lunedì 13 aprile 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: 600 partite e zero titoli

12 aprile 2015, la Fiorentina crolla di schianto al San Paolo di Napoli tre giorni dopo aver offerto la stessa cortesia alla Juventus in casa, festeggiando nel peggiore dei modi una ricorrenza particolare. E’ la gara n. 600 della famiglia Della Valle come proprietaria della A.C.F. Fiorentina. Una ricorrenza di quelle importanti, che spingono a guardare indietro oltre che avanti, a redigere bilanci e – per usare concetti e termini cari agli stessi imprenditori marchigiani – a formulare o riformulare progetti.
La prima gara era stata il 21 agosto 2002 allo Stadio Franchi, allorché una Fiorentina messa insieme in neanche 20 giorni, senza più maglia viola né giglio sul petto e nemmeno il nome stesso Fiorentina, affrontò il Pisa in una gara che servì esclusivamente a mostrare alla gente di Firenze che aveva ancora una squadra di calcio. La gara si concluse sull’1-0 per gli ospiti, ma lo stralunato pubblico che vi assisté, lungi dal considerare quella sconfitta come un risultato negativo, poté festeggiare lo scampato pericolo e stringersi attorno ai suoi ragazzi, che sotto il nome di Florentia Viola erano di lì a poco attesi da un compito difficilissimo: riportare la squadra di Firenze dalla C2 alla serie A nel più breve tempo possibile.
Lo scampato pericolo era quello della morte del calcio a Firenze. La sera del 31 luglio era scaduto il termine dato dalla COVISOC a Vittorio Cecchi Gori per presentare dei bilanci in ordine e iscriversi al campionato di serie B, nel quale la Fiorentina era retrocessa alla fine della sciagurata stagione precedente. Quella notte i fiorentini andarono a dormire con la consapevolezza che la A.C. Fiorentina non esisteva più, e che il risveglio li avrebbe costretti ad affacciarsi su un avvenire che più nebuloso non si poteva. Il giorno dopo, invece, i fiorentini seppero che il Comune si era ripreso il titolo sportivo come da regolamento e che il Sindaco Leonardo Domenici insieme all’Assessore allo sport Eugenio Giani erano in partenza per andare a raggiungere sulla sua barca ormeggiata a Cannes un misterioso imprenditore marchigiano, Diego Della Valle, fino a quel momento conosciuto soltanto da quei pochi che potevano permettersi un paio di Tod’s ai piedi, il prodotto di punta delle aziende di famiglia.
Domenici, presidente pro-tempore (in quanto Sindaco di Firenze) della nuova società sportiva Fiorentina 1926 Florentia, aveva 48 ore di tempo per trovare un successore dotato delle risorse economiche necessarie a far rinascere la squadra di calcio della sua città. I candidati erano due, da una parte c’era Enrico Preziosi, industriale del giocattolo che si diceva legato al centrodestra (leggasi Berlusconi) e che da tempo aveva messo gli occhi sulla morente Fiorentina di Cecchi Gori, dall’altra c’era questo outsider che si sapeva legato al centrosinistra (leggasi Mastella, e indirettamente D’Alema). Ambedue in cerca di visibilità, del salto di qualità nel Gotha degli imprenditori, il secondo si faceva indubbiamente preferire dagli amministratori fiorentini per la connotazione politica. Sulla barca alla fonda nel porto di Cannes Diego Della Valle disse sì, e l’avventura della Florentia Viola cominciò, ufficialmente il 3 agosto 2002. Diciotto giorni dopo, una squadra completamente inventata più che rinnovata scese in campo a difendere i colori che non potevano in quel momento essere viola (c’era il rischio di ereditare in sede giurisdizionale tutte le passività di Cecchi Gori) ma che comunque erano quelli di Firenze.
La storia degli 13 anni e delle 600 partite successive è stata altrettanto affascinante, sorprendente e a tratti anche drammatica. A tutt’oggi, va detto, il bilancio della proprietà di Diego e Andrea Della Valle (la seconda più lunga della storia dopo quella del fondatore, il marchese Ridolfi) è – per dirla alla Mourinho – di zero tituli, insieme alla seconda peggior media piazzamento in campionato della storia viola.
Finita l’epopea della risalita in Serie A, conclusasi dopo soli due anni con la scorciatoia della C1 evitata per la riammissione del Catania di Gaucci in B e con il drammatico spareggio con il Perugia, vennero gli anni dei "cattivi pensieri" di Dino Zoff, che riuscì ad evitare un immediato ritorno in B per il rotto della cuffia, e di Calciopoli, allorché la cavalcata della bella Fiorentina del primo anno di Prandelli e della Scarpa d’Oro Luca Toni fu vanificata dalla penalizzazione inflitta dalla giustizia sportiva per le telefonate fatte l’anno precedente da esponenti della società ad Innocenzo Mazzini, allora vicepresidente della FIGC, quando sembrava che il Palazzo avrebbe rispedito la Fiorentina (nel frattempo tornata a chiamarsi con il suo nome per il riacquisto del titolo sportivo e dei trofei da parte di Diego Della Valle) nell’inferno della serie cadetta.
