martedì 9 ottobre 2012

APPUNTI DI VIAGGIO: Trieste, il sogno neoclassico degli Asburgo

Arrivare a Trieste lungo la litoranea che da Sistiana scende a Barcola non è soltanto un itinerario geografico, ma piuttosto un’esperienza di vita, e di quelle intense. Dopo aver percorso il tratto terminale friulano della pianura padana, che costeggia il Carso fino a Duino ed al Lisert, all’improvviso ci si trova di fronte al mare, ed è sempre una vista che non lascia indifferenti.
Unico tratto italiano dell’Adriatico dove il sole va a morire sul mare, anziché nascervi, la città di Trieste sorge sulle rive di un ampio golfo contornato sullo sfondo dalle Alpi italiane e austriache e da un orizzonte sul quale nelle giornate migliori, quando la Bora ripulisce il cielo dalle nuvole, si può intravedere perfino Venezia ed il suo Campanile di San Marco.
In questo angolo di mondo che sembra essere stato dotato dalla natura di tutti i doni possibili, il porto naturale più ospitale e capiente del tratto di mare compreso tra la penisola balcanica e quella italiana, insieme alla politica illuminata adottata dai suoi possessori per ben sei secoli, gli Asburgo Imperatori d’Austria (non a caso ancora oggi rimpianti da molti “nostalgici”), ha fatto sì che sorgesse una delle città più cosmopolite e veramente internazionali d’Europa.
Superando il Castello di Miramare, costruito da Massimiliano d’Asburgo come residenza personale prima della sua sfortunata e fatale avventura in Messico, e poi base del Comando militare dei Blue Devils, i soldati americani di stanza a Trieste prima del suo ritorno all’Italia nel 1954, e la riviera di Barcola, di fronte alla quale si svolge la celebre regata annuale, ed arrivando al centro storico che sorge intorno al Porto Vecchio ed a quelle che i triestini chiamano le Rive, ci si accorge presto di essere arrivati nella capitale di tante cose: della Mitteleuropa, più di Vienna, Budapest o Praga, del Mediterraneo civilizzato dalla marina e dal commercio italiani, di un impero che aveva saputo trascendere la sua origine montanara austriaca per diventare il più straordinario melting pot di genti e di culture realizzato dall’uomo prima degli Stati Uniti d’America.
Trieste è la città della Bora, il vento di est-nord-est che trae origine dalla pianura ungherese e che quando soffia a più di cento chilometri orari (cioè quasi sempre) è capace di gettare in mare anche i veicoli più pesanti che si trovano sulle Rive. Ma è anche e soprattutto la città del Neoclassico, che qui ha avuto la sua massima espressione.
Basta mettere le spalle al Molo Audace (che prende il nome dall’incrociatore italiano da cui la mattina del 3 novembre 1918 scesero i bersaglieri con il tricolore a rivendicare la città al Regno d’Italia) e guardare verso la Piazza dell’Unità d’Italia, che già da sola offre gli splendidi esempi architettonici rappresentati dai palazzi una volta di proprietà del governatore imperiale o delle assicurazioni (Trieste fu il porto della penisola in cui i Lloyd di Londra scelsero di stabilirsi, fondando il Lloyd Triestino), e adesso sedi di Comune, Regione Autonoma e Prefettura.
Dalla piazza, poi, percorrendo le Rive o addentrandosi nell’interno per le vie del borgo medioevale o per i nuovi quartieri voluti nel settecento da Maria Teresa d’Asburgo fino alla Stazione e al Porto che la sovrana stessa volle come via d’accesso marittima all’Impero, è un percorso architettonico e culturale che sublima neoclassico e Mitteleuropa come non è dato di vedere da nessun altra parte.
L’antica città romana di Tergeste, costruita in un punto strategico per le comunicazioni tra le due penisole affacciate sull’Adriatico, aveva conosciuto una fase di decadenza durante il dominio della Serenissima repubblica di Venezia, che non tollerava concorrenti. Quello che fu vissuto come un pericolo mortale da gran parte dell’Europa e del Mediterraneo, l’ondata espansiva turca ottomana, si rivelò il colpo di fortuna decisivo per i triestini.
Gli Asburgo, unici sovrani dell’Europa dell’Est che parevano in grado di fermare la marea ottomana, si annessero la parte della penisola balcanica fino al nord della Serbia, compresa l’Istria e, appunto, Trieste. E quando Maria Teresa, la più lungimirante dei sovrani austriaci, desiderò dotare l’Impero di uno sbocco al mare che facesse concorrenza a Venezia, a Istanbul, a Genova e a chiunque altro nel Mediterraneo attirando i commerci del Commonwealth inglese, la città incontrò il suo destino.
Abbattute le mura medioevali, costruiti il porto e la ferrovia, attirati nella città commercianti e imprenditori di tutte le etnie e confessioni religiose, la grande impresa di Maria Teresa provocò dapprima il boom di abitanti (da 6.000 a 30.000 alla metà del 18° secolo) e poi, nel secolo successivo dopo la caduta della repubblica di Venezia, il suo primato economico e culturale. Trieste è a tutt’oggi l’unica città italiana in cui sono presenti edifici di culto di tutte le confessioni religiose europee. In particolare la chiesa serbo-ortodossa spicca per lo splendore della sua facciata, in un quartiere che di splendide chiese ne può vantare molte.
E molte sono le vestigia di un passato culturale glorioso. Da Italo Svevo, a Scipio Slataper, a Reiner Maria Rilke, a Umberto Saba (del quale si può ammirare ancor oggi la storica libreria dove lavorò), al triestino d’adozione James Joyce (che vi soggiornò a lungo e qui iniziò la stesura del suo capolavoro, l’Ulysses), la storia della letteratura a cavallo tra la fine dell’ottocento e la prima guerra mondiale fu scritta in gran parte qui. Pare che, in tutto il diciannovesimo secolo, il solo Stendhal rimanesse immune del fascino di questa città e proprio qui accusasse una pausa nella propria celebre sindrome. Come dire, l’eccezione (per quanto clamorosa) che conferma la regola.

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