venerdì 25 luglio 2014

In nome del popolo italiano

5 marzo 2013

23 marzo 2013, giornata di varie manifestazioni di protesta contrapposte nelle piazze di Roma. Ognuno per sé eDio contro tutti, si intitolava un vecchio film di Werner Herzog. Tutti contro tutti per i motivi più vari, nessuno dei quali abbastanza forte da accomunare tutti quanti in un unico popolo. Eppure, nella lunga lista del cahier des doléances portata nelle piazze c’era almeno un punto che avrebbe dovuto accomunare gli italiani. Tra i tanti motivi che rendono il nostro paese sempre più invivibile, e ultimamente anche poco dignitoso da abitare, sicuramente quello più clamoroso per una nazione che continua a ritenersi civile e che addirittura in questo campo vantava fondati diritti di primogenitura è la Giustizia.
Amanda Knox
28 aprile 2013, di tutti i ministri del nuovo governo presieduto da Enrico Letta che faticosamente è arrivato a giurare nelle mani del Presidente della Repubblica Napolitano, uno di quelli verso la cui azione c’è maggiore aspettativa è Anna Maria Cancellieri. Il suo Dicastero, la Giustizia, è sotto la luce dei riflettori, accesi su quelle cose che questo governo deve assolutamente fare, o rifare, nel tempo di vita che gli sarà concesso. E a ragione.
Triste a dirsi, ma la patria del diritto non esiste più. Avevamo le Tavole della Legge quando gli altri popoli stabilivano il giusto e l’ingiusto a colpi di clava, adesso per chi deve affrontare la giustizia italiana sembrerebbe valere il verso di Dante “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Per quanto generalizzare sia sempre pericoloso e ingeneroso, è indubbio che a moltissimi cittadini che hanno avuto a che fare con un tribunale è rimasta la sensazione di essere in balia delle onde, completamente impotenti. Una sensazione che finisce per prevalere su tutto il resto.
Di tutte le funzioni pubbliche repubblicane, l’amministrazione della giustizia è oggi quella che presenta la situazione di maggiore difficoltà. Dai grandi casi di cronaca nera a quelli legati alla criminalità organizzata ed al terrorismo, fino ai casi normali che caratterizzano la vita quotidiana, sono veramente tanti gli esempi del disagio dei cittadini di fronte alla giustizia, e inevitabilmente sovrastano i risultati positivi che dal dopoguerra ad oggi l'Italia ha pur potuto vantare in questo campo. Le cause civili e penali durano in media dai tre ai cinque anni, a seconda della capacità di spesa di chi deve sostenerle.
Alberto Stasi
Nessuno lo dice chiaramente, ma la capacità di un cittadino di avere giustizia è direttamente proporzionale alle sue facoltà economiche. Molti rinunciano, perché anche un semplice parere legale è aldilà delle loro possibilità. I poteri forti, pubblici o privati, lo sanno, e dormono sonni tranquilli proprio per questo. Ricorrere contro un datore di lavoro prepotente oppure un prepotente qualsiasi ma dal portafoglio ben fornito è qualcosa da perderci il sonno, per la parcella dell’avvocato prima ancora che per l’incertezza per la sentenza.
La situazione si fa ancor più seria risalendo fino ai cosiddetti onori della cronaca. Dopo 40 anni, del terrorismo sappiamo tutto, chi militava dove e chi ha sparato a chi. Non sappiamo nulla purtroppo dei mandanti, i veri autori della strategia della tensione. Piazza Fontana impunita, quattro processi per stabilire chi volle morto Aldo Moro e non siamo andati oltre Prospero Gallinari, che si è portato i suoi bravi segreti con sé, nella tomba. La strage di Bologna, quella di Ustica, l’Italicus, il Rapido 904, Giorgiana Masi, il G8 di Genova. La manovalanza ormai la conosciamo tutta, del livello superiore non sappiamo niente. Mani Pulite si è dissolta nel nulla. La criminalità organizzata è stata contenuta, i boss sono finiti in galera, al 41bis. Qui per la verità magistrati di grandissimo valore hanno pagato un prezzo di sangue altissimo per fare il loro dovere. Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, Terranova e altri, hanno reso questo paese migliore a costo della loro vita.
Piazza Fontana
