giovedì 19 marzo 2015

Crociera di sangue



La calda estate del 2001, che avrebbe cambiato per sempre la storia del mondo, cominciò in Afghanistan a Bamiyan, quando i Talebani che controllavano allora il paese decisero e attuarono la distruzione dei Buddha che da quasi 2.000 anni sorvegliavano la vallata dai costoni di pietra prospicienti. All’inizio oppure al culmine di una guerra di religione c’è sempre un atto di iconoclastia. Si vuole distruggere, attraverso i simboli, oltre all’avversario l’idea stessa di avversario. C’è un solo Dio, Allahu akbar.
La guerra di religione che va avanti dal VII secolo dopo Cristo tra Islam e Cristianesimo è una guerra a tappe. Non è mai finita, si interrompe soltanto momentaneamente, per stanchezza delle parti oppure per occasionale prevalenza degli elementi più laici nei rispettivi campi avversi. Lo sapevamo anche prima che Papa Francesco lo ribadisse in uno dei suoi ultimi discorsi.
L’Isis è sicuramente l’ultimo mostro in ordine di tempo creato da una certa realpolitik per scopi più o meno inconfessabili e poi scappato di mano al suo creatore, come il Golem della leggenda nera ebraica. Ma è anche – fin dove è genuino - l’ennesimo Baal Moloch in cui si è incarnato il fanatismo islamico in questo scorcio di ventunesimo secolo, quando si pensava ormai illusoriamente che le Primavere Arabe portassero ad una laicizzazione di quelle società che invece purtroppo è ben lungi da venire.
L’Isis colpisce in tutti i modi che eccitano in negativo la nostra fantasia occidentale, da troppo tempo abituata ai confort ed ai gadget dell’età moderna. Taglia la gola come facevano i pirati berberi all’epoca della Battaglia di Lepanto o del Sacco di Otranto, e rinnova così la paura ancestrale nascosta in profondità nelle nostre coscienze cristiane, quel “mamma li Turchi!” che risuonava spesso lungo le nostre coste in epoche meno comode per viverci dell’attuale. E distrugge le vestigia artistiche ed architettoniche di epoche e civiltà gloriose, ciò che condisce cioè con spezie assolutamente insostituibili le pietanze delle nostre irrinunciabili vacanze di occidentali. Ieri l’altro Mosul, ieri Ninive, oggi Tunisi, domani chissà. Dovunque la morte faccia da propaganda al fanatismo.
A Tunisi la posta si è alzata, sono state fatte entrambe le cose, l’assalto al Museo e le gole tagliate. Sotto gli occhi dell’occidente, in pieno giorno e a telecamere accese, nell’unico paese in cui una parvenza di Primavera Araba aveva dato qualche frutto non indigesto. Diciassette turisti morti (oltre a due tunisini) e una quarantina di feriti è il bilancio dell’aggressione di ieri al Museo del Bardo da parte della locale cellula jihadista. Di queste vittime, almeno due accertate sono italiane, crocieristi in gita secondo le più felici usanze di questi tempi.
La notte scorsa la nave “Costa Fascinosa” della Costa Crociere è ripartita senza tredici dei passeggeri con cui aveva attraccato nel porto della capitale tunisina. La Costa, che non sta vivendo certo il periodo più fortunato della propria esistenza, sta collaborando attivamente con la Farnesina per stabilire esattamente la sorte di tutti i connazionali nonché degli altri passeggeri che le avevano affidato l’organizzazione delle proprie vacanze invernali. Il primo ministro tunisino, al termine di una giornata in cui del commando di cinque terroristi (tutti latitanti da mesi) ne sono stati abbattuti due e ne sono al momento sfuggiti tre, parla di una “lunga guerra da combattere”.
E’ la contraddizione del mondo in cui stiamo vivendo, questo Mare Mediterraneo che non si sa più bene cosa sia, in cui si incrociano le navi da crociera con i barconi della disperazione sotto gli occhi di motovedette impotenti, con regole di ingaggio malcerte. Non è più Mare Nostrum e non è ancora tornato il mare di Lepanto, ma sta andando in quella direzione. Quella che molti di noi si ostinano a considerare la location ideale delle nostre vacanze da status symbol, per l’altra sponda è ormai un teatro di guerra.
Una guerra per ora da “Armiamoci e partite”, tutti fremono dal desiderio di dichiararla, tutti sperano che il primo a scattare dai blocchi sia il vicino. Non si sente mai parlare così tanto di Europa come in queste ore. Non è mai stata così divisa e inesistente come adesso, l’Europa.

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