giovedì 10 aprile 2014

El Equipo mas grande algo de mundo

Succede ogni tre o quattro anni.  Arriva il giorno in cui si è vista giocare “la partita del secolo”, “la squadra
Lionel Messi
più forte di tutti i tempi”, “il più grande giocatore di sempre”. Aggettivi e iperboli si sprecano, numeri si accavallano su numeri.
E’ la legge dello sport, ogni record è fatto di per sé per essere superato, o forse soltanto dimenticato, sotto l’incalzare di nuove prodezze. L’ultima partita, l’ultima squadra, l’ultimo campione visti all’opera sono sempre i più brillanti. Del resto, è un fenomeno comune a tutti i settori della vita. Stamattina si sposano William & Kate, il “matrimonio del secolo”, Tre o quattro anni fa lo stesso “matrimonio del secolo” era a Madrid, tra tre anni chissà dove diavolo sarà…. Domenica fanno santo Woityla. Nessuno ricorda più Papa Giovanni XXIII. Tra vent’anni nessuno ricorderà più Giovanni Paolo II. Ci saranno nuovi “eroi” da idolatrare. E così via, fino alla fine dei tempi.
Valentino Mazzola
Nel calcio, c’è sempre stata la “squadra più forte di tutti i tempi”. Nessuno di noi era nato quando il Grande Torino dominava sui campi di tutta Europa. I nostri vecchi, quelli che sono ancora vivi, possono testimoniare l’orgoglio italiano di quegli anni, a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la Ricostruzione, un paese in ginocchio e umiliato che si poteva vantare di avere nel proprio campionato uno squadrone leggendario. Chi lo vide giocare, racconta ancora che un fuoriclasse come Valentino Mazzola, padre di Sandro, deve ancora rinascere. Mio padre mi raccontava che alla fine degli anni quaranta in Italia non c’era ragazzino, di dovunque fosse, che non era tifoso del Grande Torino. Ovviamente, la tragica conclusione a Superga, fece di questa leggenda un poema epico, quale neppure Omero avrebbe saputo scrivere.
Passarono pochi anni, e un’altra “squadra più forte di tutti i tempi” arrivò a calcare le scene. E’ strano come a volte il destino presceglie un paese a caso per concentrarvi tutti i campioni che servono a fare uno squadrone. O forse no, non è il destino, sono altri fattori. L’Ungheria dei primi anni cinquanta era un paese che voleva fortemente la rinascita, ribellandosi al giogo sovietico (come si diceva allora e dopo). E per qualche tempo ci riuscì. Prima della tragica conclusione nel novembre 1956 sotto i carri armati con la Stella Rossa, Budapest e tutta l’Ungheria vissero una primavera incredibile. Nel calcio, un gruppo leggendario di fuoriclasse portò a successi e gioco spettacolari prima la Honved, squadra della capitale e dell’Esercito, poi la Nazionale magiara. Nessuno ha mai capito come fece l’Ungheria di Puskàs, Czibor, Kocsis & C. a non vincere il Mondiale in Svizzera nel 1954. Perse la finale contro la Germania per 3-2, dopo aver sconfitto la stessa Germania per 8-3 (!) nelle eliminatorie ed essere stata in vantaggio per 2-0 nella stessa finale. Ci fu chi parlò di doping tedesco, insabbiato da una Federazione internazionale già allora compiacente.
Ferenc Puskas
La fine della Rivoluzione Ungherese fu anche la fine della Grande Ungheria, che fece a tempo a rifilare un 6-3 all’Inghilterra in casa sua nel nuovo stadio di Wembley inaugurato per l’occasione, e poi si sciolse per la fuga all’estero dei suoi campioni.
Il 1956 fu anche l’anno dell’istituzione della Coppa dei Campioni, che coincise con l’inizio di un’altra leggenda, quella del Real Madrid. Il Real era la squadra di Francisco Franco, El Caudillo di Spagna. Il dittatore spagnolo era stato abile a sopravvivere al potere dopo la fine della guerra, e anzi nel nuovo quadro di guerra fredda internazionale si era ritagliato un ruolo di baluardo anticomunista ad occidente. Era appassionato di due cose: la grandeur spagnola ed il calcio, e siccome la sua squadra era il Real, ne fece uno squadrone favorendolo in tutti i modi (politica che è rimasta nel calcio spagnolo ben dopo la sua morte…). Il Real accolse i campioni ungheresi in fuga, ve ne aggiunse altri,a cominciare da Alfredo Di Stefano, argentino naturalizzato spagnolo che all’epoca era ritenuto “il più grande di tutti i tempi”, e cominciò a vincere Coppe dei Campioni, una a spese della Fiorentina nel 1957, che con Montuori e Julinho non sfigurò affatto. Essendo il Real una legione straniera, ne beneficiò poco la nazionale iberica, che vinse solo un europeo nel 1964.
Alfredo Di Stefano
