lunedì 6 ottobre 2014

La nascita della radio e della televisione

90 – 60. Non sono le misure di una pin-up, ma gli anni che ci separano dalla data di nascita ufficiale nel nostro paese della comunicazione di massa, i cui principali mezzi, in inglese mass media,  forse più di ogni altra cosa hanno rivoluzionato la società umana nel ventesimo secolo.
Era il 6 ottobre 1924 quando da uno studio più o meno improvvisato nei pressi di Piazza del Popolo a Roma la sig.ra Ines Viviani Donarelli pronunciò via etere le parole che costituiscono ufficialmente la prima trasmissione radiofonica di un’emittente ufficiale nella storia d’Italia. La radio era stata messa a punto negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento dalla competizione tra geni come Nikola Tesla, Guglielmo Marconi e Julio Cervera.
Guglielmo Marconi
Dopo un ventennio di sperimentazioni pionieristiche e l’inevitabile impiego militare nella Prima Guerra Mondiale, i governi cominciarono a intuire le enormi potenzialità nel nuovo mezzo di comunicazione di massa anche nella società civile. Nel 1921 era nata la più antica radio della storia tutt’ora in attività, la BBC o British Broadcasting Corporation. In Italia si dovette aspettare tre anni prima che il governo fascista, presieduto dal grande comunicatore per eccellenza Benito Mussolini, favorisse – e monopolizzasse a colpi di decreto – la nascita delle trasmissioni radio, rigorosamente riservate allo Stato, attraverso l’U.R.I., Unione Radiofonica Italiana.
Fu appunto da un microfono cosiddetto “a catafaco installato” in un ammezzato in Via Maria Cristina a Roma, con le pareti fasciate di pesanti tendaggi ad attutire i rumori, che l’annunciatrice Viviani Donarelli alle ore 21,00 del 6 ottobre 1924 disse la storica frase:  "Unione Radiofonica Italiana, stazione di Roma Uno, trasmissione del concerto inaugurale". Dopo un quartetto d’archi di Haydn, il meteo e il notiziario, le trasmissioni terminarono quindi alle ore 22,30 perché l’autonomia delle valvole non permetteva di andare oltre.
Nel 1928 la Radio di Stato era diventata E.I.A.R., Ente Italiano Audizioni Radiofoniche.  La radio, intesa come mass media, fece la storia dell’Italia fascista e poi della Seconda Guerra mondiale. Attraverso le sue onde gli italiani appresero dal Duce della creazione dell’Impero, e poi che era giunta l’ora delle” decisioni irrevocabili”, l’entrata in guerra. Mentre proprio grazie alla radio Giorgio VI di Inghilterra superava il suo handicap della balbuzie nello storico “discorso del Re” a una nazione determinata a resistere a Hitler, Vittorio Emanuele III perse l’occasione di superare il proprio di handicap, una statura fisica misera come quella morale, e lasciò al Maresciallo Badoglio il compito di informare il suo popolo abbandonato a se stesso che era stato firmato l’armistizio ma che la guerra continuava. Cosa di cui gli italiani si stavano comunque accorgendo più per merito delle bombe che del nuovo mezzo di comunicazione. In compenso, grazie ai partigiani coordinati da Radio Londra, avevano fatto la loro comparsa le prime “radio libere”.
Dopo la guerra, l’E.I.A.R. divenne R.A.I., Radio Audizioni Italiane, e mantenne il monopolio a beneficio di uno Stato preoccupato di centellinare la ritrovata libertà al popolo sovrano. Di radio libere si tornò a riparlare 30 anni dopo il 25 aprile, allorché la sentenza n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale abbatté per sempre il monopolio RAI. Ma a quel punto, la gloriosa radio aveva perso lo scettro di mass media per eccellenza. Una nuova diavoleria tecnologica era sopraggiunta a cambiare per sempre i nostri usi e costumi, e a fornire a qualsiasi attività umana un nuovo e più completo palcoscenico, una vera e propria “realtà virtuale”.
La parola “televisione”, formata da un prefisso greco (“tele” = “a distanza”) e da un sostantivo latino (visione, da “video”), era arrivata in Italia come traduzione dell’inglese. Lo scettro del primato culturale e tecnologico stava inesorabilmente passando nelle mani degli anglosassoni. Dopo aver sviluppato la radio, brevetto di un italiano e di uno jugoslavo, essi stavano mettendo a punto la nuova scatola che oltre al suono riproduceva le immagini. La prima trasmissione a distanza aveva avuto luogo a Londra nel 1925 presso il centro commerciale Selfridges, ad opera dell’ingegnere scozzese John Logie Baird.
Monoscopio RAI
La prima televisione a tubo catodico entrò in funzione invece nel 1927 a San Francisco, dove Philo Farnsworth aveva messo a punto un vecchio brevetto dell’ingegnere tedesco Ferdinand Braun. In Italia, l’EIAR cominciò nel 1934 a condurre le prime prove sperimentali di trasmissioni televisive a Torino in un teatro sperimentale. Nel 1939 entrò in funzione il primo trasmettitore televisivo da 2kw presso la stazione EIAR di Monte Mario, che utilizzava la tecnologia tedesca della Telefunken. Tutte queste sperimentazioni furono interrotte dalla guerra mondiale. Ci si accorse che le onde trasmesse interferivano con i sistemi di navigazione aerea, e la nascita della televisione in Italia fu rimandata a tempi migliori, anche perché le attrezzature dell’EIAR furono poi smantellate dalla Wehrmacht occupante e trasferite in Germania.
Dopo la Liberazione e la Ricostruzione, il momento della televisione in Italia arrivò il 3 gennaio 1954, quasi trent’anni esatti dopo la radio, allorché dagli studi del Centro di Produzione RAI di Milano la sig.ra Fulvia Colombo annunciò ai pochi fortunati che possedevano i primi apparecchi a tubo catodico che  “la Rai, Radio Televisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”.
La neonata televisione italiana rese subito un servizio gradito, facendo in tempo a trasmettere i Mondiali di Calcio del 1954 in Svizzera. Per raggiungere tutte le zone del territorio nazionale impiegò almeno altri due anni. Per inaugurare il secondo canale dovette attendere il 1961, quando già programmi come Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno e Il Musichiere di Mario Riva erano diventati fedeli e inseparabili compagni di molti italiani.
Nicoletta Orsomando, storica annunciatrice RAI
Negli anni 70 anche per la televisione arrivò la fine del monopolio di Stato, con le prime ”telelibere” più o meno nello stesso momento in cui si sperimentavano le prime trasmissioni a colori. Anche qui toccò ad un grande evento sportivo, le Olimpiadi di Montreal nel 1976, fare da apripista e teatro sperimentale, con il derby tra i sistemi PAL e SECAM. Pochi anni dopo nacque – non senza polemiche in certi casi sfociate in scontri, come quando dovette intervenire il premier Bettino Craxi nel 1984 per impedire un tentativo giudiziario di abbuiamento - il primo network commerciale ad opera del tycoon milanese Silvio Berlusconi.

Il resto è storia nota, la televisione che ha festeggiato ieri il suo sessantesimo compleanno ormai parla l’inglese commerciale delle pay-tv, pay per view, tv on demand. Il digitale ha sostituito il tubo catodico, e la vecchia scatola di Braun e Fansworth ormai si integra quasi completamente con i computer che stanno ereditando la Terra. Un mondo che anche un genio come quello di Nikola Tesla avrebbe probabilmente fatto fatica ad immaginare.


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