domenica 6 luglio 2014

DIARIO MUNDIAL: Quando il gioco si fa duro

Se gli ottavi di finale avevano illuso che la fantasia fosse andata finalmente al potere, i quarti hanno rappresentato la Restaurazione, una specie di Congresso di Vienna che riporta il calcio mondiale a valori, situazioni e comportamenti che si possono riassumere con una parola sola: establishment.
Passano gli anni e la qualità del gioco peggiora, di sicuro questo Brasile 2014 non sarà ricordato per aver consegnato alla storia partite memorabili e campioni leggendari, anzi. Si corre tanto, si segna altrettanto (anche perché si sbaglia di più e i palloni son sempre più leggeri) ma poi alla fine si aggiunge poco alla storia quasi centenaria della Coppa del Mondo di calcio.
Botte da orbi, quelle in abbondanza, ne sanno qualcosa non soltanto il povero Neymar, ma anche il povero Marchisio, uno dei rarissimi espulsi di questo mondiale. Con il senno di poi ed il metro di questi mestieranti vestiti da arbitri, viene davvero da pensare che a parità di disastro sul piano del gioco e degli uomini messi in campo, l’Italietta di Prandelli poteva andare avanti al pari di altre squadre appena più decenti se solo il Moreno di turno non l’avesse messa in dieci per un tempo con l’Uruguay. Non che ce lo fossimo meritati, ma tra il Rio delle Amazzoni ed il Paranà di meriti ne stiamo vedendo ben pochi.
Bando ai rimpianti, giocano gli altri, e giocano male. Ma avvicinandosi la resa dei conti, sono le solite squadre che hanno fatto la storia di questo sport a rimanere in piedi (anche magari su un piede solo, perdendo pezzi importanti). I quattro quarti di finale si concludono tutti con successi di misura, ottenuti più con la prestanza fisica che con il tocco di palla.
La Francia deve rimandare il suo appuntamento con la rivincita nei confronti della Germania, con cui non vince da tempo immemorabile. La solita Francia evanescente, che evapora non appena l’impegno si fa più duro, sbatte contro la solita Germania, meno brillante di quattro anni fa (e aggrappata in avanti all’intramontabile Miro Klose, a caccia del record assoluto di segnature mondiali, gliene manca solo una per staccare il fenomeno Ronaldo, incredibile), ma capace di alzare un muro più solido di quello di Berlino e con un Neuer che restringe la sua porta alle “porticine” a cui si giocava da ragazzi. Basta un gol e adieu les bleus, Benzema si sveglia troppo tardi, arrivederci alla prossima.
Il Brasile più che svegliarsi si avventa sulla partita, e sulla Colombia. La paura contro il Cile è stata tanta, i carioca vogliono questo sesto titolo, il primo casalingo, e si ricordano che giocano appunto in casa, al cospetto di un mondo che soffre da tempo immemorabile di sudditanza psicologica nei loro confronti. I verdeoro lo sanno, e picchiano come fabbri. Lo spagnolo Velasco Carballo forse ha fissato le vacanze in Brasile, e puntualmente guarda altrove in occasione delle scorrettezze dei padroni di casa.
La Colombia si sveglia che è già sotto di un gol, e capisce che deve provvedere a farsi le sue ragioni da sola. Purtroppo, più che all’estro di James Rodriguez e di Juan Cuadrado si affida alle entrate omicide di Juan Zuniga, che prima prova ad azzoppare Hulk invano e poi ritenta la sorte con più fortuna con Neymar, che non resta paraplegico per puro miracolo. Il Brasile alla fine di riffa o di raffa va in semifinale, ma senza Neymar e Thiago Silva, squalificato per doppia stupida ammonizione, il Muro della Germania in prospettiva si alza ancora di più.
L’Argentina ha il quarto più difficile contro il Belgio. Avrebbe anche l’attacco più forte, ma non è destino che lo si veda all’opera tutto insieme. Nel giorno in cui risorge Gonzalo Higuain con un golazo dei suoi, si strappa Angel Di Maria, mondiale finito anche per lui, e la perdita per i biancocelesti è addirittura più grave che quella di Neymar per i verdeoro. L’ala del Real Madrid finora è stato l’80% del potenziale offensivo degli argentini, mentre Lavezzi e Higuain latitavano e Messi giocava per conto suo.
La pulce insegue (da lontano) il confronto con la leggenda Maradona, ed è destinato a perderlo e a perdersi, se non si mette a disposizione della squadra. Al 93’ avrebbe la sua occasione per chiudere la partita e la sbaglia come un Dertycia qualsiasi. Immaginarsi Dieguito su quella palla, avrebbe portato dentro la rete anche il portiere. Certi paragoni forse è meglio smettere di farli, amici argentini e non solo voi. Comunque l’albiceleste va avanti, e resta la favorita. Se si mettono a giocare, i suoi giocatori sono i migliori, in questo panorama desertico chiamato Brasile 2014. Unica consolazione per noi italiani, l’arbitraggio di Nicola Rizzoli, che riporta il calcio ad uno spettacolo godibile.
Chiude l’Olanda, che passa ai rigori contro il sorprendente Costa Rica. Abbiamo detto niente rimpianti, ma per curiosità avremmo voluto vedere tante di queste formazioni giunte ai quarti in un girone come quello dell’Italia, vinto appunto dai costaricani. Contro il “paese dei pensionati italiani”, gli orange vedono i previsti sorci verdi. Se la cavano grazie al secondo portiere Tim Krul, il para-rigori che sfotte anche gli avversari. Una specie di risarcimento storico per il paese che aveva perso gli Europei casalinghi del 2000 contro l’Italia del superlativo Francesco Toldo (ne parò quattro). Anche gli olandesi sono meno brillanti di quando persero ai supplementari contro Iniesta & C., ma sembrano più solidi e più esperti.

Sotto con le semifinali, Brasile-Germania e Argentina-Olanda. Il destino, i tifosi e probabilmente anche la F.I.F.A. vorrebbero una finale inedita tra le due grandi nazioni che da sempre si contendono la supremazia in America Latina. Possibile, probabile, e da quanto si è visto anche “aggiustabile”. Ma sempre per quanto si è visto se ci fosse alla fine una riedizione della finale del 1974 non ci sarebbe poi da sorprendersi troppo. Sono scontri epici, senza pronostico. Chissà, potrebbe perfino vincere il migliore.

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