«Fare il delegato regionale
per eleggere il Presidente della Repubblica non era un mio diritto. Lo avrei
fatto volentieri, certo, orgoglioso di rappresentare Firenze e la Toscana. Le
telefonate romane hanno cambiato le carte in tavola, peccato. Nessun dramma però,
in politica può succedere. Mi spiace soltanto, la doppiezza di chi parla in un
modo e agisce in un altro. Ai doppiogiochisti dico: forse non riuscirò a
cambiare la politica. Ma la politica comunque non cambierà me. Io quando ho da dire
qualcosa lo dico in faccia, a viso aperto e non mi nascondo dietro i giochini».
Con queste parole il
sindaco di Firenze Matteo Renzi ha commentato la sua esclusione dal gruppo di
grandi elettori designati dalla Regione Toscana a partecipare a breve all’elezione
del Presidente della Repubblica insieme ai membri delle due Camere del
Parlamento in seduta comune, come stabilito dall’art. 83 della Costituzione. I delegati
toscani saranno il governatore Enrico Rossi, il presidente del Consiglio Regionale
Alberto Monaci (PD) ed il consigliere di minoranza Roberto Benedetti (PDL).
I tre membri sono stati
designati dai rispettivi gruppi consiliari e ratificati dallo stesso Consiglio
Regionale. La polemica non si è fatta attendere, minacciando addirittura di
diventare qualcosa di più. Il tono di Renzi appare ancora più spazientito di
quello usato nei giorni precedenti per stigmatizzare i ritardi nella
individuazione di soluzioni alla crisi politica nazionale, imputabili a
giudizio suo e di molti degli stessi elettori del PD al segretario Bersani. Una
prospettiva di rottura appare sempre più prendere corpo.
L’ex candidato segretario
alle primarie PD non ha mai fatto mistero di quanto avrebbe tenuto a far parte
della delegazione toscana. Una scelta che avrebbe significato il riconoscimento
dell’importanza sempre crescente del sindaco di Firenze sullo scenario politico
italiano prima e dopo la consultazione elettorale. Avrebbe significato anche
probabilmente un tentativo sostanziale di riconciliazione tra la base
bersaniana del PD e quella renziana, peraltro in costante aumento e sempre più
di malumore per una crisi a cui sembra che sia proprio la testardaggine del
gruppo dirigente di maggioranza del centrosinistra a non voler trovare
soluzione.
Ma questi accorgimenti evidentemente
non sono nelle corde di quel gruppo, né a livello di segreteria nazionale né a
quello del direttivo toscano. Lo stesso Enrico Rossi, peraltro, è notoriamente
poco incline alla diplomazia e favorisce le soluzioni draconiane e d’impulso,
oltre a non aver mai nascosto la sua scarsa simpatia per l’antagonista (che d’altro
non si tratta) che siede a Palazzo Vecchio.
La smentita di Rossi circa
l’arrivo di veti da Roma alla candidatura di Renzi apre altri scenari: il veto è
partito dalla nomenklatura
toscana. «Devo intervenire ancora,
dopo avere smentito le voci di pressioni da parte di Bersani e di Franceschini,
negando in maniera assoluta che gli emiliani […] mi
abbiano telefonato per negare il sostegno a Renzi come candidato a grande
elettore della Toscana. Niente di tutto ciò è avvenuto e dopo le smentite di
una pressione nazionale sono costretto a smentire una pressione regionale su di
me e sul gruppo Pd della Toscana.
Chi si intende un minimo
dei rapporti che intercorrono tra le regioni cugine sa
bene che la Toscana non avrebbe certo ceduto a pressioni emiliane. Direi quasi
per punto preso, ancor prima che per ogni altra considerazione razionale e
politica - prosegue Rossi -. Si tratta quindi di ricostruzioni di pura fantasia
finalizzate a nascondere la verità: il gruppo del Pd ha votato in autonomia e
così ha fatto il Consiglio regionale. Sarebbe stato meglio, anche a mio avviso,
che la questione Renzi, una volta posta, avesse avuto un esito diverso. Così
non è stato, ma non ne farei un dramma».
Considerazioni
folkloristiche a parte, il messaggio è chiaro. L’establishment regionale del PD, che sostiene Rossi ed il gruppo
bersaniano, ha stoppato il “rottamatore” una volta di più. Potrebbe essere l’ultima.
Non si sarà trattato di un dramma, come dice il governatore toscano, ma
probabilmente della goccia che fa traboccare il vaso sì. Sono sempre più numerosi
gli elettori di sinistra che incitano Matteo Renzi a rompere gli indugi e a
chiudere con la parte conservatrice del Partito Democratico, con il
"vecchio che resiste" (anche prepotentemente) dei Bersani e dei
Rossi. Anche a costo di fondare un nuovo partito. Finora il sindaco di Firenze
ha sempre negato una simile eventualità, non foss’altro per non apparire un
fattore di destablizzazione in un momento di assoluta instabilità e di impasse politico. Ma a giudicare dall’umore che traspare dai
suoi ultimi interventi, non è difficile mettergli in bocca le famose parole che
furono di Cicerone contro Catilina: “fino a quando abuserete della mia
pazienza?”