mercoledì 1 luglio 2015

Storia dei Presidenti della Repubblica: Leone e Pertini (1971-1985)

L’Italia nel 1971 era un paese che viveva al buio. Non solo per la imminente crisi economica che avrebbe posto fine al boom degli anni sessanta e avrebbe introdotto nel vocabolario degli italiani la parola austerity, ma anche e soprattutto per la recrudescenza delle attività terroristiche. Gli opposti estremismi, la strategia della tensione ed il debito di sangue pagato ad essi quasi quotidianamente da cittadini e forze dell’ordine stava togliendo al paese molte delle recenti certezze acquisite.
Giovanni Leone
E lo stava spingendo più o meno consapevolmente a destra. In un quadro internazionale, del resto, che a destra ci stava andando a causa della fine dell’epoca della distensione e della Guerra del Vietnam. La Democrazia Cristiana, come già aveva fatto in passato, spostava il suo baricentro interno a seconda degli umori del momento. Il pendolo stava tornando verso il centro, se non verso destra. Le leadership di Fanfani e Moro erano messe in discussione. Era il tempo di uomini per tutte le stagioni (ma preferibilmente non troppo rosse) come gli Andreotti, i Rumor, i Leone.
Già, proprio lui, Giovanni Leone si ritrovò sbalzato agli onori della cronaca e della politica al di là di quelli che erano stati i propri meriti personali. Dopo due settimane e ventitre votazioni senza esito DC e PSI dovettero rinunciare ai propri candidati di bandiera contrapposti, Fanfani e De Martino, e ripiegare su un candidato che urtasse il meno possibile le rispettive suscettibilità. Che fosse il più incolore e istituzionale possibile.
Giovanni Leone veniva da Napoli e dalla professione di avvocato, come Enrico De Nicola di cui era stato tra l’altro allievo. Un uomo per tutte le stagioni, si è detto. Fascista quando la tessera del PNF serviva per esercitare la professione, democristiano quando essa fu sostituita da quella dello scudo crociato con scritto Libertas. Alla Costituente fece parte del "Comitato dei Settantacinque", incaricati della redazione materiale del testo della Costituzione.
Negli anni sessanta fu incaricato di un paio di governi balneari, l’espediente con cui si trascorrevano i mesi intercorrenti tra una crisi di governo e la successiva consultazione elettorale. Quando la DC chiamava, l’avvocato napoletano rispondeva, salvo poi tornare nei ranghi in buon ordine. Quando la DC, nel dicembre 1971, disperata a causa del rischio di perdere la leadership dello schieramento politico di maggioranza lo chiamò, Leone rispose subito. Fu eletto Presidente il giorno prima di Natale, da un Parlamento ormai stremato da quella che a tutt’oggi resta la votazione più lunga della storia repubblicana. Entrò in carica a capo di un paese ancora più stremato, anche se i momenti peggiori erano di là da venire.
Le corna del Presidente rivolte ad un gruppo
di manifestanti che lo contestavano
Leone fu all’inizio un presidente puntigliosamente formale, nel rispetto della lettera della carta costituzionale. Questo formalismo nel sottolineare la sua indipendenza dai partiti, compreso soprattutto quello da cui proveniva, gli tolse ben presto simpatie in tutto l’arco costituzionale. E quando per lui vennero i momenti difficili, nessuno alzò la voce a difenderlo.
Mentre il paese sprofondava sempre di più negli Anni di Piombo ed il pendolo politico tornava ad oscillare verso sinistra (nel 1976 il PCI raggiunse il suo massimo storico, arrivando quasi ad eguagliare la DC), si diffuse la leggenda nera di un Presidente privo di stile, una macchietta tratta dalla peggiore iconografia partenopea, capace di fare le corna come un guitto qualsiasi di fronte a un corteo di studenti che gli gridava contro slogan non certo benevoli. Ma furono altre le voci che affossarono definitivamente la sua immagine. Lo scandalo Lockeed scoppiato nel 1974, che vide incriminati ministri del governo di allora per corruzione nell’acquisizione di aerei dall’industria americana omonima, arrivò alla fine a coinvolgerlo.
Fu una delle inchieste all’italiana, che non arrivano mai in fondo, ma grazie al lavoro di giornalisti coraggiosi come Camilla Cederna, ai colleghi dell’Espresso ed al Partito Radicale di Marco Pannella ed al Partito Comunista di Enrico Berlinguer (per il quale allora la questione morale era un punto cardine), ci furono presto ben pochi dubbi che l’Antelope Cobbler di cui si parlava nelle carte dell’indagine altri non fosse che il capo dello stato.
