giovedì 20 febbraio 2014

RENZIADE: Renzi Vs. grillo: Signore e Signori, va ora in onda il futuro



Non resterà nella storia come Kennedy contro Nixon. Del resto cinquant’anni almeno di ritardo sugli americani non si recuperano in un giorno. E nemmeno come Hollande contro Sarkozy. Il nostro ritardo sui francesi è addirittura abissale, loro chiarirono molto bene i rapporti con i loro governanti nel luglio del 1789 e negli anni seguenti, e raramente hanno avuto bisogno di ritornarci sopra.
Ma da ieri anche noi abbiamo fatto il nostro ingresso nell’età moderna, quella dei mass-media e della politica fatta attraverso di essi, malgrado una Costituzione  che qualcuno cerca di riformare con un “upgrade” di tipo europeistico e qualcun altro cerca di riportare con un “downgrade” allo Statuto Albertino dei tempi della Monarchia.
E’ universalmente noto che le consultazioni in occasione della formazione di un nuovo governo in Italia assomigliavano finora più alle celebrazioni delle feste comandate in Vaticano che ad un processo politico e democratico come quello che ci scopriamo ormai sempre più di frequente ad invidiare ai nostri vicini più fortunati. Tutto si svolge nelle sacre e segrete stanze del Quirinale, dove da sempre un Capo dello Stato la cui discrezionalità per qualche giorno sfugge ad ogni controllo celebra dei “misteri” la cui liturgia si conclude, salvo rare eccezioni, con la presentazione “urbi et orbi” di un nuovo esecutivo le cui ragioni profonde sfuggono ai più.
Da quando poi l’inquilino del Colle è quello attuale, il Capo dello Stato assomiglia più a quello della Chiesa. Ci manca solo il Dogma dell’Infallibilità, per il resto la distanza tra le due sponde del Tevere, come le chiamava il defunto senatore Andreotti, ormai si è decisamente assottigliata.
Senonché, siamo nel secolo della rete, del web, come dicono i suoi inventori anglosassoni. E allora volenti o nolenti siamo costretti anche noi ad uscire dal chiuso dei conclavi e delle sagrestie di ogni ordine e grado e ad andare in “streaming”. E ad assistere a siparietti che finora avevamo soltanto potuto immaginare.
Ripetiamo, Renzi non è Kennedy e meno che mai Grillo è Nixon. Ma quello che abbiamo visto ieri in qualche modo è destinato a restare nella storia. L’unico precedente di consultazioni on line si era concluso esattamente un anno fa mestamente, con il presidente incaricato apparso come il pugile ormai suonato che affronta un giovane ex “sparring partner” e gli soccombe inevitabilmente. Pierluigi Bersani, già declassato da smacchiatore di giaguari a vittima sacrificale della “volontà di impotenza” che pervade da sempre il suo stesso partito, era parso come il vecchio Mohamed Alì a fine carriera di fronte a un Grillo che come Larry Holmes, suo ex sparring di qualche anno prima (nel caso di Grillo a precedenti primarie gestite pessimamente dal PD), non aveva potuto fare a meno di gonfiarlo di botte per mancanza di opposizione.
Stavolta di fronte erano due pesi massimi al meglio della forma. Il giovane Renzi, fresco di primarie vittoriose e di investitura del suo partito alla presidenza, contro l’esperto istrione Grillo, a cui il suo stesso “popolo” aveva in qualche modo imposto il confronto, desideroso probabilmente di vederlo all’opera contro l’altro fenomeno mediatico (definirli “politici” è forse un po’ troppo, almeno per il momento). E confronto è stato, anzi scontro, anche se non si è parlato di nulla. Il palcoscenico era troppo appetibile perché ognuno dei due rinunciasse ad essere se stesso, e pazienza se si è solo intravisto un barlume di quello che sarà lo scontro parlamentare delle rispettive forze politiche nei prossimi anni (se ci sarà ancora un Parlamento dopo la “cura Napolitano”).
Come dice Enrico Montesano, l’atto di votare deve avere una connotazione sessuale, con l’andare degli anni il desiderio cala, e non si fa più. Siamo un paese anziano, e allora accontentiamoci di quello che passa la televisione. Ieri ha passato un Matteo Renzi che ha provato al suo meglio a tirare fuori dall’avversario le sue contraddizioni, riportando continuamente il suo torrenziale eloquio sui punti cardine della presunte riforme con cui l’ex sindaco ci stupirà di effetti speciali nei prossimi mesi.
Dall’altra parte un Beppe Grillo che l’ha apparentemente travolto con la sua presenza scenica allenata da quarant’anni di spettacoli (Renzi ha cominciato molto dopo, anche se si sta facendo, e in fretta), ma che in realtà ha soltanto ribadito due cose: il Movimento 5 Stelle vuole un ritorno “conservativo” al passato, quando i servizi essenziali erano in mano al pubblico (ed erano erogati a costi ragionevoli praticamente a tutti, bisogna dire), e intanto se partecipa a confronti con altre forze tra quelle presenti attualmente sulla scena è soltanto per ribadire la sua totale sfiducia in loro, giovane Renzi in primis in quanto espressione di quei poteri forti che “hanno disintegrato l’Italia”.
Un dibattito che è stato soltanto uno scontro istrionico di personalità resterà quindi nella storia, non solo televisiva ma anche e soprattutto politica, di questo paese. Perché non è stato detto nulla circa il nostro futuro, ma in realtà è stato lasciato intravedere tutto. Intanto siamo usciti dalle stanze segrete dove la casta officiava i suoi riti vestita dei paramenti sacri della Costituzione del 1948 (male attuata e peggio riformata, almeno nelle intenzioni). E quelle ai due lati del tavolo sono le due personalità capaci di smuovere ancora il consenso, al netto sempre più preoccupante di coloro che preferiscono – per scelta o disperazione – l’astensione. Con sullo sfondo per ora ai margini il terzo, quel Silvio Berlusconi a cui molti stanno facendo campagna elettorale gratuita.
Ringraziamo dunque la televisione. Ci dà la possibilità di seguire i contorti percorsi della nostra politica in un modo che i nostri padri e nonni non avrebbero potuto nemmeno immaginare. Quasi un secolo fa, anche allora c’era un ex artista, Gabriele D’Annunzio, capace di mettere a nudo contraddizioni e aspetti drammaticamente ridicoli del sistema con le sue battute e le sue azioni dimostrative. C’era il vecchio uomo politico – Giovanni Giolitti - che cercava, per interesse sia personale che per convinzione circa la cosa pubblica, di governare un futuro per il quale non bastavano più né le sue energie residue né quelle delle altre forze tradizionali. C’erano – come Renzi - molti giovani, soprattutto tra i progressisti di allora, i socialisti, che credevano di poter cavalcare la tigre di un cambiamento imposto da crisi economiche e dinamiche sociali in realtà per loro incontrollabili.
Fallirono tutti. E poi arrivò l’uomo nuovo, che raccolse i frutti – o i cocci - del lavoro degli altri. Si chiamava Benito Mussolini.

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