domenica 31 gennaio 2016

DIARIO VIOLA: A Marassi un pessimo "occhiale"

Alla metà del primo tempo le telecamere di Sky indugiano impietosamente sullo spettacolo di un cospicuo numero di piccioni che pascolano più o meno sulla cosiddetta tre quarti d’attacco della Fiorentina. Dice che è “colpa” dei giardinieri di Marassi, che hanno riseminato l’erba da poco. In realtà, quella è la zona più tranquilla del campo, più o meno quella cioè dove gli attaccanti della Fiorentina dovrebbero creare il consueto tourbillon e fare di questo derelitto Genoa quart’ultimo in classifica un sol boccone.
Fanno tenerezza i simpatici volatili che indisturbati compiono la loro funzione primaria, quella di cibarsi. La Fiorentina invece è un po’ che fa rabbia, perché ci dovrebbe essere lei sopra quell’erba a cibarsi di un avversario che non dovrebbe rappresentare in teoria un grande ostacolo, aggrappato com’è alla serie A per fare affari che muovono tanti soldi al calciomercato ma che hanno ancor meno logica di quelli fatti – e soprattutto non fatti – dalla Fiorentina stessa.
Fatto sta che oggi il possesso palla a cui i viola ci avevano abituati ce l’hanno i piccioni, e in seconda battuta un Genoa che nel primo tempo quella palla la fa vedere all’avversario al fischio d’inizio e poi a quello finale. Nella ripresa idem, almeno fino al quarto d’ora. Poi, più che dai cosiddetti “cambi azzeccati” di Paulo Sousa (ma ci voleva poco a migliorare lo schieramento iniziale), l’equilibrio viene spostato dal calo di fiato dei genoani. Alla fine, la Fiorentina si ritrova a rammaricarsi su una vittoria mancata soprattutto per lo stato di confusione mentale in cui versa attualmente nel suo complesso, malgrado per gran parte del match abbia meritato né più e né meno che la sconfitta.
Confusione mentale, non si può definire altrimenti in sintesi la prestazione della squadra che va in campo al Luigi Ferraris. E non è questione di schemi, o di nuovi al posto dei vecchi. Al primo minuto uno Zarate in formato Lazio sembra imbeccare un Babacar in formato Modena. Gol facile facile, a cinquanta centimetri dalla linea di porta. Ma oggi lo spauracchio Perin non deve nemmeno impegnarsi. Il senegalese esala un tiro che in realtà è un ultimo respiro.
Poco male, direbbero i miei piccoli lettori (prendendo a prestito la frase da Collodi) e anche la miriade di tifosi viola che si sono disposti oggi a vedere la loro squadra del cuore salvare una faccia che la società al contrario ha perso da tempo, ben prima di spedire i suoi emissari in Argentina per il Mammana Day. La Fiorentina che prima di San Siro non finiva un match sullo 0-0 da almeno due anni prima o poi la rete la buca, Perin o non Perin.
E invece no, sulla scarsa vena della ex promessa nera a cui oggi Sousa ha affidato la maglia di centravanti titolare lasciando Kalinic a riposo si spengono le speranze viola di tenere il passo delle prime due, che macinano risultati come rulli compressori e che paiono ormai francamente di un’altra categoria, Higuain e Dybala a parte. I 44 minuti successivi sono un patire, perché il Genoa sembra la nazionale delle Furie Rosse e la Fiorentina sembra tornata quella inguardabile di certi periodi bui degli anni Settanta: palla lunga e pedalare, se ci fosse qualcuno in grado di pedalare.
