venerdì 27 marzo 2015

Yuri Gagarin, non si trattano così gli eroi

Per i suoi concittadini all’epoca era un Eroe dell’Unione Sovietica, la massima onorificenza possibile nel suo paese, il massimo livello raggiungibile dall’orgoglio di una nazione che all’epoca ne aveva tanto, per tanti motivi. Per il resto del mondo, fu l’uomo che per primo lasciò il suolo terrestre per andare verso le stelle, ipotecando non soltanto la Corsa allo Spazio che era diventata uno dei principali ambiti di applicazione della Guerra Fredda fra USA e URSS ma vincendo anche quei limiti che erano stati imposti all’essere umano dalla Creazione del Mondo, dall’Alba dei Tempi.
Per gli USA, fu la campana dell’Ultimo Round, l’avviso che se volevano la vittoria finale in quella stessa Corsa allo Spazio era ora di darsi da fare e inventarsi qualcosa, come ad esempio quel programma Mercury che nel giro di pochi anni portò l’Apollo 11 ad allunare nel Mare della Tranquillità.
Yuri Alekseevic Gagarin era nato nei dintorni di Smolensk il 9 marzo 1934 in un kolchoz sovietico e fin da piccolo aveva dimostrato una spiccata propensione per le materie scientifiche. Diplomatosi metalmeccanico, aveva scoperto la sua vera passione iscrivendosi ad una scuola di volo, e poi all’Accademia Aeronautica Sovietica. Quando si diplomò, nel 1957, era pronto per l’appuntamento con il destino. In quell’anno infatti l’Unione Sovietica sorprese i rivali statunitensi ed il mondo intero mostrando che il paese che era emerso dalla Seconda Guerra Mondiale vittorioso grazie allo sforzo sovrumano dell’Armata Rossa ma in realtà ridotto ad un cumulo di macerie e costretto a piangere 22 milioni di morti si era portato talmente avanti nella corsa allo sviluppo tecnologico indotto dalla Guerra Fredda da risultare addirittura in vantaggio.
Il 4 ottobre 1957 l’URSS dimostrò che il volo spaziale era possibile, lanciando in orbita lo Sputnik 1. L’astronave, il cui nome in russo significava compagno di viaggio, rimase in orbita per circa tre mesi mancando di poco il rientro nell’atmosfera. Gli USA, inizialmente in vantaggio da quando nell’ottobre 1947 Chuck Yaeger era stato il primo uomo a raggiungere la velocità di Mach 1 (la velocità di propagazione del suono) a bordo del suo Bell X-1 nel deserto del Nuovo Messico, dieci anni dopo si ritrovarono superati dalla tecnologia di un paese fino a quel momento ritenuto arretrato e pericoloso soltanto grazie all’attività spionistica che aveva consentito il passaggio di campo delle informazioni necessarie alla costruzione di armamenti nucleari.
Di fatto, il lancio della prima astronave americana equivalente allo Sputnik, l’Explorer 1, avvenne nel gennaio 1958 con tre mesi di ritardo, quando già i sovietici stavano lavorando al varo della prima missione nello spazio con equipaggio umano, e avevano appunto selezionato tra gli altri a tale scopo il giovane neo-cosmonauta Yuri Gagarin. Yuri risultò il prescelto tra 20 candidati, e il volo sulla Vostok 1 spettò a lui.
In russo Vostok significa oriente, la riaffermazione di un orgoglio giustificato in quel momento in faccia ad un Occidente incredibilmente superato nonostante un vantaggio tecnologico clamoroso, e nel bel mezzo di quello che veniva già allora definito il secolo americano. La Vostok 1 decollò il 12 aprile 1961 dalla base di Baikonur in Kazakistan, il più antico cosmodromo del mondo. Erano le 9:07 di mattina, e l’Unione Sovietica consegnò alla storia un record che sarebbe rimasto suo per sempre.
Dopo i vari tentativi effettuati con il sacrificio di cagnette come Laika, i russi misero finalmente a punto una navicella spaziale in grado non soltanto di lasciare il suolo terrestre ma anche di farvi ritorno, e finalmente rischiarono il primo uomo in orbita tra le stelle. Toccò a Yuri Gagarin raccontare ad un mondo che dall’alba dei tempi era abituato a considerare quelle stelle come divinità irraggiungibili o come lo sfondo altrettanto irraggiungibile di quel cielo sotto cui si svolgeva la propria esistenza immutabile, che la Terra vista dallo spazio era “blu… meravigliosa… incredibile”.
