giovedì 10 novembre 2016

La sinistra che ha sbagliato popolo



Ventiquattr’ore dopo la chiusura dell’Election Day, la terra sta ancora percossa e attonita al nunzio. La scelta del popolo americano di Donald John Trump come quarantacinquesimo Presidente dell’Unione è un qualcosa di cui le nostre élites culturali - e le nostre masse che vanno dietro di loro di conserva, a ciò sospinte da un analfabetismo di ritorno sempre più dilagante – non riescono proprio a capacitarsi.
Nasce come battuta sul web, ma ben presto acquisisce i connotati di un discorso similserio, su cui si getta a capofitto la sinistra nostrana per darsi pace e soprattutto farsi ragione dell’ennesima sconfitta incassata da un suo paladino. Hillary Rodham Clinton non ha perso per sbagli suoi o del partito che rappresentava nella corsa alla Casa Bianca. Ha perso perché è il popolo che è sbagliato.

E qualcuno dei nipotini di Berlinguer già va a riscoprire quei filosofi francesi del Settecento che come Joseph De Maistre si opponevano all’Illuminismo teorizzando l’assolutismo regio e aborrendo il suffragio universale.
Ha sempre detto Berlusconi, uno a cui in questi giorni fischiano le orecchie per essere paragonato e accomunato – ovviamente nell’esecrazione - al neopresidente americano, che la sinistra italiana è assolutamente incapace di vincere libere elezioni, ma in compenso è stata capacissima di egemonizzare l’establishment culturale nostrano (anche se per certi suoi epigoni parlare di cultura significa usare una parola grossa). Al punto da infiltrare qualsiasi mezzo di informazione con velinari di partito che avrebbero la pretesa di chiamarsi giornalisti, se non addirittura opinion leaders.

Lilli "la rossa"
A costoro, da diverso tempo a questa parte, è affidata una poderosa campagna di disinformazione nei confronti di una massa che non aspetta altro che di credere a novelle all’apparenza ben confezionate, e tutt’al più esprimerci sopra dubbi o sfoghi più o meno sgrammaticati su qualche social network.
Così, nel 2011 l’Europa ci chiedeva di disfarci di un governo liberamente eletto a vantaggio di uno di burocrati e tecnocrati che non aveva altra legittimazione che la volontà di un anziano sovrano, presentatosi ad un parlamento imbelle con l’atteggiamento di un Luigi XIV, lo Stato sono io.
Nel 2014, non contenta, l’Europa ci chiedeva di metterci sulla testa un enfant prodige, che enfant lo era di sicuro (per trovare un presidente del consiglio altrettanto giovane bisognava risalire – guarda caso – a Benito Mussolini), ma prodige si è dimostrato soltanto nel raccontare favole, quelle favole appunto che poi una comunità di mass media ormai quasi completamente asservita ha senza ritegno propinato al popolo.
Nel 2016, annus che si spera definitivamente e meritatamente horribilis per questa sinistra e per la sua fabbrica del consenso, è scattata l’offensiva nei confronti di quei soggetti politici – soprattutto all’estero – che hanno dato segno di volersi ribellare allo status quo: un’Europa sempre più lebensraum tedesco, un’America avvitata su se stessa dall’Obamacare e dal perseguimento di politiche sempre più avventuristiche ed antieconomiche sullo scacchiere mondiale.
Ecco quindi la certezza della sconfitta della Brexit, poi dopo l’assoluta certezza della vittoria della Clinton, con un Clintoncare già pronto a perpetuare l’Obamacare e tutti felici e contenti con il limone in bocca ed il rametto di prezzemolo non diciamo dove, pronti a farci mangiare dai rispettivi migranti che di povero, a vederli bene, hanno solo la padronanza della nostra lingua con cui ci gratificano di stronzi razzisti. Due sonore batoste, alla fine, poiché il vento è cambiato e perfino il cantastorie Renzi ha percepito che è l’ora di cantarle a questa Europa, se non è troppo tardi. Altrimenti restiamo una volta di più con l’Asse Roma – Berlino, di cui siamo il fianco debole tra l’altro, come sempre.

