venerdì 22 novembre 2013

A mio figlio Giacomo

La notte che Giacomo nacque, eravamo andati in ospedale alle prime doglie. A quell’epoca la Maternità di Careggi non era tanto all’avanguardia (nemmeno adesso per la verità) e non mi fecero rimanere. Fui rispedito a casa, ad aspettare. Alle 4 di notte mi telefonarono che la mamma di Giacomo entrava in sala parto. Allora abitavamo in Viale Guidoni a Novoli, davanti al mercato della frutta per chi conosce Firenze. Alle 4,10 ero fuori della sala parto, credo sia tutt’ora il “record della pista”. Siccome era un cesareo, non potei assistere.
Restai un’ora e più su una sedia nel corridoio fuori della Maternità. Vidi scorrere tutta la mia vita passata davanti agli occhi, e cercai di immaginarmi tutta la mia vita futura. Giacomo non era ancora nato e già arrivava la paura. Di cosa ci avrebbe riservato la vita, di cosa GLI avrebbe riservato la vita. Se sarei stato all’altezza o no, se avrei saputo dargli quello che era stato dato a me. La notte nelle ultime ore prima dell’alba sa essere più buia e tenebrosa che mai, specialmente se stai aspettando che nasca tuo figlio.
Finalmente, alle 5,30, un’infermiera uscì a dirmi che era nato. Dopo un’altra mezz’ora me lo fecero vedere. Poi, dopo appena il tempo di veder tornare la madre dalla sala, fui rispedito via, subito dopo aver dichiarato il nome di mio figlio all’ufficiale del Comune. A mezzogiorno potei finalmente riunirmi alla mia famiglia. Quando arrivò insieme ad altri 20 bambini depositati in un carrellone urlante, mi si strinse il cuore. Lui era buonissimo, a malapena si sentiva. Si attaccò subito, e quello fu il suo esordio al mondo.
Sono passati 20 anni. Chissà se sono stato il padre che lui desiderava. Di sicuro lui è stato il figlio che sognavo. E non cambierei un istante di quelli trascorsi con lui e per lui in questi 20 anni.
Tanti auguri, figlio mio. Ti voglio bene. Quanto te ne voglio lo potrai capire soltanto quando sarai tu al posto mio.
Il tuo babbo


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