Il volo più leggendario dai tempi di quello di Icaro durò in tutto 88 minuti. Verso le 10:00 di quella mattina il computer che da Terra controllava la missione e il destino di Gagarin comandò l’accensione dei retrorazzi, e la navicella iniziò la ridiscesa verso il suolo terrestre, superando felicemente l’impatto con l’atmosfera e portando alle 10:20 circa il primo uomo delle stelle a posare di nuovo i piedi sul suolo del suo pianeta d’origine presso Saratov, sul basso Volga. Yuri Gagarin aveva soltanto 27 anni, e un posto nella storia dell’umanità, oltre che nella Galleria degli Eroi del Kremlino.
Da quel momento l’uomo delle stelle, con il petto carico di medaglie tra cui l’ambito Ordine di Lenin conferitogli da Krushev, collaborò allo sviluppo del programma spaziale sovietico ed al mantenimento del vantaggio acquisito sugli americani, che ancora non avevano dato il via al programma Apollo. Gagarin era nello staff che mandò nello spazio Valentina Tereskova, la prima donna cosmonauta, e che sviluppò la Sojutz, apparentemente il nuovo gioiello dell’industria spaziale comunista, in realtà la tomba volante che costò la vita ad alcuni dei colleghi di Gagarin e su cui si arenò la corsa allo Spazio dell’URSS. Proprio in occasione dell’incidente mortale del collega Komarov nel 1967, Gagarin decise di tornare al volo terrestre sugli aviogetti da cui era stato prelevato quando era stato trasformato in cosmonauta, i Mig.
Ma il destino a volte sembra preferire che gli Eroi, anche quelli dell’Unione Sovietica, muoiano giovani. Il 27 marzo 1968, mentre pilotava un caccia Mig - 15UTI, l’uomo delle stelle rimase vittima di un misterioso incidente presso Kirzac nella Russia centrale non lontano da Mosca, e si schiantò al suolo. La sua salma venne tumulata nel Kremlino, come si conveniva. Sull’incidente invece vennero diffuse versioni poco chiare, dal complotto imperialista all’apparizione degli UFO fino alle non perfette condizioni fisiche dello stesso Gagarin che l’avrebbero indotto ad una manovra errata. Probabilmente – si insinuava – finito contro un pallone sonda non visto a causa di qualche bicchierino di vodka di troppo. Versioni sussurrate, ovviamente, perché niente poteva infangare la memoria dell’Eroe, e meno che mai il buon nome dell’Aeronautica sovietica.
Ancora nel 2011, una commissione d’inchiesta incaricata di redigere un rapporto ufficiale e definitivo sulla tragedia che aveva rimandato definitivamente in cielo Yuri Gagarin aveva concluso che la responsabilità era da imputarsi ad una manovra sbagliata del pur esperto pilota, finito contro una mongolfiera per una disattenzione inspiegabile. Soltanto in questi giorni, uno dei membri di quella commissione, l’altrettanto celebre ex cosmonauta sovietico Aleksei Leonov, che ha legato il suo nome ad un’altra impresa prestigiosa quale la prima passeggiata nello spazio di un astronauta (missione Voskhod, 1965), ha detto ai giornalisti di Russia Today quello che evidentemente non si può scrivere, ancor oggi, in un rapporto ufficiale.
Quel giorno, Yuri Gagarin ed il suo copilota Vladimir Seryogin non ebbero scampo perché tre caccia Sukhoi Su-15 si trovarono dove non d ovevano essere, cioè sulla linea di volo del più piccolo velivolo pilotato dall’esperto e glorioso ex cosmonauta orgoglio e vanto dell’URSS. La turbolenza creata dagli aviogetti più potenti condannò a morte Gagarin. Ed avrebbe – se conosciuta dal mondo - diffuso dell’URSS che aveva collezionato tutti quei record prestigiosi nella Corsa allo Spazio una immagine molto meno efficiente. Il che era intollerabile per il regime sovietico nel pieno della Guerra Fredda, ma lo era ed è quasi altrettanto per la nuova Russia di Putin che celebra le glorie del passato con altrettanta enfasi, a prescindere dal tipo di governo che le ha ottenute.

Il figlio di un falegname e di una contadina sovietica che per primo aveva portato i sogni dell’umanità oltre i limiti stabiliti dalla Genesi può finalmente riposare in pace, dunque. Il cielo per lui non aveva segreti né limiti, e chissà se non sarebbe stato destinato a rivedere di nuovo il Pianeta Blu dallo Spazio (magari negli stessi giorni in cui l’Apollo 11 comandato da un’altra leggenda, Neil Armstrong, partiva per il Mare della Tranquillità) se non fosse stato per la scarsa avvedutezza non sua ma di qualche suo collega di cui non sapremo mai il nome. E per l'inefficienza e l'ipocrisia dello stesso governo che gli aveva appuntato sul petto le sue meritate medaglie e a cui lui aveva tributato onore e gloria immortali.

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