De Benedetti, che avrebbe tanto voluto essere Berlusconi
Ma per una Kultura sinistrorsa, abituata da decenni alle veline del partito e ai tatticismi del centralismo democratico applicati ultimamente all’incultura delle nuove leve, una giravolta così brusca è difficile, se non impossibile. Non tutti hanno l’improntitudine del lider maximo. Non tutti sono pronti a riposizionarsi su nuove roccaforti ideologiche o di interesse, e soprattutto in nuove testate non più di segno tendente al rosso.
E così, a fare zapping tra i canali, capita di sentire discorsi in libertà, senza freno a mano. La decana dell’informazione italiana schierata Lilli Gruber intervista per esempio De Benedetti, il decano dei capitalisti italiani incapaci e falliti, che conciona senza contraddittorio sull’America (un paese dove ormai non gli darebbero neanche il permesso di soggiorno turistico) e soprattutto sull’Italia (paese che conosce ormai ancor meno, per sua stessa ammissione). Volano parole grosse, discorsi che per comuni mortali comporterebbero sicuramente querele e accuse di vilipendio, ma che loro – membri di diritto dell’establishment informativo culturale, tessere numero uno e due di quel partito democratico senza di cui sarebbero a lavorare sul serio o a rispondere di se stessi e del proprio operato da tempo – possono tranquillamente permettersi.
Donald Trump quindi è un imbroglioncello, apprendiamo, come il nostro Berlusconi. E via così. A capire le ragioni profonde del popolo americano, che poi sarebbero anche le nostre, i sedicenti giornalisti e opinionisti hanno rinunciato da tempo.
Vanno ad intervistare Giorgio Napolitano, ex presidente della repubblica mai abbastanza ringraziato per il coup de theatre, chiamiamolo così, con cui chiarì al mondo intero che cos’è la democrazia nel suo paese, e lui non si perita a definire per parte sua la vittoria di Trump come «l’evento più sconvolgente da quando esiste il suffragio universale». Adesso è tutto più chiaro, a cominciare dal perché lui stesso si sia fatto a suo tempo parte diligente nell’abolirlo di fatto, qui in Italia.
Un mondo a parte, che potremmo liquidare con la frase significativa e sprezzante di Guido Crosetto: «Giornalisti che non hanno capito nulla del paese dove vivono e lavorano, adesso sono diventati improvvisamente esperti di Stati Uniti d’America».
Già, gli Stati Uniti. Non ci abbiamo mai capito veramente granché, nonostante la pretesa amicizia storica ribadita dall’ineffabile Renzi. Non abbiamo mai compreso l’essenza della democrazia americana, così lontana dalla nostra versione miserabile. Non abbiamo mai compreso perché laggiù quel popolo che ci piace pensare e definire ad alta voce rozzo e così poco intelligente ha portato a casa da due secoli il miglior sistema di controllo dei propri governanti che la razza umana abbia mai elaborato.
Mandiamo laggiù un Vittorio Zucconi a svernare per decenni, e ci torna indietro più comunista di prima. Fin qui, poco male, l’antiamericanismo che si rinfocola dalle nostre parti ad ogni minima occasione viene da lontano, e travalica gli Zucconi stessi. Nasce dal fascismo e con il 25 aprile viene travasato pari pari nel comunismo senza soluzione di continuità. Per molta parte della nostra pubblica opinione, quel 25 aprile è stato ed è più o meno inconsciamente una sconfitta. E gli americani sono oppressori, anziché coloro che ci hanno vivaddio regalato il fatto di non dover festeggiare pochi giorni fa in camicia nera e orbace il novantaquattresimo anniversario della Marcia su Roma.
Paradossalmente, quel popolo che la sinistra italiana vorrebbe adesso esautorare (ma più che gli atti di Napolitano, il Decreto Boschi e l’Italicum, che altro vorrebbe fare?) nutre le sue idee più strampalate proprio nella base elettorale del PD, che di quella sinistra pretende di essere la legale rappresentanza. Quel popolo che dalle sette di ieri mattina si è disposto ad aspettare – come da direttive più o meno esplicite dei suoi opinion leaders e funzionari di partito – la terza guerra mondiale scatenata dal sessista, omofobo, xenofobo Trump.
E allora, come si mette? De Maistre proponeva di levare il voto a tutti. Che Maria Elena Boschi si sia messa a studiarlo, in previsione delle prossime riforme se e qualora sopravvivesse al SI o NO del 4 dicembre prossimo venturo?
Intanto Renzi manda avanti Alfano, con le sue tastate di terreno nei confronti della classe politica e dei cittadini, in previsione di correzioni di tiro che forse anche per lui è troppo tardi per adottare. Ogni volta, infatti, il prode Alfano gli ritorna a casa con il viso segnato da un ceffone a tutta mano.
Ma lui non demorde. Via tutte le foto con Obama, adesso ritoccherà con Photoshop quelle di Salvini con Trump, sostituendosi al segretario della Lega Nord. Intanto la Boschi è fissa in TV a dettare i tempi televisivi a collaboratori fidati come la Gruber. Da qui al 4 dicembre p.v. si spera che qualche santo aiuti, o qualche altra calamità intervenga. E di trovare anche qualche soldarello per le esauste casse dello Stato mettendo in conto all’Europa anche il terremoto del Belice. Nel frattempo, i sondaggisti danno il Si in lenta ma inesorabile rimonta.
Se tanto ci da tanto, il No ce la dovrebbe fare. Anche malgrado il supporto di Massimo D’Alema.
E poi ci sembrano strani gli americani.

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