Vennero poi gli anni della rimonta da – 15 punti e delle quattro Gembions – per dirla con il vulcanico direttore sportivo di allora Pantaleo Corvino – che equivalevano a quattro scudetti conquistati da una società esclusa da una sostanziale redistribuzione dei diritti tv. Cesare Prandelli fece volare in campionato e in Coppa una Fiorentina a cui il Palazzo in effetti non regalava mai nulla, e che tuttavia in un paio di occasioni riuscì ad andare davvero in Champion’s League, dopo aver sfiorato e visto svanire dal dischetto dei rigori contro i Glasgow Rangers la finale di Europa League. Sembrava che, dopo un avvio lungo e faticoso e dopo aver smussato volente o nolente certe sue spigolosità caratteriali che lo avevano portato in rotta di collisione con tutta la Lega Calcio, Diego Della Valle fosse in procinto di mantenere la sua promessa di portare lo scudetto a Firenze entro il 2011. E proprio quando invece sembrava che il giocattolo fosse a un passo dall’essere messo a punto, improvvisamente si ruppe.
Nell’anno in cui la Fiorentina espugnò Liverpool e costrinse il Bayern Monaco a ricorrere alle “sviste chilometriche” dell’arbitro Ovrebo per salvare le penne contro Gilardino & C., i fratelli Della Valle parvero improvvisamente perdere il senno, oltre alle motivazioni che li avevano spinti fino a quel momento al timone della barca viola. Dapprima Andrea si dimise da Presidente, lamentando da parte della appena rinnovata amministrazione comunale (leggasi Matteo Renzi) il non rispetto degli impegni presi con la precedente (leggasi Domenici e leggasi anche Cittadella di 80 ettari a Castello).
Il campionato non era nemmeno cominciato che la Fiorentina si ritrovò senza Presidente e con un patron, Diego, che litigava di brutto con il Comune e che ad un certo punto decise anche di non sopportare più nemmeno Prandelli. Lo scontro pubblico con il Mister si trasformò in un braccio di ferro per la popolarità tra i fiorentini, e Diego scoprì in quella circostanza che malgrado tutto, riconoscenza e contentezza di avere (come disse qualcuno) il babbo ricco, lui non era al primo posto di quella graduatoria. Prandelli dovette (si fa per dire) optare per la Nazionale a fine stagione, prendendo il posto di Marcello Lippi dopo il disastro sudafricano, ma il feeling che c’era stato fino a quel momento tra i fratelli di Casette d’Ete e i fiorentini parve seriamente incrinato.
Seguirono gli anni del vivacchiare, in cui la società ed i suoi programmi apparvero decisamente ridimensionati. Il mancato investimento a Castello sembrava aver tolto ad Andrea e Diego Della Valle ogni stimolo a continuare l’avventura viola. Nel frattempo, il successore di Prandelli, l’inesperto Sinisa Mihajlovic, dimostrava di non avere più in pugno la squadra e di non saperle dare un gioco convincente, mentre molti dei suoi componenti cominciavano a guardare altrove per una sistemazione. Mentre Diego si defilava sempre di più fino a rimanere quasi un’entità astratta, un nume tutelare non si sapeva più quanto benevolo, Andrea rimaneva nei pressi della squadra pur apparendo sempre più sconcertato e privo di idee per rilanciare una baracca che faceva sempre più acqua.
Mentre cominciavano a prendere piede le voci di potenziali acquirenti (la Red Bull, laWind), la truppa di Mihajlovic affondava attraverso prestazioni sempre più grigie e meno redditizie in termini di classifica. La telenovela Montolivo, mal gestita sia dalla società che dallo stesso interessato e dai suoi procuratori, e l’avvento in panchina del sergente di ferro Delio Rossi furono la goccia che fece traboccare il vaso. La notte in cui la Juventus venne a passeggiare allo Stadio Franchi segnando 5 gol ad una squadra di ectoplasmi ed infliggendo altrettante pugnalate all’orgoglio di Firenze, parve che la storia decennale della Famiglia Della Valle in viola fosse arrivata a compimento. Malamente, così come del resto erano finite le storie dei Pontello e dei Cecchi Gori.
Salvi per miracolo, nonostante gli schiaffi di Delio Rossi ad Adem Llajic e una serie di partite da dimenticare soltanto, al raduno di Moena il nuovo allenatore Vincenzo Montella pareva deputato a gestire una squadra di fantasmi dall’avvenire (una volta di più) estremamente buio. E invece, il giocattolo che era stato rotto alla fine dell’agosto 2009 fu riaccomodato come per miracolo al principio dell’agosto 2012. Bastò che il Comune pronunciasse la parola magica “Mercafir” perché gli uomini di un rimotivato Andrea Della Valle, il nuovo Diesse Daniele Pradè arrivato al posto di Corvino caduto in disgrazia ed iltalent scout spagnolo Eduardo Macia fossero sguinzagliati per l’Europa a mettere insieme in pochi giorni - come era già successo 10 anni prima con Galli e Salica – una squadra che sarebbe stata capace di far tornare il sorriso sulle labbra ai tifosi ed il bel gioco ed i risultati a Firenze.
Cominciò un nuovo progetto, tuttora teoricamente in via di sviluppo. In tre anni i Montella Boys hanno sfiorato spesso le zone altissime della classifica, il paradiso sia in ambito nazionale che internazionale. In una parola, hanno visto almeno in lontananza quel primo titolo che ancora manca ad una bacheca ferma al 13 giugno 2001, quando Manuel Rui Costa – l’ultimo capitano di Valeria e Vittorio Cecchi Gori – alzò al cielo l’ultima Coppa Italia.

A detta di Andrea Della Valle Firenze merita quello che ha avuto in questi anni ed anche molto di più. Rispetto ad un tempo il fratello maggiore Diego al Franchi ci viene molto meno, ma quello che conta è che la famiglia appare di nuovo determinata a riprendere insieme alla Fiorentina quella scalata al successo cominciata 13 anni fa. Quando sembrava che in riva all’Arno, calcisticamente parlando, stesse per crollare irreparabilmente il mondo. E pochissimi sapevano chi fossero i proprietari del marchio Tod’s.

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