venerdì 27 settembre 2013

Addio Aldo Reggiani, Dick Shelton cavalca adesso con le Frecce Nere

Aldo Reggiani era nato a Pisa il 19 dicembre 1946, aveva intrapreso la carriera di attore ed era giunto alla celebrità nel 1968, interpretando da co-protagonista con Loretta Goggi, Arnoldo Foà e tanti altri una delle più prestigiose riduzioni televisive – come si diceva allora - o più volgarmente sceneggiati  della RAI, la Freccia Nera di Robert Louis Stevenson, sotto la regia di Anton Giulio Majano.
Il successo era stato travolgente, tanto da farne per qualche stagione un attore di primo piano, sia per la televisione che per il cinema ed il teatro. Al cinema era stato scritturato da Dario Argento (Il gatto a nove code), Pasquale Festa Campanile (Conviene far bene l’amore), Luigi Comencini (La donna della domenica), Giuliano Montaldo (L’agnese va a morire). Alla televisione aveva interpretato tra l’altro sempre con Anton Giulio Majano la Pietra di Luna, tratto dall’omonimo romanzo di William Wilkie Collins. A teatro era stato attore e regista (la Norma di Vincenzo Bellini). Era stato anche doppiatore, tra l’altro, di attori come Jeremy Irons, Patrick Swayze e un personaggio della serie televisiva M.A.S.H.
Il 26 giugno scorso durante una vacanza in Sardegna era stato colto da un’ischemia. E’morto a Roma all’età di 66 anni, lascia un figlio, Primo, che ha intrapreso anch’egli la carriera di attore.



…musica di trombe, cavalieri al galoppo nella foresta, le mura di un castello avvolto nella nebbia inglese, presagi di guerra, e la musica di Riz Ortolani che catapultava d’improvviso la nostra domenica nel Medioevo, bianco e nero come tutta la televisione di allora, ma vivido come poteva essere soltanto la nostra fantasia, a cui la RAI ed i migliori registi dell’epoca davano vita in maniera impareggiabile.
La Freccia Nera era il capolavoro di Robert Louis Stevenson, lo scrittore principe del Romanticismo inglese che aveva scritto solo capolavori, l’Isola del tesoro, Il Master di Ballantrae, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde. I libri su cui avevamo sognato da bambini, fintanto che la televisione aveva dato vita, volti e colonna sonora a quei nostri sogni. Era il 1968, Anton Giulio Majano realizzò quello che probabilmente era destinato a restare nella storia televisiva italiana come la madre di tutti gli sceneggiati. La sua regia si sposò alla perfezione con la piéce di Stevenson, con la musica di Riz Ortolani e la popolare sigla a cui Sandro Tumminelli aveva dato le parole ed il cantante Leonardo la voce.
“Sibila il vento e la notte s’appresta, e la nera foresta minacciosa si fa…”. Alzi la mano chi era un bambino a quell’epoca e non ha cantato questo motivetto fino all’infinito, il tormentone di quel 1968. Alzi la mano chi, con la famiglia al completo, non si metteva alla televisione la domenica sera dopo cena, per seguire le vicende delle Frecce Nere che si battevano contro il malvagio Sir Daniel Brackley, magistralmente interpretato da Arnoldo Foà, il signorotto schierato con la Rosa Rossa dei Lancaster al tempo della Guerra delle Due Rose che insanguinò l’Inghilterra alla metà del quindicesimo secolo. Le Frecce Nere che catturano e poi adottano il giovane Dick Shelton, figlioccio di Sir Daniel ma in realtà figlio di Harry, legittimo signore del feudo ucciso da Sir Daniel e amico di Ellis Duckworth, capo dei ribelli.
Dick Shelton era lui, il giovanissimo Aldo Reggiani, che insieme alla giovanissima Loretta Goggi tenne avvinta l’Italia per sette settimane nella fuga da Daniel Brackley fino al trionfo ed alla vendetta finali, quando la guerra termina con la vittoria della Rosa Bianca del Duca di Gloucester, destinato peraltro a regnare come Riccardo III, un sovrano non certo benevolo per gli inglesi, che furono ben felici di passare sotto la signoria dei Tudor pur di liberarsi del gobbo malefico.
Quante storie racchiuse in quella piccola scatola che proiettava immagini in bianco e nero, e che ci portava lontano, grandi e piccini. Alla fine di ogni puntata, la sigla di Tumminelli cantata da Leonardo era il segnale che la domenica era finita, cominciava un’altra settimana di scuola, in attesa di veder cavalcare di nuovo le Frecce Nere. I padri restavano alzati a vedere la Domenica Sportiva di Alfredo Pigna, noi bambini filavamo a letto, contenti della deroga domenicale all’orario limite di Carosello, pronti a risognare le avventure di Dick e Joan, di Aldo Reggiani e Loretta Goggi, a sentire nei nostri sogni  il sibilo della Freccia vendicatrice.
Dick Shelton è andato a raggiungere le Frecce Nere. Un altro pezzo della nostra infanzia se n’è andato per sempre. Ma basta chiudere gli occhi e…….