Con la Coppa dei Campioni cominciò anche la Coppa Intercontinentale, e l’incontro-scontro con il calcio sudamericano. Negli anni 60 in Europa ci furono molte grandi squadre ma forse nessuno squadrone. In Sudamerica invece esplose il Santos, di cui era il “profeta” la Perla Nera, Edson Arantes do Nascimiento, altrimenti conosciuto come Pelé. Se si guarda ai numeri, oltre che alla classe immensa che può testimoniare chi l’ha visto giocare, uno che può legittimamente aspirare al titolo di “più grande di tutti i tempi”, se questo titolo avesse un senso: TRE mondiali vinti, più di MILLE gol segnati, non so quanti trofei….non so quanti secondi sospeso in aria per segnare di testa il primo gol all’Italia nella finale dell’Azteca al Mundial ’70.
Nello stesso anno in cui la leggenda del Pelé nero raggiungeva l’apotesosi, cominciava nel Vecchio Continente la leggenda del Pelé bianco. Come già venti anni prima in Ungheria, in Olanda alla fine degli anni sessanta si verificò un miracolo. Undici fuoriclasse a comporre uno squadrone che alla prima uscita perse sì dal Milan di Rivera la finale di Coppa Campioni, ma dopo non si fermò più. Quella formazione, travasata integralmente nella Nazionale Orange, i ragazzi della mia generazione la sapevano a memoria…..su tutti, lui, il Pelé bianco, il Profeta del Gol (come lo chiamò Sandro Ciotti), la mitica maglia numero 14…Johann Cruyff.
Edson Arantes do Nascimento detto Pelé
Come già vent’anni prima la Grande Ungheria, nessuno saprà mai come fece la Grande Olanda del 1974 a perdere la finale del Mondiale di Germania, sempre contro la Germania. Anche stavolta, forse, contò la politica, e anche l’emozione e l’incoscienza degli Orange…gli stessi sentimenti che stavano per complicare la vita al Brasile contro una grande Italia quattro anni prima in Messico. Fatto sta, la Coppa del Mondo l’alzò Beckenbauer, non Cruyff. E l’Olanda si sfasciò. I suoi campioni emigrarono un po’ ovunque, per la gioia di mezza Europa. Cruyff andò a rinforzare il primo grande Barcellona che si ricordi, Krol fu il primo straniero del Napoli a frontiere italiane riaperte, e così via.
Cominciò il periodo degli squadroni inglesi, Liverpool, Aston Villa, contrastati a volte dal Borussia Moenchengladbach e dal Bayern Munchen tedeschi e da Real e Barcellona spagnoli. Poca Juventus, niente
Johann Cruyff
Milan o Inter. Fino all’Heysel, la situazione fu questa. A livello di singoli campioni, era cominciata l’epoca di Diego Armando Maradona, che portò quasi da solo l’Argentina a vincere il suo secondo mondiale a Mexico 1986 e vicina a fare il tris a Italia 90, ma che a livello di club né con il Barcellona né con il Napoli ebbe successi clamorosi, a livello internazionale almeno. Dieguito era già un giocatore moderno, secondo gli standard di adesso, classe immensa e velocità. Ma non ebbe la fortuna di militare nello “squadrone”, né forse lo cercò.
Lo “squadrone” era a Milano. Il Milan a cavallo tra la gestione Sacchi e quella di Capello se non era uno squadrone ditemi voi cos’era. La difesa dei fuoriclasse italiani, il centrocampo e l’attacco dei fuoriclasse olandesi dettero vita ad un ciclo che ha fatto del Milan la
Diego Armando Maradona
squadra più titolata al mondo. Il Real Madrid ridicolizzato al Santiago Bernabeu e a Milano (5-1), il Barcellona travolto nel 1994 (4-0) sono solo i più eclatanti tra i molti risultati di quel ciclo. Che vide anche la Nazionale italiana ottenere brillanti risultati, essendo fermata sia nel 90 che nel 94 in prossimità di vittoria mondiale solo dai calci di rigore. Credo che se sia la Nazionale prima che il Milan poi avessero saputo gestire un talento immenso come Roberto Baggio, il ciclo sarebbe stato più ancora vttorioso e duraturo.
Alla fine degli anni 90, il baricentro cominciò a spostarsi lentamente verso Spagna e Inghilterra. A
Roberto Baggio
Barcellona esplodeva la stella di Ronaldo, il Fenomeno, che poi non ebbe fortuna all’Inter e ne ebbe molto poca a Madrid, ma che riuscì a vincere un mondiale con gli altri giocolieri brasiliani e a diventare il top scorer dei mondiali con 15 gol complessivi, superando quel Gerd Muller che aveva posto fine ai sogni di Cruyff e degli Orange.
Il resto è storia recente. Il nuovo secolo ha visto prima l’esplosione del nuovo calcio inglese, capofila il Manchester United, e poi di quello spagnolo, capofila il Barcellona, e finalmente vittorioso a livello mondiale dopo tanti anni di corse a vuoto.
Quante squadre “più forti di tutti i tempi”…. quanti giocatori “più forti di tutti i tempi”….. L’ultima partita è sempre la più bella, quella che si ricorda di più….

Alla prossima si ricomincia. Palla al centro, zero a zero. E il prossimo giocatore “più forte di tutti i tempi” sta già palleggiando, da qualche parte…….

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