lunedì 24 dicembre 2012

Una serata con i volontari di Emergency


Per chi non sapesse o non potesse dare un senso a questo Natale (è sempre più difficile ogni anno che
passa, a prescindere dalle profezie millenaristiche che tentano di spiegarci perché siamo destinati ad estinguerci, come se non lo sapessimo da soli), per chi volesse comunque dare un senso al proprio tempo e ai propri soldi unendo l’utile al dilettevole di acquistare dei bei regali di natale dedicando qualche attimo di sé nello stesso tempo alla riflessione ed alla solidarietà, Emergency ripropone anche quest’anno il suo punto vendita a Firenze in Via dei Ginori14 (foto).
Entrare dentro il negozio di Emergency è fare un salto d’improvviso in un altro mondo, quello (vastissimo) in cui si lotta per la pura e semplice sopravvivenza e quello di chi ha scelto di dedicarsi ad agevolare questa lotta impari, magari lasciando da parte professioni ben più remunerative, almeno da un punto di vista puramente economico. Per chi entra lì dentro con la voglia di capire, libera da qualsiasi pregiudizio, c’è tutto lo spirito dell’organizzazione fondata nel 1994 dal cardiochirurgo milanese Gino Strada e da sua moglie Teresa Sarti, non appena fu chiaro che il mondo non più costretto dalla logica dei blocchi e della Guerra Fredda si stava aprendo a nuovi e ancora più impensabili orrori, e che c’era bisogno di qualche visionario che ritenesse possibile e doveroso (già allora) offrire cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta qualità alle vittime della guerra e della povertà e promuovere una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Tutta merce che con l’andare del tempo si è dimostrata, se possibile, ancora più deperibile. Non a caso, questa organizzazione si chiama, fin dalla sua nascita, Emergency. Non c’è bisogno di traduzione, semmai di constatare che dopo 18 anni quella che era emergenza sta diventando purtroppo, in molte aree del mondo, più che mai la normalità.
Una volta dentro il negozio, i volontari sono ben contenti di accompagnarvi dentro un viaggio che vi porta dentro un sogno: quello di popoli che cercano di recuperare una autonoma e orgogliosa rinascita produttiva magari solo ripartendo da produzioni artigianali che già esistevano e che guerre e dittature
avevano spazzato via. Un caso per tutti, i manufatti di vetro di Herat, una delle zone dell’Afghanistan che più stenta a trovare pace e normalizzazione in un paese che pace e normalità non ne ha mai avute. L’Afghanistan è diventato uno dei paesi simbolo dell’impegno di Emergency, per motivi di storia e di cronaca attuale. Ma stesso discorso si può estendere a varie parti del cosiddetto Terzo Mondo in cui l’organizzazione di Gino Strada, riconosciuta ONLUS dal 1998 e ONG da 1999, tenta ogni anno di avviare nuovi progetti di realizzazione di strutture sanitarie che diano assistenza medica, ma più in generale diritti sostanziali, a chi finora non ne ha mai avuti. Fino al punto di individuare addirittura nel nostro stesso paese, nei tempi della Sanità disastrata pre e post spending review, delle sacche territoriali di sofferenza in cui intervenire, con la certezza di poter fare meglio e a costi molto più contenuti rispetto a chi ha fatto finora.
Per far capire tutto questo, e spiegare perché si sta lavorando e perché le pur generose risorse messe a disposizione ogni anno dai donatori e da istituzioni pubbliche e private sensibilizzate (l’elenco è esposto nel negozio) sono sempre per forza di cose insufficienti, Emergency ha deciso quest’anno di far parlare i propri volontari, in alcune serate messe a disposizione del pubblico dei visitatori. Abbiamo partecipato ad una di queste, la sera del 21 dicembre, in cui due infermiere professionali operanti nelle strutture sanitarie italiane hanno raccontato perché hanno deciso un bel giorno di lasciare tutto, ma veramente tutto, e andare a fare quello che facevano dall’altra parte del mondo, e con che risultati.
Paola Stillo (foto), ex caposala dell’ospedale pediatrico Sant’Anna di Como, ci racconta di come fu convinta nell’arco di una giornata dai “reclutatori” di Emergency a prendere aspettativa ed aggregarsi alla missione destinata a quella che nel 2003 era la zona più calda del mondo, la valle del Panshir, la zona afghana più vicina al territorio cinese da sempre controllata dall'Alleanza del Nord, i Mujahidhin del leggendario Masud il Leone. In quel paese, che veniva da più di 20 anni equamente divisi tra la guerra contro gli invasori sovietici, la dittatura talebana e la guerra di liberazione successiva all’attentato alle Torri Gemelle, Emergency aveva svolto un ruolo fondamentale fin dagli ultimi tempi dei Talebani, riuscendo ad essere presente di fatto come l’unica organizzazione in grado di fornire assistenza sanitaria nel paese.