“sibila il vento e la notte s’appresta….”

venerdì 20 settembre 2013

RENZIADE: Piero Pelù vs Matteo Renzi: Il rock dell'Asfaltatore



«A Berlusconi conviene restare nel governo, ha paura delle elezioni perché sa che se andiamo al voto asfalteremo il Pdl». La retorica è un'arte, lo sapevano già gli Antichi fin dai tempi di Catone il Censore e di Cicerone. Nei tempi moderni quest'arte ha assunto connotazioni di vera e propria scienza, venendo a chiamarsi Marketing Pubblicitario e finendo per essere palestra d'esercizio non più o non soltanto del genio individuale ma di veri e propri esperti curatori di immagine.
Da Berlusconi, che per primo ebbe l'intuizione di traghettare definitivamente l'Azienda in Politica, fino a Renzi che adesso lo vuole imitare prima e asfaltare poi, si parla solo dopo aver studiato attentamente che cosa l'uditorio a cui ci si rivolge vuole sentirsi dire. Se si parla a Sesto San Giovanni (una volta definita la Stalingrado d'Italia, uno dei Comuni più rossi del paese), và da sé che per avere l'applauso si deve promettere non di sconfiggere l'avversario storico della sinistra ma addirittura di sotterrarlo.
Và da sé anche, però, che se a parlare è il Sindaco di Firenze, i suoi concittadini possono tradurre in concreto ogni sua singola parola, perché qui il retore è stato visto all'opera da quattro anni a questa parte. Privilegio – diciamo così – che per ora non è toccato a nessun altro. Se al resto d'Italia le primarie avvelenate di Bersani hanno tolto finora il piacere di assaggiare nella prassi ciò che è sotteso alle teorie renziane, qui a Firenze invece si può scrivere ormai un trattato in materia. E alcune parole destano immediatamente l'attenzione, come il sale su una ferita aperta, verrebbe fatto di dire. Così, se il Sindaco a distanza parla di asfaltare qualcosa, la città – o buona parte di essa – ha un sussulto improvviso.
Da quando esiste il Comune di Firenze, spesso e volentieri più che le parti politiche sono state le avanguardie o comunque i movimenti artistici a rappresentare stati d'animo e malesseri della cittadinanza. Al tempo dei Guelfi e dei Ghibellini, non furono tanto i Cerchi e i Donati a rappresentare le fazioni e gli interessi in gioco (limitando essi semmai la propria azione allo scannatoio reciproco simile alle faide che insanguinavano altre latitudini), ma artisti come Dante Alighieri, Cecco Angiolieri ed altri. In particolare il Sommo Poeta, distribuendo amici ed avversari tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, dette soddisfazione agli umori più profondi, viscerali del suo popolo.
In epoche più recenti, il malumore brontolone tipico dei fiorentini ha avuto la sua voce di sfogo tramite la Voce. Non è un gioco di parole, gli intellettuali di ogni genere che si radunavano attorno a Prezzolini alle Giubbe Rosse in Piazza della Repubblica erano sicuramente più rappresentativi di un establishment che aveva continuato imperterrito prima, durante e dopo il Fascismo a risolvere i suoi contrasti nel chiuso dei suoi circoli ristretti, lasciando fuori completamente la società civile.
Allo stesso modo, l'uscita improvvida del Sindaco con la pessima scelta del termine asfaltare è stata dolorosamente avvertita in una città le cui strade non hanno ormai più nulla da invidiare a quelle di Sarajevo alla metà degli anni Novanta, ma questa sofferenza non è stata né raccolta né interpretata da addetti ai lavori, forze politiche e massmedia. E' toccato invece ad un artista, una volta di più, farsi interprete di un malumore diffuso verso una amministrazione vissuta ormai come distante, inefficiente, in ultima analisi inesistente.
