domenica 17 luglio 2016

Misteri d'Oriente

Si chiama ucronia, ed è un arte proibita, proibitissima dalla storiografia ufficiale, a pena di scomunica. E’ l’arte di fare la storia con i se e con i ma. Quella cosa che – ci dicevano da piccoli – non si fa mai, mai, mai, perché è una gravissima infrazione del galateo storiografico. Un po’ come mettersi le dita nel naso o stare scomposti a tavola.
Eppure, a tirare in ballo quei benedetti se e ma spesso si compie un’operazione altrettanto utile, se non meritoria, di quella suggerita a suo tempo dalla buonanima del senatore Giulio Andreotti, con il suo pensar male.
Sarà tra l’altro che si parla di Oriente, o quantomeno della Porta dell’Oriente. E allora dai tempi delle Mille e una Notte sappiamo che tutto laggiù si sfuma nei contorni, avvolto da una nebbiolina magica che fa assumere a tutto la prospettiva e le sembianze di un miraggio.
Recep Tayyip Erdogan sopravvive ad un colpo di stato della durata di circa sei ore. Da operetta, verrebbe da definirlo, se non lasciasse comunque sul terreno il suo bravo cospicuo numero di morti. E se non si portasse dietro inevitabili conseguenze la cui portata è al momento difficile da stabilire, ma che sembra di poter prefigurare di non poco momento.
In attesa di informazioni e analisi più accurate, alcuni dati sono certi. Per quattr’ore il dittatore democratico della Turchia sparisce di circolazione, ripresentandosi all’aeroporto di Istanbul quando già le cose iniziano a volgere in suo favore, dopo alcune ore in cui il putsch militare sembra aver successo. Ora, in occasione dei colpi di stato, i leader da deporre non sono mai pronti e messi sull’avviso. O si fanno beccare e ci rimettono le penne subito, o se sono fortunati si asserragliano da qualche parte e reagiscono, insieme al popolo. Erdogan pare sia volato da qualche parte in attesa di tornare al momento opportuno. Che sembra tanto accuratamente preparato. Inverosimile.
Erdogan ha una lista pronta di personalità da epurare. Lasciando perdere i vertici dell’esercito a lui ostili, ovvi bersagli della rappresaglia, ci vanno di mezzo oltre 2.700 magistrati, con tanto di nome e cognome. Non sembra automatica e conseguenziale come reazione, a meno che lui non l’abbia premeditata, o addirittura fosse il suo obbiettivo primario. I magistrati applicano la legge, e fino a ieri la legge della Turchia era abbastanza laica. Più o meno quanto la nostra. Adesso, chi prenderà il posto dei 2.700 sicuramente non sarà inviso al capo del governo. E probabilmente applicherà una legge meno laica e più islamica di quella vigente finora. Se è vero che quel capo del governo ha già annunciato una riforma costituzionale, da attuarsi sotto il regime della legge marziale e della pena capitale appena instaurato. Verosimile.
Chi conosce la Turchia un minimo, sa che si tratta di un paese profondamente spaccato in due. Istanbul, Ankara e i centri abitati più grandi della costa egea da una parte, con il bisogno sempre crescente di occidentalizzazione e modernità avviato quasi cento anni fa da Mustafà Kemal Ataturk alla dissoluzione dell’Impero Ottomano. Dall’altra, il grande hinterland dell’Asia Minore, abitato da una popolazione ancora in gran parte contadina e osservante dell’Islam ortodosso, sempre più radicalizzato dalle vicende del Medio Oriente a due passi da lì.
Finora, la bilancia pendeva dalla parte delle città europeizzanti. La Turchia Europea è un fazzoletto disteso sul Bosforo, rispetto al grande entroterra asiatico che va dall’altra sponda dei Dardanelli all’Anatolia, alla Cappadocia, al confine con il lebensraum dello Stato Islamico. Eppure Istanbul con i 16 milioni di abitanti che ormai assomigliano alla popolazione di Zurigo e di Londra piuttosto che a qualsiasi altra dell’Oriente di cui sono la porta, ha tenuto in scacco non solo il fondamentalismo light di Erdogan ma anche e soprattutto quello hard del mare magno arabico musulmano che una volta costituiva il suo impero.
L'esercito blocca il ponte sul Bosforo a Istanbul
Questo sta cambiando proprio per effetto della continua e progressiva urbanizzazione di quelle masse contadine che vengono nelle città a cercare condizioni di vita migliore (una specie di miracolo all’italiana su scala assai più grande e dai tempi più lunghi di quello nostro degli anni sessanta), ma che si portano dietro però il Corano nella sua versione più intransigente, con le donne velate (finora non si distingueva una turca di Istanbul da una svizzera o da una tedesca, altrettanto belle e disinibite), con gli uomini che assomigliano sempre più a quel modello arabo che pur disprezzano, con la shari’a strisciante.
