domenica 3 luglio 2016

DIARIO AZZURRO: #ITALEXIT

FIRENZE - Finisce come quattro anni fa, con le lacrime in diretta di uno degli uomini di maggior classe della nostra Nazionale. A Kiev fu Andrea Pirlo (che purtroppo anche in questi giorni piange, ma per motivi ben più gravi e senza possibilità di consolazione, condoglianze vivissime), a Bordeaux sono Buffon e Barzagli. Impeccabili peraltro come campioni e condottieri d’altri tempi, fino al momento di ritrovarsi da soli con se stessi negli spogliatoi dello Stade Nouveaux al termine di questo incredibile Italia-Germania. Se si puo’ mai usare l’aggettivo incredibile per una partita che si chiama Italia-Germania.
Piangono gli azzurri, ce l’avevano quasi fatta anche stavolta. Mai come stavolta il pronostico era stato a favore dei tedeschi, campioni del mondo. Germania al massimo storico (o uno dei massimi, ne abbiamo viste francamente di migliori), Italia al minimo. Stringe i denti Antonio Conte, che aveva fatto di un gruppo di operai innestati sulla storica gloriosa difesa juventina una compagine che a tratti è sembrata uno squadrone. Eravamo arrivati lì, ad un passo dalla seconda grande impresa consecutiva, con il matchball in mano, il rigore decisivo purtroppo affidato a chi non ne aveva più, soprattutto emotivamente.
Prima o poi dovevano avere la meglio loro. I bianchi, l’unica squadra al mondo che ha quattro stelle sul petto come la nostra, non ci avevano mai battuto in partite ufficiali da che esiste il calcio. Ha sempre sparso lacrime a fiumi la Germania dopo averci incontrato, da quell’Azteca dove è esposta ancora la targa del partido del siglo a quella Varsavia dove come oggi i panzer si erano presentati ultra-pronosticati, ed era bastato un Balotelli finalmente in pace con se stesso per rimetterli a giacere nel loro letto di dolore.
Prima o poi dovevano spuntarla, come noi prima o poi dovevamo tornare a battere la Spagna. Stavolta Eupalla, la dea che sovrintende alle cose del pallone come raccontava il grande Gianni Brera, si era quasi impietosita delle loro sofferenze e mossa a compassione aveva compresso il genio italico al minimo storico, appunto, per consentire loro di schiacciarci nella nostra metà campo in cerca del gol che spezzasse la serie e per loro anche il lunghissimo incubo.
Vanno in semifinale i tedeschi, ma non potranno dire di averci battuti neanche stavolta, nossignore. Al ‘120, la partita finisce sull’1-1. Se andiamo a vedere, nonostante un possesso palla del 47% contro il loro 53%, le occasioni più pericolose le abbiamo avute noi piuttosto che loro. E Conte può lasciare la panchina azzurra con l’orgoglio di chi ha forse fatto risorgere da premature ceneri il calcio italiano in questo scorcio di ventunesimo secolo. Un’impresa pari a quella compiuta nel secolo precedente dal grande Fulvio Bernardini, dopo Stoccarda 1974.
Come a Kiev, il generale Conte si presenta alla battaglia decisiva privo di alcuni dei suoi uomini migliori. A differenza del generale Prandelli quattro anni fa, se lo aspetta, e ha preparato la contromisura di una gabbia che riporterà sul pianeta terra i campioni tedeschi. Oltre a VerrattiMarchisio e Montolivo, la sera di Italia–Germania gli mancano De Rossi e Candreva. Togliete alla Germania HummelsMuellerKroosSchweinsteiger e Draxler, per dirne alcuni, e vediamo che partita si gioca.
Ma Conte non batte ciglio, non l’ha mai fatto e non comincia stasera. Dalla cintola in giù l’Italia che mette in campo è la Juventus che aveva quasi messo in ginocchio il Bayern Monaco un paio di mesi fa (altro che amichevole di Monaco, unico successo tedesco in assoluto nel secolo in corso). Più un De Sciglio che forse a questo Europeo ha scoperto di avere una dimensione da fuoriclasse. Il soldatino Sturaro fa il De Rossi come meglio gli riesce, e alla fine non sarà poco. Poi ci sono Parolo e Florenzi, le due metà der core de Roma che oggi sono il cuore dell’Italia, in mezzo ad un centrocampo tedesco che fisicamente li sovrasta ma non riesce ad umiliarli. Davanti, le nostre armi sono GiaccheriniEder e Pellé. Due piccoletti e l’unico nostro marcantonio da opporre a quelli bianchi. Gli azzurri giocano con il lutto al braccio per la strage di Dacca, un velo pesantissimo di tristezza su questa serata di festa e di sport contro il quale purtroppo non c’è, al momento, contromisura possibile.