Seguirono le accuse di malversazioni varie, tra cui quelle legate al tenore di vita eccessivo, e a carico pubblico, della famiglia presidenziale. La famiglia Leone venne descritta in vari pamphlet (tra cui il famoso “Giovanni Leone: la carriera di un presidente” di Camilla Cederna) come una torma di cavallette che costavano all’erario cifre già all’epoca esorbitanti. Il Presidente chiese sostegno al suo partito, ed al governo l’autorizzazione a difendersi in sede legale. Per tutta risposta, il Presidente del Consiglio Andreotti gli negò tale autorizzazione e lo lasciò solo al centro della tempesta politica. Nei primi mesi del 1978 Leone rimase incerto se presentare le dimissioni anticipate, liberando la scena politica dalla sua presenza ormai discreditata.
La spinta decisiva gliela dette il delitto Moro. Il paese sconvolto chiedeva una svolta. Gli Anni di Piombo e della corruzione erano al culmine. Il 15 giugno 1978 Giovanni Leone annunciò agli italiani le sue dimissioni, con sei mesi di anticipo rispetto alla scadenza. A fine giugno, il Parlamento che si riunì in seduta comune doveva dare una risposta agli italiani che andasse ben al di là dei soliti schemi politici e della salvaguardia dei soliti equilibri. Serviva un uomo che per il suo prestigio personale fosse capace di rilanciare l’immagine delle istituzioni stesse, di disperdere la cappa di piombo che si era distesa sul paese con un segnale di pulizia e di speranza. Per fortuna, quell’uomo c’era.
Sandro Pertini
Dopo sedici scrutini a vuoto, DC, PCI e PSI si misero d’accordo per una figura carismatica e rispettata da tutti. Sandro Pertini, Sei condanne e due evasioni, era la bandiera del Partito Socialista, della Resistenza al nazifascismo, delle istituzioni repubblicane stesse. Mai un leader carismatico nel suo partito, ma un uomo coraggioso e leale in tutto quello che aveva fatto. Ex Presidente della Camera, fu eletto al Quirinale con quella che resta a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella storia italiana, 832 voti su 995. Il paese non tardò a ringraziare. Con i suoi modi schietti ed il suo essere sempre e comunque dalla parte della gente senza per questo sminuire le istituzioni di cui faceva parte, lo resero subito quella figura paterna che tutta l’Italia cercava, nel buio di quegli anni.
Se non vuoi mai smarrire la strada giusta, resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e di tempesta”, fu uno dei suoi primi discorsi in pubblico, all’Italsider di Savona, sua città natale. Sempre dalla parte del popolo, sempre dalla parte delle istituzioni. Come mai nessuno prima e dopo di lui. Nel 1979 fu il primo a dare l’incarico di governo ad un non democristiano, il segretario socialista Craxi. E fu anche pronto a rispedirlo a casa a cambiarsi, allorché gli si presentò davanti in jeans.
Sempre pronto ad accorrere, a nome proprio e dello Stato, sul luogo dove qualcuno aveva sofferto o rimesso la vita, divenne ben presto il “Presidente dei funerali”, il “Presidente che baciava la bandiera”. Fu il Presidente più irrituale della Storia. L’unico di cui gli italiani sentono a tutt’oggi il rimpianto e la mancanza. Più ancora irrituale di lui fu la First Lady, sua moglie Carla Voltolina, ex partigiana a sua volta, che rifiutò sempre di trasferirsi al Quirinale, luogo dove il suo stesso marito si adattò a vivere con difficoltà, soltanto per rispetto alle istituzioni.
Sull'aereo di ritorno da Madrid con la
Coppa del Mondo, Zoff, Causio e Bearzot
Fu il Presidente che passò la notte al pozzo di Vermicino, rappresentando l’angoscia impotente di noi tutti di fronte agli infruttuosi tentativi di salvare il piccolo Alfredo Rampi. Fu il Presidente che urlò a nome di tutti noi al gol di Tardelli al Santiago Bernabeu “è fatta, non ci riprendono più!”. Fu il Presidente che riportò a casa sul suo aereo, lo stesso su cui aveva giocato la famosa partita a carte con Bearzot, Causio e Zoff, le spoglie mortali di Enrico Berlinguer stroncato da un malore durante il suo ultimo comizio. Fu il Presidente che seppe commemorare tutte le vittime della Mafia e del Terrorismo senza dire mai una sola parola banale, facendo sentire per la prima e unica volta lo Stato veramente vicino a famiglie sconvolte e cittadini affranti.

Fu il Presidente che quando riconsegnò il potere nel 1985, oltre ad aver scritto l’ultimo leggendario capitolo di una vita già leggendaria prima del Quirinale, non fu ringraziato per aver salvato la Repubblica, la democrazia, l’Italia stessa, nel momento più buio della sua storia. Ma la gente lo ringrazia ogni giorno, e lo rimpiange ancora di più. C’è solo un Presidente. Il suo nome è, e sarà sempre, Sandro Pertini.

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