martedì 9 giugno 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: L'Aeroplanino se ne va

Arrivò in pieno marasma, ed in pieno marasma se ne va. Nel luglio 2012 la Fiorentina era soltanto un mucchio di buone intenzioni, o forse soprattutto un mucchio di incubi da cui allontanarsi prima possibile. Per due anni vari personaggi avevano cercato di rimettere insieme i cocci rotti nella vicenda Prandelli, senza riuscirci. A Moena nel luglio 2012 non c’era il numero legale per fare partitelle amichevoli di calcio a cinque. Vincenzo Montella ebbe pazienza, e fu ripagato.
I Della Valle sono un fenomeno imprenditoriale che andrebbe studiato a fondo. Gestissero tutte le loro imprese così come gestiscono – o lasciano gestire – la Fiorentina, probabilmente a quest’ora a malapena riuscirebbero a produrre e vendere infradito. Da quando sono nel calcio, la programmazione – quella cosa che tiene a galla al loro pari imprenditori molto meno accreditati di loro – è una parola per loro sconosciuta. Ma quando si trovano con le spalle al muro, riescono in pochi giorni a inventare squadre. Lo fecero nell’estate del 2012, dieci anni dopo il primo miracolo (o presunto tale) seguente al fallimento di Cecchi Gori.
Montella, che aveva creduto forse di aver sbagliato località per le vacanze, si ritrovò di punto in bianco una squadra. E che squadra. La Fiorentina fu la rivelazione del campionato successivo. Il calcio spagnolo trapiantato in Italia, ed allora il calcio spagnolo era il Vangelo secondo Matteo. L’anno dopo cominciò il difficile. Persi Jovetic e Llajic sull’altare delle plusvalenze e delle illusioni di due ragazzi convinti di essere fuoriclasse, la società gli mise in mano due scommesse, Pepito Rossi e Mario Gomez. Due ex ragazzi convinti di poter essere ancora all’altezza di se stessi. L’asticella si alzò, ma si alzarono anche le aspettative di dirigenza e tifosi.
La scoperta di avere in casa un fenomeno come Cuadrado coprì buona parte delle lacune aperte dagli infortuni di Gomez e Rossi. La Fiorentina arrivò a lambire il calcio che conta, lasciando una bella impressione di sé insieme alla suggestione di pensare che con un po’ più di fortuna e pochi ritocchi il calcio che conta le avrebbe detto “prego, si accomodi”. Peccato che quei ritocchi lo erano solo per chi si intendeva di bilanci, non per chi si intendeva di calcio vero. “Brillante” di nome e non di fatto, la Fiorentina che mieteva successi nei tornei estivi vendicando addirittura un vecchio conto aperto con il Real Madrid fu bruscamente ridimensionata già alla prima uscita seria all’Olimpico di Roma.
Difficile dire se fu Montella ad amplificare le lacune viola, oppure furono le lacune viola a disamorarlo all’avvio di una stagione che doveva essere quella decisiva. Per lui, per noi, per tutti. Il girone di andata fu in pratica una polemica a distanza tra il mister ed i suoi datori di lavoro, convinti di avergli messo in mano una squadra più forte di quella che lui riusciva a schierare in campo. A gennaio, quando dal cilindro della cessione di Cuadrado saltò fuori la briscola Salah, il clima era compromesso. La squadra cominciò a volare, almeno per un paio di mesi. Ma il mister forse faceva fatica a gioire della ritrovata sintonia con il suo lavoro attuale. Faceva fatica perché si immaginava già altrove, proprio mentre il mondo era costretto ad accorgersi della Fiorentina.
Ne ha di strada da fare Vincenzo Montella prima di diventare un top mister. Lo ha dimostrato nel momento cruciale, dopo Pasqua, quando tutti i giochi entrarono nella fase decisiva e tutti i nodi vennero al pettine. Non era convinto di reggere su tre obbiettivi, Vincenzo Montella. Forse non si inventò nulla per riuscirci malgrado tutto. Di sicuro società e tifosi non gli perdonarono di non esserci riuscito, anche se forse in mancanza di meglio avrebbero continuato ad affidarsi a lui.
O per meglio dire, i tifosi di sicuro. La società chissà. Quando i Della Valle prendono qualcuno sulle scatole, a torto o a ragione, non c’è più niente da fare. Prandelli fu liquidato la notte della vittoria a Liverpool. Montella viene esonerato nel momento in cui si dovrebbero programmare pochi, misurati acquisti per ridare l’assalto al Gotha del calcio italiano ed europeo. A metà giugno, qualunque siano le motivazioni che hanno spinto la proprietà a prendere questa decisione, questo significa compromettere forse la campagna acquisti per la prossima stagione, e quindi la prossima stagione stessa.
Adesso si scateneranno dellavalliani e montelliani. Ma c’è qualcosa che non va, qualcosa che ricorre, il male oscuro di questa Fiorentina che non sa o non vuole decollare. Mondonico che si dispera la notte dello spareggio vittorioso con il Perugia, Prandelli che si stacca da Firenze la notte di Liverpool, Montella che esce di scena malamente dopo giorni di scazzi a distanza a mezzo stampa con una società che per il terzo anno consecutivo guarda anche grazie a lui dall’alto società ben più blasonate e perfino l’arrogante e pompatissimo Napoli. C’è qualcosa nell’anima di questa Fiorentina che si rifiuta di crescere, di maturare. E siccome i suoi padroni sono gente che ormai va per i sessant’anni o c’è già arrivata, è difficile pensare che a quell’età si facciano ulteriori maturazioni.
Non si tratta di difendere Montella, che magari sa già bene dove andare l’anno prossimo, e che quantomeno si ritrova nella peggiore delle ipotesi uno stipendio già pagato. Si tratta di scongiurare la perdita di altri due anni. Con personaggi improbabili come questo Paulo Sousa che sembra tanto – con rispetto parlando - un Ottavio Bianchi in versione portoghese, o con altre improvvisate del genere. Per poi magari ritrovarsi tra un po’ a stipendiare il terzo allenatore – il Delio Rossi della situazione – che venga di corsa a salvare il salvabile.

Tutto questo non lo trovate nel comunicato dell’ACF Fiorentina. Ma è un film già visto. E come le repliche del vecchio, glorioso cinema Universale, ormai forse lo abbiamo visto troppe volte.

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