giovedì 24 aprile 2014

Verità sulle stragi, Matteo Renzi abolisce il segreto di stato

Il Santo Padre ammette alla somministrazione dei sacramenti anche i divorziati, e prosegue nella sua “rivisitazione” del cattolicesimo tridentino. Segue a ruota il Presidente del Consiglio che addirittura toglie la classificazione del segreto di stato sulle grandi stragi italiane del Ventesimo Secolo, una specie di “terzo mistero di Fatima” che ha vanificato finora più o meno pretestuosamente qualsiasi serio tentativo di indagine della magistratura teso a far luce sulla vera storia del nostro paese negli anni di piombo e anche oltre.
Con la direttiva firmata il 22 aprile a Palazzo Chigi da Matteo Renzi, scompaiono dalla storia e dalla cronaca d’Italia gli omissis. Quella parola oscura e un po’ sinistra, come un maleficio tratto da Harry Potter, che incontravamo sempre ad un certo punto della nostra ricostruzione da cittadini o da addetti ai lavori delle pagine più tragiche di quella che Sergio Zavoli definì sinteticamente e brillantemente come la Notte della Repubblica. Una parola tratta dal latino che significa in sintesi “testo cancellato, secretato per decreto del governo e quindi tralasciato, non divulgato”, ma che in pratica si poteva tradurre con l’inglese moderno “off limits, divieto di accesso”, un po’ come nelle aree militari. Chi oltrepassa questo limite avrà una risposta armata.
Matteo Renzi definisce questo suo atto di rilevanza storica come un “dovere nei confronti dei cittadini e dei familiari delle vittime di episodi che restano una macchia oscura nella nostra memoria comune”. Una sorta di parafrasi del “un piccolo passo per me, un grande passo per l’umanità” di armstronghiana memoria, che sembra quasi in tono minore, inadeguato rispetto alla portata dell’evento.
In realtà l’atto di Renzi e le sue dichiarazioni si pongono in linea con tutti gli altri di un governo che sta assestando colpi forse decisivi a tutti i livelli ad uno status quo che sembrava immutabile (e che ci avrebbe sicuramente accompagnato alla tomba, individualmente e come società civile), e che tra l’altro cerca sistematicamente di far apparire come semplici e scontate azioni che in realtà sono rivoluzionarie. Una specie di uovo di colombo applicato all’economia ed alla politica, ma Colombo – si sa – è passato alla storia per aver compiuto quasi con nonchalance un’impresa giudicata impossibile fin dagli albori dell’umanità.
La direttiva di Renzi in sostanza anticipa la rimozione del segreto di stato apposto dalla normativa previgente ai documenti concernenti determinati fatti riguardanti l’ordine pubblico e interessanti la sicurezza nazionale (il motivo del “segreto” e degli omissis con cui tale segreto veniva mantenuto sui relativi documenti). In virtù di questa “pubblicazione”, che salvo diversa disposizione era proibita per almeno 40 anni a decorrere dai fatti, è consentito adesso il “versamento” della documentazione agli archivi di stato, oltre che – finalmente - ad ogni autorità inquirente che ne faccia domanda.
Gli episodi relativamente ai quali il governo ha dichiarato decaduto il segreto sono altrettante pietre miliari a rovescio della nostra storia repubblicana. Eccoli qua:
Piazza Fontana (1969), 17 morti e 88 feriti a causa della bomba esplosa alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, comunemente ritenuto l’inizio ufficiale della strategia della tensione e dei successivi anni di piombo, a cui si legano una serie di fatti mai del tutto chiariti come la morte del primo indiziato, l’anarchico Giuseppe Pinelli, e l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, identificato dai gruppi extraparlamentari di sinistra come il responsabile della morte di Pinelli
Gioia Tauro (1970), 6 morti e 66 feriti nell’attentato dinamitardo al treno Palermo-Torino, in concomitanza con la rivolta di Reggio Calabria per l’assegnazione del capoluogo regionale in attuazione dell’istituzione della Regione
Peteano (1972), subito dopo l’assassinio del commissario Calabresi – ascritto alla responsabilità di gruppi di sinistra – la risposta neofascista nella logica degli opposti estremismi fu l’attentato in cui persero la vita tre carabinieri e rimasero gravemente feriti altri due nell’esplosione di una cinquecento imbottita d’esplosivo a Peteano, frazione tra Sagrado e Savogna d’Isonzo, a 5 km da Gorizia
Questura di Milano (1973), esattamente un anno dopo l’omicidio del commissario Calabresi, 4 morti e 52 feriti per l’esplosione di un ordigno davanti alla Questura del capoluogo lombardo, mentre si scopriva un busto commemorativo del commissario
Italicus (1974), 12 morti e 48 feriti nell’esplosione della bomba sulla carrozza n. 5 dell’espresso Roma-Monaco di Baviera all’altezza della stazione San Benedetto Val di Sambro, subito fuori della grande galleria dell’Appennino, all’interno della quale si calcolò che i morti sarebbero stati molti di più
Piazza della Loggia (1974), 8 morti e 102 feriti in seguito all’esplosione di una bomba collocata in un cestino portarifiuti in Piazza della Loggia nel centro di Brescia, durante una manifestazione antifascista
Ustica (1980), 81 morti nell’esplosione sui cieli di Ustica del DC9 Itavia decollato da Palermo e diretto a Bologna, probabilmente in seguito all’impatto con un missile lanciato da aviogetti militari di nazionalità non meglio precisata
Stazione di Bologna (1980), 85 morti e 218 feriti, il tributo di sangue più alto che ne fa l’evento legato al terrorismo più tragico in assoluto della storia d’Italia, l’orologio della stazione per volontà della cittadinanza bolognese resterà fermo per sempre all’ora della strage, le 10,25 del mattino
Rapido 904 (1984), la riedizione della strage dell’Italicus il 23 dicembre 1984 – da qui il nome di strage di Natale – nello stesso punto di dieci anni prima, ma stavolta i terroristi attesero che il treno fosse entrato in galleria, risultato 17 morti e 267 feriti. E’ comunemente ricordato come l’ultimo atto della guerra dei terrorismi che ha insanguinato l’Italia per quindici anni, almeno a livello di stragi di massa.

Adesso chi vuol fare luce e accertare la verità ha la strada teoricamente assai più spianata che in passato. Sicuramente non più interrotta dal filo spinato. Come tutte le iniziative di Renzi anche questa è destinata certo a dividere in due l’opinione pubblica, e quasi sempre sulla base di pregiudizi pro o contro. Una cosa però è certa, se di propaganda si tratta Matteo Renzi è uno che sa parlare la lingua che il popolo italiano in questo momento vuol sentir parlare.

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