sabato 5 marzo 2016

DIARIO VIOLA: Caporetto viola

Cronaca di un disastro annunciato. La spedizione romana della Fiorentina nasceva sotto pessimi auspici, non solo per il calendario assurdo che costringeva i viola a tornare in campo a soli quattro giorni dalla splendida ma dispendiosa prova contro il Napoli. La Roma, rigenerata da Spalletti e da un mercato di gennaio che in riva all’Arno possiamo solo invidiare, è invece nel suo momento migliore, e non fa mistero di puntare legittimamente più che al terzo posto della Fiorentina addirittura al secondo del Napoli.
Poi c’è tutto ciò che si muove fuori dal campo attorno alla società giallorossa e a quella viola. Alla vigilia arriva la sentenza sul ricorso di Viale Manfredo Fanti sulla squalifica a Zarate. Confermati i tre giorni, con argomentazioni che avrebbero fatto la gioia dei legulei medioevali che tentavano di stabilire il sesso degli angeli o la differenza tra l’anima della donna e quella dell’uomo. Perisic nel frattempo fa di ben peggio di Zarate in Inter – Juventus, ma evidentemente è soggetto ad altra giurisdizione e non va oltre un cartellino giallo.
In compenso, niente di nuovo all’orizzonte per quanto riguarda il caso Salah. Il tribunale europeo ha rinviato la decisione a data da destinarsi, probabilmente a quando i protagonisti saranno vecchi e decrepiti, e la questione si sarà risolta da sola. Nel frattempo, il Messi delle Piramidi può giocare dove vuole, e figuriamoci se non fa danni a una difesa come quella viola, le cui maglie della rete sembrano allargarsi sempre di più ad ogni partita come in ossequio a qualche normativa europea.
La Fiorentina scende in campo all’Olimpico con la giusta spavalderia, determinata a dimostrare che tra lei e l’avversaria capitolina non è la seconda a giocare meglio a pallone quest’anno. Ma come il Settimo Cavalleria di Custer, la sua è una impresa disperata e basta un niente a farla fallire. Come già con il Napoli, si prosegue in pratica la partita dell’andata: Fiorentina che parte a spron battuto mettendo indietro la Roma, la quale però segna con facilità irrisoria (quella di Salah) alla prima occasione e dopo si limita ad attendere i frastornati avversari e ad affettarli in contropiede senza pietà.
Roma per i viola è l’ambito prediletto di applicazione della celebre Legge di Murphy: se qualcosa può andar male, lo farà. Va male tutto ai ragazzi di Paulo Sousa, che già se la sente scivolare nel pre-partita preferendo chiamare fuori Milan Badelj e mettere dentro Tino Costa, in ossequio al principio che meglio un ciuco sano di un cavallo di razza stanco. Anche Tello per qualche motivo non lo convince, e si sistema in panchina, mentre dalla sua parte ritorna un poco convinto Bernardeschi. Dietro Roncaglia, a fianco di Gonzalo e di un Astori comprensibilmente desideroso di una rivincita che non arriverà. Davanti i due IC, Kalinic e Ilicic: palle giocabili pochissime, palle giocate zero. Anzi no, un colpo di testa di Kalinic che in realtà non esiste e non va a referto, un tiro di Ilicic che meriterebbe miglior sorte appena prima dell’inizio della grandine giallorossa.
Per venti minuti la Fiorentina illude i suoi tifosi, e mette apprensione a quelli della Roma. Che stanno vivendo tra l’altro un momento particolare, combattuti tra il desiderio di assecondare il cavallo di ritorno Spalletti nel suo programma di recupero di posizioni più consone alla recente tradizione giallorossa (ed al bilancio societario, che per le note vicende non può prescindere dalla partecipazione alla Champion’s) e la ragione del cuore, senza se e senza ma. Quella ragione che ha un nome solo, indiscutibile: Francesco Totti.
Va a finire che Francesco, da vero core de Roma, si va a sedere in panchina senza ulteriori polemiche ed aspetta sornione il suo momento. Quasi se la senta che i suoi compagni avranno ragione presto di questa Fiorentina e renderanno possibile la sua ennesima passerella, magari nella ripresa. Anche Spalletti è sornione, ha avuto ragione di Fiorentine più forti in passato, magari anche la sua Roma del passato era più forte.
Il discorso è che quando davanti hai Mohamed Salah gli schemi di gioco diventano un dettaglio. L’egiziano è incontenibile, per chi lo deve marcare come per chi gli deve far sottoscrivere un contratto. Roncaglia fa quello che può, ma quando parte regolarmente sul filo del fuorigioco – quasi una reincarnazione all’ennesima potenza di Pippo Inzaghi – fermarlo è una lotteria. Va bene una prima volta, la seconda no.