Gonzalo e Astori reggono patria, bandiera e risultato al limite delle loro notevoli possibilità. Roncaglia è Roncaglia, c’è un motivo se la Vox Populi (quella non addomesticata dalle sirene societarie) spingeva per l’acquisto di un difensore, magari anche due. La difesa è sotto pressione perché il centrocampo non esiste: Borja non è un leader e non lo sarà mai, la breve stagione in cui giocava di prima è finita. Vecino è un portatore d’acqua, quando c’è da servire avanti qualcosa di più raffinato rovescia puntualmente il vassoio, non parliamo di tirare in porta, roba da I.O.T. Bernardeschi si sta intristendo a fare il terzino aggiunto, quando trova le condizioni per passare la metà campo è già in debito di ossigeno e non ha nessuno con cui dialogare. Ilicic spalle alla porta sembra una vecchia gloria, più che altro prende pedate (purtroppo oggi tutte lontane dal limite dell’area avversaria).
Davanti, Babacar dimostra al mister che non c’è bisogno di fare cambi polemici come in passato. Basta fare quelli che la piazza richiede a gran voce. Se il senegalese è questo, qualunque offerta rifiutata dalla Fiorentina è un delitto. Non lotta, e se lotta fa casino. Non trova la porta e non crea spazio. Al suo fianco, Zarate fa reintravedere il suo potenziale, e bisogna concedergli l’attenuante di essere appena arrivato. Nella ripresa inoltrata, Sousa lo leva per Kalinic che non fa molto di più di lui, anche perché si ritrova spesso a fare il rifinitore. Tino Costa rileva Ilicic e almeno ci mette la personalità già intravista con il Torino. Per il gioco, bisogna concedergli l’attenuante che resuscitare una squadra di morti o di moribondi è impresa alla portata di pochi.
Per lunghi tratti la Fiorentina dà la sensazione di essere una squadra in rottura psicologica prolungata. Oddio, con la società che si ritrova alle spalle ci sarebbe anche da capirlo. Anche Paulo Sousa si vede che fa del suo meglio per tenere i nervi saldi e continuare a cavare da questa stagione bella per quanto assurda il più possibile. Ma alla fine inciampa anche lui sul filo del rasoio del nervosismo, commettendo una sciocchezza imperdonabile su un campo di serie A. Stoppa un pallone non ancora uscito dal campo, e l’arbitro Giacomelli vorrebbe non doverlo espellere, ma c’è costretto.
Il direttore di gara fino a quel momento ha arbitrato bene, forse c’era il secondo giallo su Vecino, forse un rigore su Kalinic. In verità, nessuna delle due squadre oggi merita di vincere, per un motivo o per l’altro. Troppi strafalcioni il Genoa, troppo tardiva la reazione della Fiorentina, e dalle polveri bagnate. Lo zero a zero, il famigerato occhiale come si diceva una volta, è la fotografia perfetta di una partita che sembra bella solo ai commentatori della TV a pagamento, che qualcosa per giustificare l’ora e mezzo di intrattenimento - chiamiamolo così - devono pur inventarsi.
Con Sousa fuori, i viola continuano come prima. HAnno di fronte un Genoa che non ne ha più, ma la squadra che faceva tremare il mondo qualche mese fa adesso fa tremare i suoi tifosi e basta, perché dalla baraonda che è diventato il suo centrocampo può sempre scapparci fuori la boiata che costa la sconfitta finale. Il quarto d’ora finale si gioca quasi ad una porta sola, quella di Perin. Il più pericoloso dei viola è Astori, e abbiamo detto tutto.
Alla fine i grifoni escono tra gli applausi del pubblico genovese. I viola tra la perplessità di quello fiorentino, che già era arrivato qui dopo averne fatta una bella scorta per le note vicende di mercato. Poco prima del tiro di Alonso che potrebbe valere al 95’ una incredibile vittoria, fa il suo ingresso in campo dalla panchina rossoblu nientemeno che De Maio, a quanto sembra diventato l’obbiettivo di mercato principale degli uomini di Della Valle. Se sta in panchina in una squadra quartultima, ci sarà un motivo. Se è un obbiettivo di mercato di questa Fiorentina, ci sarà parimenti un motivo.

Speriamo che non sia lo stesso.

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