martedì 27 settembre 2016

4 dicembre, si vota



Alla fine, Matteo Renzi cessa di tenere in ostaggio un intero paese e la sua Costituzione, e stabilisce la data in cui si terrà il referendum confermativo della riforma approvata dal suo governo in aprile. Si voterà il 4 dicembre, con il Natale alle porte. Saremo tutti più buoni, come auspica il premier stesso. E forse saranno successe alcune cose, capaci di spostare ancora l’ago della bilancia.
Matteo Renzi Presidente del Consiglio dei Ministri
Radio Palazzo Chigi riporta rumors insistenti circa le valutazioni che avrebbero spinto Renzi a far slittare il più in là possibile la data della consultazione. Anzitutto, ci sarebbe più tempo per stanare gli indecisi, determinanti in quello che – a stare ai sondaggi – si delinea ormai come un testa a testa. Poi, ci sarebbe il tempo di approvare la legge di stabilità alla Camera e magari anche al Senato, almeno in Commissione Bilancio. Ultimo, ma forse più importante, ci sarebbe la possibilità teorica di sfruttare l’effetto paura che potrebbe arrivare in Italia dall’Austria, dove in quei giorni si rivota per le presidenziali e dove Norbert Hofer, leader dell’ultradestra, è uno dei favoriti. Per non parlare di un eventuale effetto Trump, altro spauracchio da agitare, almeno nell’immaginario della sinistra di governo.
Sarà il 4 dicembre dunque l’Armageddon, l’Apocalisse, la Fine del Mondo come l’abbiamo conosciuto. Dopo l’ambasciatore americano John R. Philips, si sono mosse più o meno tutte le personalità più eminenti dell’Unione Europea a spiegare agli italiani cosa succede se voteranno dalla parte sbagliata. Dio forse non vi vede in cabina elettorale, ma Schauble sì. E così, c’è il rischio adesso che gli italiani non sappiano più a che santo votarsi.
Nel frattempo, il Grande Comunicatore e Rottamatore non tralascia nulla. Mette a punto uno spot a favore del governo e della riforma addirittura sulla Gazzetta Ufficiale, cosa che al suo predecessore Berlusconi (uno che di marketing politico se ne intendeva non poco) non sarebbe neanche venuta in mente: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?». Questo sarà il quesito che troveremo nella scheda, giudichi ognuno.
Escamotages a parte, venendo alla sostanza sembrava già fatta per il NO, soprattutto a quello a Renzi più che alla sua riforma. Nelle ultime settimane la partita pare invece riaprirsi. Al punto che il primo governo della Terza Repubblica pensa a torto o a ragione di giocarsela come fosse l’ultimo della Prima. Dopo sei mesi, che diventeranno otto con l’interpretazione disinvolta della stessa Costituzione che si va a riformare, la questione è più o meno a punto e a capo.
Giuseppe Piero Grillo detto Beppe, leader del Movimento Cinque Stelle
Il paese è a punto e a capo. Nei dibattiti, le ragioni del NO si confrontano con quelle del SI con toni e argomentazioni sempre più indegne di una riforma nientemeno che della carta fondamentale, delle regole del gioco. Ma proprio quelle regole sono ciò che interessa meno a tutti. La questione reale sul tavolo investe la sopravvivenza di governi, forze politiche, schieramenti che hanno fatto di questo nuovo assalto al Titolo V e precedenti l’ultima loro frontiera. E, dal loro punto di vista, a ragione.
Quando Renzi disse, o con me o contro di me, fu probabilmente sincero come mai prima e dopo in vita sua. E gli fu risposto, da ambo le parti che si stavano delineando nella casta politica e nel paese, con altrettanta sincerità. Si può discutere all’infinito sulla bontà o meno delle norme introdotte o riformate dal Decreto Boschi, sul Si e sul NO. Il punto non è quello.