Invece adesso, altri loro colleghi – dispiace dirlo - sembrano disperdere ai quattro venti la loro eredità, perdendosi in polemiche intestine di cui non si capisce il senso. Menzione a parte merita il fenomeno dei magistrati che saltano il fosso, dal potere giudiziario a quello legislativo. La legge 30 marzo 1957 n. 361 all’art. 8 elenca i casi in cui è ammissibile la candidatura al parlamento di magistrati che si pongono in aspettativa a tale scopo. Tuttavia per magistrati che hanno avuto incarichi o condotto indagini di rilievo nazionale la casistica introdotta dalla norma pare perfino troppo permissiva. Un Violante, un Di Pietro, un Ingroia, adesso un Grasso sono persone che hanno avuto accesso a fascicoli contenenti, tra l'altro, vita, morte e miracoli di molti di coloro che sono poi diventati loro colleghi in Parlamento, o avrebbero potuto diventarlo. Francamente, a prescindere dalle singole persone in questione, tra i tanti conflitti di interesse che propone questa Repubblica quello dei magistrati eletti a una delle due Camere non ci pare di poco conto.
Ma è la cronaca nera forse a presentare il bilancio più inquietante. Dal delitto Montesi che negli anni '50 gettò un’ombra sulla classe politica e sull’alta società di un’Italia in procinto di esplodere nel boom economico, all’omicidio di Pasolini, al delitto di Via Poma, a quello di Marta Russo, a quello di Cogne, a quello di Perugia, a quello di Garlasco, i casi in cui il colpevole è stato assicurato alla giustizia senza che rimanesse ombra di dubbio quanti sono? A ben guardare, almeno per i casi più eclatanti, la risposta non è certo consolante.
Certo, a volte il problema sorge prima di varcare la soglia del tribunale. Indagini condotte in un modo che rende quantomeno perplessi condizionano i procedimenti penali in partenza. Altre volte, invece, non si capisce se la magistratura inquirente e quella giudicante facciano a gara a chi commette più errori. Ogni grado di giurisdizione sistematicamente rovescia il giudizio espresso nel precedente. Per non parlare della beffa, intollerabile per la giustizia stessa e per i contribuenti già abbastanza vessati, dei processi che come quello di Perugia vengono dichiarati nulli, da rifare da capo. Tanto paga Pantalone, del resto il risultato del referendum popolare sulla responsabilità civile dei magistrati proposto da radicali e socialisti dopo il clamoroso Caso Tortora fu letteralmente ignorato dal legislatore (in certi casi i poteri dello Stato sono solidali tra loro).
Ebbene, dopo sei anni e tre gradi di giudizio ne sappiamo meno sulla colpevolezza di Amanda Knox e Raffaele Sollecito che sull’identità dei veri autori della strage di Piazza Fontana, il che è tutto dire. C’è da chiedersi se la Knox tornerà a farsi processare in un paese dove la giustizia viene amministrata così. Negli USA nessuno può essere processato due volte per lo stesso reato. Ma soprattutto, nessuno, vittima o presunto colpevole, può essere preso in giro in questo modo.
A proposito di prese in giro, quando succede che il colpevole venga assicurato alla giustizia, intervengono i cosiddetti benefici di legge a rimetterlo in libertà. Autori di efferati delitti come Erika ed Omar, Pietro Maso, per non parlare del mostro dei mostri, quel Mario Alessi capace di uccidere un bambino di soli 18 mesi dopo soltanto mezz’ora che ce l’aveva in mano, vengono dichiarati ammessi a godere dei benefici di legge previsti e consistenti nel permesso di andare a lavorare fuori dal carcere, oppure perfino nella completa scarcerazione per indulto, grazia o altro. Chi di competenza si difende dando la colpa al Codice Penale, che dopo la riforma del 1989 sembra avere introdotto nel nostro ordinamento una manica talmente larga da consentire questi ed altri che sostanzialmente parlando non possiamo definire che abomini.
I cittadini s'interrogano se il potere conferito dalla normativa introdotta dalla Legge Gozzini di giudicare ammissibile ai benefici un detenuto ritenuto non più socialmente pericoloso, anche se a suo tempo reo di delitti anche efferati (con l’unica eccezione – grazie a Dio – dei detenuti sottoposti a regime di 41bis, cioè i condannati per criminalità organizzata) sia esercitato con la dovuta competenza ed obiettività, e sopratutto con il giusto senso del diritto e della pena. Davanti ai benefici concessi ad Alessi è lecito chiedersi di cosa può aver provato (e proverà in eterno) la mamma del piccolo Tommy.

Al padre di Tommy invece una mano misericordiosa ha risparmiato questo ulteriore strazio. O almeno c’è da sperare che sia così.

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