Clough, capace di vincere nel 1978 lo scudetto dopo appena un anno dalla sua promozione dalla seconda divisione. Parlare di leggenda è poco. Parlarne senza un brivido di emozione, qui dall’Italia, è impossibile. Alla guida di questi corsari che hanno issato la loro bandiera blu sulla vetta della Premier League c’è un signore italiano. Si chiama Claudio Ranieri, vecchia conoscenza di un campionato che una volta era il più bello del mondo e che adesso non può non guardare con invidia la più spettacolare e competitiva versione britannica.
Claudio Ranieri, romano de Roma, è uno di quei casi di talento italiano costretto ad emigrare all’estero per avere fortuna, riconoscimento delle proprie qualità. Tutti d’accordo su di lui fino a poco fa, dalle nostre parti: un signore, appunto (chissà se Sua Maestà Elisabetta II conferirà a questo gentiluomo italiano il titolo di Sir elargito più volte a chi ha conseguito onore e gloria in Albione per sé e in definitiva anche per la stessa Union Jack), ma non un vincente.
A Firenze questo gentiluomo è ben conosciuto. Allenò una delle migliori Fiorentine di sempre, quella che schierava tra gli altri Batistuta. Che fu fermata nella sua corsa verso la vittoria in Italia da un Milan stellare più altre Sette Sorelle ed in Europa da un Barcellona che non aveva nulla da invidiare a quello con cui adesso tutti si riempiono la bocca.
I mancati successi in riva all’Arno furono imputati ovviamente alla colpa sua. Dieci anni dopo, gli capitò alle mani la Juventus del dopo Calciopoli, non la migliore della sua storia. Tornato in A dopo l’anno sabbatico giudiziario, non gli riuscì il miracolo di vincere subito, e in una Torino affamata (come si è visto) di immediata ed ingente rivalsa questo non fu perdonato. Capitato a Valencia e a Londra, sponda Chelsea, in anni che non erano ancora quelli delle vacche supergrasse, aveva collezionato piazzamenti e coppe di Lega, mai la grande vittoria. A Londra l’avevano soprannominato tinkerman, che in inglese sta per omino che si arrabatta, rabbercia, esegue riparazioni alla meglio. Il contrario di skillful, abile e vincente.
Era diventato un paria, un transfuga, un nemo propheta in patria che – non più giovane, ma per il resto assolutamente in linea con tanti nostri giovani – aveva alla fine ripreso la strada dell’Inghilterra per cercare un rilancio, o almeno un futuro. A lui aveva pensato la cordata Asian Football Investments, (capofila la King Power Group diventata improvvisamente uno degli sponsor più celebri del calcio) che detiene dal 2010 la proprietà della società, per affidargli la panchina della squadra. Senza che nessuno dei due immaginasse che la storia era sul punto di bussare ai cancelli del King Power Stadium.
Leicester è in festa. L’antico Legercastrum romano diventato nei secoli uno dei capoluoghi della caccia alla volpe, che fino a pochi anni fa rivaleggiava con il football ed il rugby come sport simbolo di quest’isola, se la ride adesso dei pronostici interessati degli addetti ai lavori e delle Bet Houses, le agenzie di scommesse.«Più facile che Elvis sia vivo che il Leicester vinca la Premier League». Adesso hanno da pagare qualcosa come 14 milioni di sterline a chi ci ha creduto un po’ più di loro.


La gente delle Midlands stringe in mano il proprio boccale di ottima birra inglese, ed attende di portare in trionfo il suo condottiero italiano, che ha trascorso la sera più importante della sua vita professionale a casa a Roma dalla mamma. Quando all’ottantatreesimo Hazard ha messo dentro il pareggio definitivo del Chelsea, quello che lo ha catapultato dentro la leggenda del football, chissà se e quanto si è commosso, se ha ripensato agli anni in cui per il grande calcio che conta non era più buono ad allenare nemmeno una squadra Primavera.

«Sapevo che un giorno avrei vinto uno scudetto», dice adesso Sir Claudio. L’ha fatto nel paese dove chi osa vince. Dove il coraggio e l’abilità fanno ancora premio su tatticismi e furbizie. Dove lo sport moderno è nato, ed ogni tanto si ricorda di tornare a casa. Britannia Felix, quella di oggi è anche la festa di una Premier League che noi ormai possiamo soltanto invidiare.

We have a great pleasure in awarding you this, Sir Claudio Ranieri. Sei nella storia. Goditela.

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