Il punto è che forse per la prima volta nel dopoguerra si è rotto quel patto tra gentiluomini che portò alla stipula ed approvazione della Costituzione del 1948. Le forze politiche di allora, comunque la pensassero su tutto il resto, convennero quasi all’unanimità sulla necessità di lasciare in eredità al futuro dell’Italia una Carta che evitasse ad ogni costo il ripetersi di esperienze tragiche da cui esse stesse erano appena uscite. In altre parole, che scongiurasse per il tempo a venire il riformarsi di un esecutivo forte. Come quello magari contro il quale avevano dovuto imbracciare le armi da poco deposte.
Maria Elena Boschi Ministro per le Riforme Costituzionali
Di più. Riuscirono a lasciare in eredità alle generazioni successive prima ancora che le norme fondamentali il sentimento che le aveva ispirate. Un sentimento di attaccamento alle pur bistrattate e mal funzionanti istituzioni repubblicane. Un sentimento che aveva resistito a vari tentativi di manomissione da parte di destra e sinistra parlamentari. Un sentimento che è venuto meno nell’Italia post 2011, quando è stato chiaro che le regole si facevano altrove, e che lo stesso presidente della repubblica non era più il garante di niente, almeno di niente che fosse scritto nella Carta del 1948.
L’apprendista stregone Renzi dunque beneficia di una frattura nel continuum spazio-temporale (come direbbero i grandi autori di fantascienza) della Repubblica, e tenta la sorte già tentata in passato – ma anche nel presente – da altri soggetti, o per meglio dire figuri politici altrettanto equivocamente intenzionati.
Abbiamo già scritto in passato di come l’Italicum di Renzi, il primo passo verso il suo Nuovo Ordine, ricalchi in maniera ancora più sfrontata la Legge Acerbo che favorì la presa del potere di Benito Mussolini. Basterebbe questo a richiamare in vita lo spirito del 1948. A farne soffiare di nuovo il vento forte e possente.
Chi pronuncia NO e SI con voce normale, sommessa, in questi giorni, rischia semplicemente di non essere sentito nel marasma, nell’urlio generale degli opposti squadrismi (per ora soltanto ideologici). Ciò che si sente, ed in modo sempre più sinistramente distinto, è appunto l’urlo di chi vuole prevaricare il sistema, non riformarlo o migliorarlo.
Virginia Raggi Sindaco di Roma
La commedia referendaria va in onda in contemporanea alla tragicommedia del Comune di Roma. L’accertata incapacità del Movimento Cinque Stelle di accreditarsi come forza di governo (non riescono a fare una Giunta al Campidoglio, figuriamoci una compagine che regga Palazzo Chigi meglio dell’Armata Brancaleone del Partito Democratico) aggrava, anziché semplificare, il quadro politico e sociale complessivo. E la figura di Beppe Grillo finisce per destare non meno inquietudini di quella di Matteo Renzi.
Considerata dal punto di vista dei cittadini pressoché inermi in questa contesa, la questione è chiara. E’ il caso di mettere in mano a forze assolutamente inaffidabili come gli attuali due terzi del Parlamento in carica (illegalmente tra l’altro, ricordiamo, come dichiarato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 1/2014, ben dopo quindi la sua elezione) uno strumento come una Carta Costituzionale riformata nel senso di rendere il Senato un organismo di nomina regia, come nemmeno nello Statuto Albertino o durante il ventennio fascista?
E’ il caso di dare a questa gente addirittura un premio di maggioranza superiore al doppio dei voti eventualmente presi? Che sia Grillo o Renzi, che sia Boschi o Raggi, è il caso?
La cultura democratica e legalitaria è sempre più ai margini della vita sociale (lasciamo perdere politica) di questo paese. Che ha tempo circa sessanta giorni per decidere di che morte deve morire. E se è più giusto avere paura dei cosiddetti mostri che vengono dall’estero, o non piuttosto di quelli che ci siamo allevati in casa.

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