Loew non si fida dei pronostici. Da quando è nato, nel suo paese si piange e ci si dispera quando si trova l’Italia. Propone una squadra meno offensiva lasciando fuori Draxler. L’Italia val bene un terzino in più, pazienza se è Hector.
I conti tornano, da ambo le parti, nel primo tempo. Germania che prende la palla e la porta a sbattere sistematicamente contro il muro italiano. A loro va bene così, a noi anche. A maggior ragione perché l’unica, clamorosa occasione da gol è nostra, se la mangia al ‘44 Sturaro. La Germania che rientra negli spogliatoi poco dopo non è affatto convinta che gli Dei oggi siano dalla sua parte.
Per fare il gioco del primo tempo l’Italia ha bisogno però di concentrazione e condizione. La prima non le farà mai difetto, la seconda comincia a venir meno proprio ad inizio ripresa. L’arbitro ungherese Kassai non arbitra malaccio, ma ha la tendenza a lasciar correre il gioco duro dei tedeschi, mentre sanziona spesso e volentieri le reazioni italiane. Gli azzurri verso il ’50 sembrano in debito d’ossigeno per le immani energie spese e la Germania sembra cominciare a macinare il suo gioco.
Non è una Grande Germania, intendiamoci. Come due anni fa in Brasile, è un macchinone a motore diesel che si è avviato lentamente e che cresce nella prestazione costantemente. Il suo gioco, grazie forse all’influenza di Guardiola di cui alcuni dei suoi hanno beneficiato, tende a riprodurre quello spagnolo dei tempi d’oro, ma con minor classe e maggior fisicità. La solita Germania, verrebbe da dire, che purtroppo non ha più di fronte la solita Italia. I ragazzi vestiti di azzurro hanno fatto quello che potevano, tantissimo, ma a quel punto cominciano a pagare dazio al gioco avvolgente degli avversari.
Gli azzurri cercano di stringere i denti come fa il loro allenatore in panchina, ma al ’19 un Mario Gomez rigenerato da due anni di centro benessere a Firenze e da uno di vacanze balneari in Turchia scatta sul filo del fuorigioco e va a porgere per l’inserimento di Hector che mette in mezzo per Ozil. Il tiro del turco-germanico è leggermente deviato dall’incolpevole Bonucci, quanto basta per beffare Buffon.
Buonanotte Italia? E invece no. Gli Dei non sono convinti di favorire questi armadi bianchi così arroganti dentro e fuori del campo. E così poco dopo il vantaggio ringiovaniscono Gigi Buffon consentendogli un colpo di reni sul tacco di Gomez a distanza ravvicinata che tiene aperta la partita italiana. Poco dopo ancora richiamano Gomez in panchina ponendo fine al suo show inedito da attaccante quale non si è mai visto a sud di Monaco. Dopo Khedira, Gomez è sicuramente il giocatore più fragile della Germania. La cura Chiellini si fa sentire e Gomez segue Khedira dal fisioterapista sociale.
La Germania si ritrova indietro di venti metri. Il centravanti rigenerato faceva reparto da solo, tenendo impegnata la difesa italiana. Che ora si ritrova più libera di appoggiare il centrocampo. Dall’altra parte, è Pellé a fare reparto da solo per l’Italia e ad incoraggiare lentamente i compagni a salire. La Germania ha già due cambi effettuati, l’Italia ancora nessuno, malgrado la stanchezza di molti. Ma adesso conta il cuore, e l’Italia lo getta oltre l’ostacolo dapprima sfiorando il pareggio con Pellé, poi ottenendolo grazie ad una sciocchezza di Boateng, mani plateale in area di rigore. Sul dischetto, al’77, va Bonucci e segna da gran campione malgrado Neuer avesse intuito. La metà italiana dello stadio esplode, la metà tedesca è come se si avvilisse, tornando a vedere improvvisamente streghe che credeva dissolte nel passato.
