venerdì 24 aprile 2015

25 aprile 1945

Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire!”.
Settant’anni fa, all’ora in cui più o meno oggi facciamo colazione, Sandro Pertini per voce del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava alla radio l’insurrezione generale delle forze partigiane in tutti i territori che ancora restavano sotto il controllo dei nazifascisti. Alle 8 circa, la Brigata Garibaldi, il Corpo Volontari per la Libertà e le altre formazioni resistenziali che si erano costituite a Milano, Bologna, Venezia e negli altri centri principali dopo l’8 settembre 1943 cominciarono l’occupazione delle fabbriche, delle prefetture e della viabilità per contrastare la resistenza prima e la fuga poi dei gerarchi fascisti e degli ultimi occupanti della Wehrmacht e delle SS.
I partigiani avevano cominciato a scendere dalle montagne già nei giorni precedenti, affluendo verso i luoghi delle ultime battaglie. Genova era stata liberata il 23, Bologna addirittura il 21. La lunga notte calata sul territorio nazionale dopo l’armistizio di Badoglio e la violenta reazione dei nazisti volgeva al termine. Gli ultimi mesi erano stati lunghi ed ancora più tragici. Dopo la liberazione di Firenze l’11 agosto 1944, il fronte si era fermato sulla Linea Gotica, lo schieramento difensivo tedesco piazzato dal Feldmaresciallo Kesselring da Massa-Carrara a Pesaro, dal Tirreno all’Adriatico. E lì era rimasto bloccato fino alla primavera successiva.
Alla metà di aprile, solo Hitler ed i suoi più ristretti collaboratori come Goebbels erano rimasti convinti della possibilità di vittoria finale per il Reich. La loro tragica follia fu rincuorata per un istante dalla morte del presidente americano Franklin Delano Roosevelt avvenuta il 12 aprile. Subito dopo gli angloamericani (che fin dai primi di marzo avevano varcato il Reno a Remagen entrando in Germania) ed i sovietici (che avevano fatto lo stesso attaccando la Prussia Orientale dalla Polonia dove avevano scoperto i campi di concentramento come Auschwitz) dettero l’ultima spallata che li avrebbe portati ad incontrarsi sull’Elba proprio quel 25 aprile 1945, lo stesso giorno in cui l’Italia si liberava delle ultime vestigia della più odiosa e sanguinosa occupazione tra quante ne aveva subite nella sua lunga storia. Lo stesso giorno in cui metteva fine a 23 anni di dittatura fascista.
Sulle scale dell’Arcivescovado di Milano, Sandro Pertini incontrò Mussolini in fuga, e fu l’ultima volta in cui colui che era stato il Duce fu visto vivo da esponenti ufficiali della Resistenza. Dopo, nei giorni seguenti, la sua fuga travestito da soldato germanico verso il fantomatico ridotto della Valtellina e la sua fine a Giulino di Mezzegra per mano del plotone d’esecuzione comandato dal partigiano Valerio sono tutt’ora oggetto di studio da parte degli storici, ammantate più di leggenda che di verità accertata. Il Duce del Fascismo riapparve il 29 a Piazzale Loreto, ormai cadavere esposto al linciaggio della folla inferocita da cinque anni di guerra senza quartiere e senza pietà.
I gerarchi fascisti erano stati tutti condannati a morte dal C.L.N.A.I. “Arrendersi o perire!” fu appunto la parola d’ordine con cui la resa venne intimata dai partigiani a tuti coloro che in vario grado e a vario titolo si erano schierati dalla parte di Salò. Seguì il periodo difficile della resa dei conti tra partigiani ed ex-fascisti, che proseguì grosso modo fino all’amnistia promulgata un anno dopo circa dal Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti. Nello stesso periodo si decise di consacrare quel 25 aprile come festa nazionale. Fu il Luogotenente Umberto di Savoia a decretarlo, poco prima che il popolo italiano trasformasse lo Stato da monarchia in repubblica.
Di tutte le feste, più ancora forse del 2 giugno anniversario del referendum per la repubblica o del 4 novembre anniversario della grande vittoria nella prima guerra mondiale, l’ultima guerra di indipendenza, il 25 aprile è rimasto nel cuore degli italiani perlomeno delle generazioni che hanno vissuto quel giorno o ne hanno sentito parlare come si fa con una memoria ancora vivida. Vi è rimasto perché in fondo simboleggia il momento più nobile della storia d’Italia, il giorno in cui la nazione si liberò da una dittatura e da una occupazione straniera che potevano essere fatali, ed in cui ritrovò la dignità perduta l’8 settembre.

Sono sempre meno purtroppo i partigiani dell’A.N.P.I. che sfilano in questa giornata a ricordo di quello che ebbero il coraggio di fare settant’anni fa. La legge di natura non fa sconti nemmeno agli eroi, ai superstiti di quella guerra di liberazione che finì per essere – per la prima volta – una guerra di popolo come nemmeno il Risorgimento aveva saputo diventare. Ma di tutte le feste che il calendario italiano propone, questa del 25 aprile più di ogni altra resta in eredità al cuore di tutti e al di fuori di ogni discussione. Fu quel giorno che l’Italia si meritò il posto che da allora ha occupato tra le nazioni del mondo civile.

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