L’arbitro è toscano, il sig. Massimiliano Irrati di Pistoia e non arbitrerebbe nemmeno malaccio, almeno finché non consente a Miralem Pjanic di amputare quasi un piede a Borja Valero. La partita dello spagnolo finisce lì, quella del bosniaco continua imperterrita. Poco prima uno splendido colpo di testa di Kalinic è stato vanificato dalla parata di Szczęsny, ma soprattutto dalla bandierina del guardalinee, che lo coglie in fuorigioco infinitesimale. Altrettanto varrebbe per Salah quando parte sulla destra al 22’, ma nessuna bandierina si alza e l’egiziano può mettere in mezzo per El Shaarawy, liberissimo. Tatarusanu è fresco di miracolo su Higuain, ma sul tocco dell’italo – egiziano ex Milan non può niente.
Cala il sipario sulla speranza viola di far partita a Roma. Da quel momento la salita da scalare diventa ripida come quella del Pordoi al giro d’Italia. A conferma della Legge di Murphy, non si fa in tempo a rammaricarsi per la svista arbitrale e per essersi fatti prendere di contropiede come polli, che Salah è di nuovo al tiro. Stavolta tocca ad Astori, proprio a lui, farsi carico di rievocare la Nemesi, il destino avverso che coglie sempre la Fiorentina quando gioca a Roma. La sua deviazione rende la parabola beffarda, mandandola ad insaccarsi alle spalle di Tatarusanu. 2-0, dopo soli 2 minuti, 24 complessivi, per la Fiorentina è notte fonda.
Esce Borja Valero per quel Tello che forse avrebbe dovuto partire fin dall’inizio. Non si fa in tempo a prenderne atto che si ferma anche Vecino. Contrattura, tempi di recupero non brevi, inventare un centrocampo nelle prossime partite per Paulo Sousa sarà come risolvere il Cubo di Rubik. Ma oggi non c’è tempo di piangere. Va via El Shaarawy per non essere da meno di Salah, mette al centro e Perotti gli segna una terza rete in fotocopia della sua. Tre gol, segnati da tre giocatori che secondo certa stampa bene informata erano tre obbiettivi di mercato della Fiorentina. Tre gol che fanno la differenza – stasera abissale – tra il terzo ed il quarto posto. E non aggiungiamo altro per carità di patria, e di società.
Si salva solo Tello, che essendo giovane e spagnolo non sa nulla del male oscuro che coglie sempre la Fiorentina quando gioca con la Roma, o i Della Valle quando si affacciano alla zona Champion’s. Uno dei suoi spunti alla Joaquin vale un calcio di rigore per la falciata di Digne. Irrati stavolta non ha dubbi e accorda. Ilicic, che almeno da fermo quest’anno è ineccepibile, trasforma.
La ripresa della Fiorentina è un tiro di Roncaglia che esce di un niente, confermando che gli Dei da queste parti non amano gli audaci, ma nemmeno gli sprovveduti. Poi va via di nuovo Salah, e il 4-1 tra le gambe di Tatarusanu appare una beffa eccessiva, quanto è più di uno dei Tweet del suo procuratore.
A un quarto d’ora dalla fine, con la Fiorentina stordita come un pugile che ha incassato troppi pugni, Roma si alza in piedi. Entra Francesco Totti. Da quel momento i suoi compagni cercano solo di regalargli – e regalare alla platea estasiata – quel gol che chiuderebbe un paio di settimane difficili per Roma e i romanisti e consacrerebbe ulteriormente la leggenda dell’ottavo Re di Roma. Il Pupone ci va vicinissimo su punizione, scheggiando il palo. Cinque gol sarebbero forse troppi per una squadra, quella viola, che ha fatto miracoli ad arrivare fin qui con gli uomini contati, e che adesso fatalmente deve lasciare il passo a chi ha la panchina più lunga e le energie più fresche.
Due notazioni finali. Del Bernardeschi che caparbiamente si danna l’anima a cercare soluzioni personali per tutto il secondo tempo a volte ignorando compagni apparentemente meglio piazzati si può pensare ciò che si vuole, ma un giocatore così non resterà a lungo ad intristirsi in un ambiente dove il talento serve solo a fare plusvalenza. E quando come El Shaarawy lo vedremo in una squadra che sa valorizzare la sua classe, allora sì che sarà troppo tardi per rammaricarsi, altro che per le paturnie di Andrea Della Valle.

La seconda annotazione riguarda la società. Anzi, in ultima analisi preferiamo non farla neanche. Dopo il 1982, siamo stati due volte in testa alla classifica. Una volta fu comprato di rinforzo Ficini, una volta Kone e Benalouane. Con il dovuto rispetto, Befani e Baglini si rivoltano nella tomba.

Nessun commento:

Posta un commento