Tale situazione, non certo semplificata dalla nuova situazione creatasi dopo l’occupazione NATO, era rimasta sostanzialmente immutata. Al punto da spingere i responsabili dell’organizzazione di Gino Strada a valutare come prioritario non solo l’apporto di cure mediche ad una popolazione martoriata da una guerra infinita, ma anche la ri-creazione di professionalità mediche e para-mediche in un paese dove da quando avevano governato i Talebani non era andato a scuola più nessuno (meno che mai le donne, ritenute però essenziali, nella cultura islamica, per l’esercizio di una professione infermieristica nel caso specifico rivolta in molto casi ad un’utenza principalmente femminile, si pensi a maternità e pediatria), e prima ancora di un approccio culturale al mondo moderno che riprendesse quel filo interrotto per forza di cose nel 1979, quando l’invasione sovietica aveva fatalmente frenato lo sviluppo di un paese che almeno nei centri maggiori dimostrava di potersi inserire in quello che consideravamo e consideriamo il mondo moderno. I risultati ottenuti, ha raccontato Paola Stillo, sono andati al di là delle più rosee previsioni. Le infermiere istruite dai volontari occidentali, a prezzo di sacrifici inimmaginabili per chi non ha presente la loro condizione ripiombata in un abisso di violenza e segregazione degni del peggior fanatismo religioso e della peggiore arretratezza culturale, hanno conseguito un livello di professionalità (oltre che titoli di studio legalmente riconosciuti) che lascia ben sperare.
Chiara Peduto (a destra nella foto al tavolo), infermiera del reparto di Terapia Intensiva di Careggi, ha raccontato invece un’altra esperienza altrettanto estrema, e altrettanto nota a chi ha seguito le cronache internazionali della sofferenza e del bisogno. Reclutata anche lei dans l’espace d’un matin dagli uomini di Emergency, la sua destinazione è stata il Centro Salam di Cardiochirurgia di Karthoum, la capitale del martoriato Sudan. Il suo racconto ha messo in evidenza l’incredibile contraddizione tra il prestare servizio in una struttura sanitaria quasi d’eccellenza, che nulla parrebbe avere da invidiare alle nostre europee, e vivere in un paese dove domina una delle dittature più feroci ed oppressive dell’intero Terzo Mondo. Il Sudan è da anni teatro di sofferenza, con la tragedia del Darfur ed il conflitto interrazziale e interconfessionale tra le sue popolazioni per lo più per la maggior parte allo stato tribale. Karthoum è una città dall'apparenza moderna, impiantata nel cuore di uno stato di polizia tribale. In quest’area Emergency ha scelto volutamente di costruire una delle sue strutture più prestigiose, et pour cause. Il paese confina con altre nazioni africane,dall’Egitto, alla Repubblica Centraficana, al Ciad, all’Eritrea, alla Somalia, all’Etiopia, è in posizione strategica tanto più alla luce dell’insorgenza massiccia tra la popolazione di questa vasta regione africana di malattie legate alla contrazione dello streptococco metabolitico, che causa febbri reumatiche con complicazioni cardiache devastanti (una persona su mille abitanti la contrae, ed è destinato alla morte in un paese dove qualsiasi assistenza medica è esclusivamente a pagamento). Come in Afghanistan, la cultura locale dà inoltre pochissimi spazi a quelle persone, soprattutto di sesso femminile, che vogliono emanciparsi acquisendo una professionalità medica e paramedica.
Questo è solo un esempio sommario di quanto è emerso dai racconti dei volontari, di quanto fa Emergency ogni anno per andare a portare vita e rinascita dove altrimenti ormai prospererebbe soltanto la morte. Ci sarebbe da parlare del Centro Chirurgico e Pediatrico di Goderich in Sierra Leone, dell’assistenza sanitaria fornita ai profughi della sanguinosa Primavera Araba del 2011, dei progetti di Emergency per rendere più accessibile e più effettiva la stessa sanità italiana. Ci sarebbe tanto da dire, chi è interessato può approfondire in Via Ginori, e negli altri centri Emergency sparsi in 12 città italiane.

Come ricorda ancora Paola Stillo, gli operatori sanitari volontari farebbero il loro mestiere comunque e dovunque, ma è solo il cuore e la generosità della gente che consentono loro di andare a farlo là dove ce n’è veramente bisogno. Il negozio di Emergency rimane aperto fino al 24 dicembre alle ore 18,00.

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