Da quel momento la Germania schiacciasassi non esiste più. Il solito possesso palla prevedibile e senza inventiva costringe l’Italia in difesa, ma adesso è una difesa nuovamente agevole, per quanto stremati possano essere gli azzurri. Conte opera il primo cambio al ’41 togliendo lo strematissimo Florenzi per Darmian. Sarebbe anche il momento di giocare la carta Insigne, ma Sturaro e Chiellini sembrano sull’orlo di una crisi fisica da un momento all’altro e questo condiziona le scelte del CT, costretto a lasciare il fantasista napoletano a sedere fino al secondo tempo supplementare.
E’ chiaro che l’overtime è pressoché inutile e si viaggia verso i rigori. Stavolta manca un Pirlo a liberare un Grosso o un Gilardino a lanciare un Del Piero, come a Dortmund dieci anni fa. Stavolta si gioca sull’orlo della crisi di nervi e di crampi. Insigne entra al ‘2 del secondo tempo supplementare per Eder e fa vedere che di idee ne avrebbe avute, e di quelle giuste. Zaza entra al ‘120 per Chiellini, ed è chiaramente l’inserimento di uno specialista in ciò che sta per aver luogo.
Al momento di ritrovarsi con l’arbitro per la scelta della porta e dei rigoristi, gli Dei non hanno forse ancora scelto a chi dare il loro favore. La Germania vede streghe e mostri passati, presenti e futuri, lo si legge in faccia al suo allenatore Loew e a molti dei suoi giocatori. L’Italia vede la possibilità di scrivere l’ultimo e più leggendario capitolo di questa interminabile epopea.
Per la verità gli azzurri con i rigori hanno spesso litigato, facendoci pace soltanto a Rotterdam nel 2000 e a Berlino nel 2006. Prima, tre mondiali a fila persi dal dischetto. Su questo i tedeschi hanno un indiscutibile vantaggio, non avendo mai perso dagli undici metri. Ma gli dei sono incerti, Insigne e Kroos trasformano, Zaza (che aveva solo quello da fare in questa partita) e l’indisponente Mueller sbagliano. Segna il prode Barzagli e quando sul dischetto va Ozil sul 3-2 per l’Italia e la butta sul palo, alzi la mano chi non ha pensato, vai, è fatta.
E’ in quel momento che gli Dei si sdegnano con l’Italia. Sul dischetto va Pellé, per un 4-2 che sarebbe probabilmente decisivo e letale per la Germania. E invece di concentrarsi su un tiro che per lui dovrebbe essere semplice, si permette qualcosa che nessuno dovrebbe permettersi, a meno di chiamarsi Totti. Guarda Neuer e, strafottente, gli mima il gesto del mo’ te faccio er cucchiaio. Neuer impassibile si tuffa a veder sfilare la ciabattata di Pellé oltre il palo, come quella di Cabrini nel 1982.
3 pari dopo la realizzazione di Draxler. Poi è il turno di Bonucci. Leonardo ha speso tanto, e forse di testa tutto al momento del rigore del pareggio. Questo che tira adesso è un ectoplasma, un passaggio al portiere. Vantaggio virtuale Germania, vanificato da Schweinsteiger in stile Roberto Baggio. Parolo e Kimmich trasformano poi, chiudendo la prima serie di cinque. Da quel momento si va avanti ad oltranza. Qualcuno ricorda un Italia-Cecoslovacchia finale terzo posto dell’Europeo Italia 80, con la serie di rigori terminata 9-8 per i cechi. Va a finire allo stesso modo. Tocca ad Hector, non certo il migliore dei suoi, segnare a Buffon il rigore decisivo dopo l’errore fatale del pessimo e presuntuoso Darmian.

Exit Italia, ma a testa altissima. La Germania non ci ha battuti neanche stavolta. E forse, a questo punto non ci batterà mai. I tedeschi vanno avanti, verso la linea Maginot francese, e con alcuni cerotti addosso che li renderanno più menomati. L’Italia scopre che si può perdere anche un Italia-Germania senza drammi, concludendo ai quarti un Europeo che resta comunque uno dei migliori mai disputati, livello tecnico a parte. I conti europei con i tedeschi sono ben altri, e non si sono certo saldati ieri notte.

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