giovedì 11 aprile 2013

RENZIADE: Rossi sbarra la strada a Renzi come Grande Elettore. E' rottura?




«Fare il delegato regionale per eleggere il Presidente della Repubblica non era un mio diritto. Lo avrei fatto volentieri, certo, orgoglioso di rappresentare Firenze e la Toscana. Le telefonate romane hanno cambiato le carte in tavola, peccato. Nessun dramma però, in politica può succedere. Mi spiace soltanto, la doppiezza di chi parla in un modo e agisce in un altro. Ai doppiogiochisti dico: forse non riuscirò a cambiare la politica. Ma la politica comunque non cambierà me. Io quando ho da dire qualcosa lo dico in faccia, a viso aperto e non mi nascondo dietro i giochini».
Con queste parole il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha commentato la sua esclusione dal gruppo di grandi elettori designati dalla Regione Toscana a partecipare a breve all’elezione del Presidente della Repubblica insieme ai membri delle due Camere del Parlamento in seduta comune, come stabilito dall’art. 83 della Costituzione. I delegati toscani saranno il governatore Enrico Rossi, il presidente del Consiglio Regionale Alberto Monaci (PD) ed il consigliere di minoranza Roberto Benedetti (PDL).
I tre membri sono stati designati dai rispettivi gruppi consiliari e ratificati dallo stesso Consiglio Regionale. La polemica non si è fatta attendere, minacciando addirittura di diventare qualcosa di più. Il tono di Renzi appare ancora più spazientito di quello usato nei giorni precedenti per stigmatizzare i ritardi nella individuazione di soluzioni alla crisi politica nazionale, imputabili a giudizio suo e di molti degli stessi elettori del PD al segretario Bersani. Una prospettiva di rottura appare sempre più prendere corpo.
L’ex candidato segretario alle primarie PD non ha mai fatto mistero di quanto avrebbe tenuto a far parte della delegazione toscana. Una scelta che avrebbe significato il riconoscimento dell’importanza sempre crescente del sindaco di Firenze sullo scenario politico italiano prima e dopo la consultazione elettorale. Avrebbe significato anche probabilmente un tentativo sostanziale di riconciliazione tra la base bersaniana del PD e quella renziana, peraltro in costante aumento e sempre più di malumore per una crisi a cui sembra che sia proprio la testardaggine del gruppo dirigente di maggioranza del centrosinistra a non voler trovare soluzione.
Ma questi accorgimenti evidentemente non sono nelle corde di quel gruppo, né a livello di segreteria nazionale né a quello del direttivo toscano. Lo stesso Enrico Rossi, peraltro, è notoriamente poco incline alla diplomazia e favorisce le soluzioni draconiane e d’impulso, oltre a non aver mai nascosto la sua scarsa simpatia per l’antagonista (che d’altro non si tratta) che siede a Palazzo Vecchio.
La smentita di Rossi circa l’arrivo di veti da Roma alla candidatura di Renzi apre altri scenari: il veto è partito dalla nomenklatura toscana. «Devo intervenire ancora, dopo avere smentito le voci di pressioni da parte di Bersani e di Franceschini, negando in maniera assoluta che gli emiliani […] mi abbiano telefonato per negare il sostegno a Renzi come candidato a grande elettore della Toscana. Niente di tutto ciò è avvenuto e dopo le smentite di una pressione nazionale sono costretto a smentire una pressione regionale su di me e sul gruppo Pd della Toscana.
Chi si intende un minimo dei rapporti che intercorrono tra le regioni cugine sa bene che la Toscana non avrebbe certo ceduto a pressioni emiliane. Direi quasi per punto preso, ancor prima che per ogni altra considerazione razionale e politica - prosegue Rossi -. Si tratta quindi di ricostruzioni di pura fantasia finalizzate a nascondere la verità: il gruppo del Pd ha votato in autonomia e così ha fatto il Consiglio regionale. Sarebbe stato meglio, anche a mio avviso, che la questione Renzi, una volta posta, avesse avuto un esito diverso. Così non è stato, ma non ne farei un dramma».
Considerazioni folkloristiche a parte, il messaggio è chiaro. L’establishment regionale del PD, che sostiene Rossi ed il gruppo bersaniano, ha stoppato il “rottamatore” una volta di più. Potrebbe essere l’ultima. Non si sarà trattato di un dramma, come dice il governatore toscano, ma probabilmente della goccia che fa traboccare il vaso sì. Sono sempre più numerosi gli elettori di sinistra che incitano Matteo Renzi a rompere gli indugi e a chiudere con la parte conservatrice del Partito Democratico, con il "vecchio che resiste" (anche prepotentemente) dei Bersani e dei Rossi. Anche a costo di fondare un nuovo partito. Finora il sindaco di Firenze ha sempre negato una simile eventualità, non foss’altro per non apparire un fattore di destablizzazione in un momento di assoluta instabilità e di impasse politico. Ma a giudicare dall’umore che traspare dai suoi ultimi interventi, non è difficile mettergli in bocca le famose parole che furono di Cicerone contro Catilina: “fino a quando abuserete della mia pazienza?”