E’ un paese in bilico sulla lama di una scimitarra. Erdogan lo sa, e vuole forzare la bilancia a pendere dalla sua parte. Sa anche che se ha qualche nemico lo ha tra i ranghi dell’esercito non proprio ai massimi vertici (i nuovi Giovani Turchi) e nelle magistrature cittadine. In Turchia, l’esercito storicamente negli ultimi cento anni è laico, e interviene puntualmente quando si comincia a vedere troppo fondamentalismo, troppo Islam a giro per le strade di Ankara e Istanbul. Nessuno ha dimenticato qui il vecchio adagio di Ataturk: Se potessi, abolirei le religioni. Tutte.
Erdogan ha dimostrato di essere un politico abile, quanto spietato. Da undici anni, le elezioni in Turchia le vince lui. E questo vuole pur dire qualcosa. Incassa sconfitte come quella di due anni fa a Piazza Taksim, e puntualmente poco dopo si ripresenta al banco di gioco rilanciando. Mostrando di aver imparato da quelle sconfitte, né più né meno come quei vecchi sultani Ottomani che ebbero ragione della vecchia Costantinopoli prima, dopo un assedio plurisecolare, e poi di mezza Europa dopo, quando sembravano inarrestabili. Del resto, non si tiene testa a Putin e all’Unione Europea insieme se si è una mezza calzetta.
Fethullah Gulen
E allora, giochiamo a Ucronia. Un vecchio oppositore in esilio negli Stati Uniti, l’imam Fethullah Gulen, organizza o ispira un golpe contro l’attuale sultano. Verosimile. Il quale viene a saperlo, e non fa niente per fermarlo, anzi capisce al volo che è la sua tanto attesa occasione per quel giro di vite che sogna di dare, in Turchia e nel mondo islamico circostante. Verosimile. Lascia che le cose vadano avanti fino al punto da precipitare. Si eclissa per qualche ora Allah solo sa dove e intanto prepara le sue liste di proscrizione. Verosimile e probabile.
Al momento giusto, quando l’America si schiera de facto dalla sua parte, scatena la folla che risponde con una prontezza incredibile, manco fossimo a Boko Haram o nel cuore dello Stato Islamico. In un paio d’ore, still in charge come annuncia all’alba la B.B.C. (lasciamo perdere la R.A.I., sono a fare gli stessi discorsi da ciclostile, si tratti di Ankara, Nizza, Andria, Fermo o delle previsioni del tempo).
Esiste una corrente di pensiero complottista, secondo cui – da Pearl Harbor alle Torri Gemelle – è verosimile che un governo prepari un attentato contro se stesso. Questa non è ucronia. E’ sciocchezza, che neanche merita di essere rubricata come follia, perché sarebbe come darle un riconoscimento di livello superiore. Nessuno spara contro se stesso, sperando che la cartuccia sia a salve come gli hanno detto i suoi collaboratori. Verosimiglianza vorrebbe che i governi interessati vengano semmai a sapere di qualcosa che si prepara, e anziché stopparla la assecondano preparandosi a sfruttarla a proprio vantaggio. Se tutto va bene.
Così funzionano i Governi e i Servizi Segreti. Da Pearl Harbor alla Guerra Fredda alle Torri Gemelle a tutto quanto succede in Medio Oriente. Dove l’atmosfera da Mille e una Notte, tra l’altro, rende da sempre tutto più sfumato nei contorni, come un miraggio nel deserto.
Questo colpo di stato, se Erdogan non l’avesse subito, avrebbe sognato di subirlo e sconfiggerlo. Adesso la Turchia è alla sua mercé. Con la legge marziale può fare quello che vuole, e chi si oppone è un traditore della patria. Bingo.
Non solo. Obama commette l’ultima sciocchezza della sua sciagurata presidenza appoggiandolo. Pare di vederli gli analisti della C.I.A. a Langley. Appoggiamo Erdy, non possiamo permetterci una destabilizzazione del Medio e Vicino Oriente proprio adesso, nel fianco sud-est della NATO. Appoggiamolo, non è il primo boia che teniamo in sella, e poi è stato eletto dal popolo, basta invocare il rispetto della democrazia e Thomas Jefferson è soddisfatto anche stavolta.
Soldati lealisti a Piazza Taksim, Istanbul
Erdy ripaga Obama mettendolo in un angolo, chiedendogli una estradizione di Gulen che Obama non può concedere, perché lo manderebbe a morte atroce. Chiedendogli addirittura di ridiscutere la politica americana in Turchia, et eziandio anche la situazione delle basi NATO in Asia Minore. Dove, detto per inciso, pare che qualche ceffone tra militari lealisti turchi e militari USA sia già volato. E adesso, le relazioni tra Stati Uniti e Turchia sono a rischio (Reuters). Thanks, mister Obama, let’s hope never to see you again, by the will of God.
Sullo sfondo, Putin tace, ridendo sotto i suoi baffetti da tigre siberiana nel vedere i suoi competitors che si sbranano tra sé. Tace anche l’Europa, e se la sua voce è quella della Mogherini fa bene.

Abbiamo sempre considerato in epoca moderna il Bosforo come la Porta dell’Oriente. Esiste la possibilità, e non è un gioco di ucronia, che sia appena diventata la Porta dell’Occidente. Per un Islam radicale che forse sta di nuovo per spostare i suoi confini (e le sue macchine d’assedio) sotto le mura di Vienna.

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