Poco dopo le
17:00 del 23 maggio 1992 l’aereo che portava in Sicilia da Roma Giovanni
Falcone e la moglie Francesca Morvillo atterrò a Punta Raisi vicino Palermo.
Antonio Montinaro, il caposcorta del giudice, si era già mosso con le auto
blindate dalla Caserma Lungaro per andarlo a prendere. Come sempre, i viaggi di
Falcone e dei suoi colleghi venivano decisi all’ultimo momento affinché nessuno
ne sapesse nulla.
Come sempre, il Capo dei Capi, Totò Riina, ed i suoi uomini sapevano tutto in
anticipo grazie alle talpe infiltrate al Ministero di Grazia e Giustizia, dove
Falcone era stato chiamato a collaborare da più di un anno dal Ministro Claudio
Martelli, o alla Procura della Repubblica di Palermo, dove il magistrato aveva
operato negli anni precedenti, dove rimanevano i suoi amici e colleghi come
Antonino Caponnetto, Paolo Borsellino e Giuseppe Ayala, dove il Corvo l’aveva perseguitato per anni facendogli terra
bruciata intorno.
Giovanni Falcone era nel
mirino della Mafia siciliana da anni. Nel 1989 era sfuggito ad un attentato
presso la sua villa all’Addaura sul Golfo di Mondello vicino Palermo. Era
condannato a morte dai Corleonesi, che a febbraio avevano inviato un gruppo di
fuoco fino a Roma, dove avrebbero dovuto "giustiziarlo" insieme
addirittura al Ministro Martelli. Poi Totò Riina optò per una soluzione siciliana, pretese che l’attentato fosse eseguito in patria, e così fu, perché al Capo dei Capi non si poteva
dire di no. A quell’epoca nemmeno Bernardo Provenzano, in disaccordo sulla
strategia di guerra allo Stato italiano ripresa con l’omicidio di Salvo Lima,
poteva opporsi.
A Capaci, presso lo
svincolo autostradale dove il corteo delle auto di Falcone e della sua scorta
dovevano transitare, c’erano Giovanni Brusca ed Antonino Gioé, appostati sulla
collina da cui potevano azionare a distanza di sicurezza i 400 kg . di tritolo piazzati
sotto la sede stradale. Le auto in transito erano seguite fin dall’aeroporto da
Gioacchino La Barbera, che avvisò dell’arrivo imminente Santino Di Matteo, il
terzo uomo sulla collina di Capaci. Fu Giovanni Brusca, alle 17,58, ad azionare
il telecomando che mise fine alla speranza dei siciliani e degli italiani
onesti, faticosamente rinata dieci anni dopo l’omicidio del Generale Dalla
Chiesa per merito del pool di Caponnetto, di cui
Giovanni Falcone era stato la punta di diamante. Alle 17,58, la storia d’Italia
cambiò per sempre. Niente sarebbe più stato come prima. Niente poteva più
esserlo.
Quando esplose la bomba a
Capaci, si era nel pieno delle Elezioni Presidenziali del 1992. L 'indagine Mani Pulite non era ancora entrata nel vivo, la Prima Repubblica
era ancora in piedi, i candidati principali erano Giulio Andreotti e Arnaldo
Forlani. Quasi una sorta di Premio Oscar alla carriera, per chi aveva governato
per 40 anni e non poteva o non voleva ascoltare il rumore di sottofondo della
marea montante della rivolta popolare. Per chi aveva permesso che le cose
arrivassero a quel punto, quando la bomba esplose.
La bomba di Capaci non si
portò via soltanto il Giudice Coraggioso, ma anche quella Prima Repubblica, con
i suoi rappresentanti. Nel giro di poche ore, Andreotti, Forlani e tutta quella
classe politica furono messi da parte, si dovette trovare in fretta e furia un outsider da presentare al voto parlamentare per l'elezione al
Quirinale, nel tentativo disperato e impossibile di riproporre l’Operazione
Pertini. Così venne eletto Oscar Luigi Scalfaro, una vita da mediano, avrebbe detto il cantante Ligabue. Un curriculum vitae fuori dai grandi giochi di potere. Gli altri passarono
da candidati a imputati, per l’azione di altri giudici che in quel momento non
temevano le bombe, chi le metteva e chi le commissionava. Fu la breve e
controversa stagione di Mani Pulite. Altri giudici invece venivano lasciati
soli, in Sicilia, a combattere una battaglia di giustizia in nome di uno Stato
che in quel momento non c’era più.
A Via D’Amelio già qualcuno
si aggirava per i primi sopralluoghi in preparazione dell’attentato successivo.
Paolo
Borsellino scriveva i suoi
appunti nella famosa Agenda Rossa che nessuno avrebbe
visto più, dopo la sua scomparsa. Il Capitano Ultimo stava mettendo insieme la CRIMOR, il reparto speciale dei Carabinieri che nel gennaio
dell’anno seguente avrebbe messo finalmente le mani sul Capo dei Capi. “Vi perdono, ma inginocchiatevi”, aveva detto Rosaria Schifani moglie di Vito, uno
degli agenti della scorta di Falcone, al funerale di suo marito rivolta ai suoi
assassini. La stagione delle bombe era appena all’inizio.
«Gli uomini passano, le idee
restano.Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe
di altri
uomini» (John Fitzgerald Kennedy,
citazione conservata nel portafoglio di Giovanni Falcone)