Piero Pelù, popolare cantante dei Litfiba (gruppo rock di successo e di tendenza da almeno un paio di generazioni) ha indirizzato al Sindaco "più latitante della storia di Firenze" una lettera aperta tramite il proprio profilo Facebook, e con il suo stile ironico ha messo in fila il cahier des doléances che per ora è patrimonio del cittadino medio di Firenze, in attesa di diventare patrimonio comune di tutti gli italiani. Il rocker non usa mezzi termini: Renzi «si sente la vittoria in mano per le prossime elezioni politiche nazionali, è riuscito con perseveranza certosina e promesse fantascientifiche a mettere tutti d'accordo all'interno di quel buco nero della politica che è il P.D. (non è l'acronimo di una bestemmia ma ci si avvicina molto), anche il volpone D'Alema si sta inchinando al nuovo che avanza. Bene, aria nuova o aria fritta?».
La descrizione che Pelù fa del Sindaco che vuole fare il Presidente del Consiglio è calzante, comunque uno la pensi: «Il rampante Renzi sa bene di politica fatta all'italiana ma soprattutto sa benissimo cos'è il marketing applicato ad essa (da buon "berluschino" altro non può fare) e così quando arringa il suo fan club ai comizi o va in tivvù fa il toscanaccio con la lingua biforcuta, diventa tagliente, fa "impazzire" il povero Vespa, c'ha una battuta per tutti, risulta simpatico e coinvolgente. La massa forse gli sta credendo davvero e lo voterà, come leader dell'amorfo P.D. lo voteranno sia da destra che da sinistra».
Ma è quando si arriva a menzionare la parola più infelice pronunciata da Renzi da quando è in politica, quell'asfaltare che provoca fitte di dolore al fiorentino medio (e Pelù spiega bene perché), che l'ironia del cantante si fa più tagliente di qualsiasi battuta del Sindaco: «Asfalteremo il PDL!» è una delle sua ultime chicche riprese da qualsiasi massmedia italiano. Bene Matteo, asfaltali tanto stanno alla frutta, ma allora asfalta pure tutti i mafiosi che ci stanno attaccati come sanguisughe da 60 anni, asfalta tutti i massoni che in quanto a lobbismo marcio non sono secondi a nessuno, asfalta tutti quelli come Marchionne, asfalta le lobby farmaceutiche, asfalta gli spacciatori in giro ad ogni angolo di strada, asfalta chi gli dà la roba da vendere, asfalta anche quello che ora non mi viene in mente così magari mi stupisci per una volta. Ma siccome so che non asfalterai niente e nessuno di queste voci (con calma capiremo il perchè) allora come cittadino\contribuente di Firenze ti chiedo se, finito questo mondiale di ciclismo, sarai in grado di asfaltare (o lastricare) le migliaia di pericolosissime buche che ci sono nelle strade
della mia amata città. Grazie dell'attenzione».
Non c'è che dire, Dante Alighieri avrebbe guardato con curiosità (chissà se con ammirazione, ogni epoca ha le sue forme artistiche e relativi esponenti) a questo suo emulo proveniente dal mondo della Musica e dai secoli a venire.
Resta solo l'incertezza sul Girone in cui la voce dei Litfiba avrebbe messo il Sindaco fellone, presumibilmente – crediamo – all'Inferno. Nessun dubbio invece sul verso che avrebbe chiuso il canto dedicato a "colui che ebbe Firenze in gran dispetto", l'ha scritto Renzi stesso in quel di Sesto San Giovanni e gli si attaglia perfettamente, in quanto autobiografico: "Non sono né una superstar né un punto di riferimento. Anzi il fatto che io sia uno dei candidati dice quanto siamo messi male".
E se lo dice lui….