PRETORIA
(Sudafrica) - Giorni fa si era diffusa in tutto il mondo la notizia della sua
morte, dopo il ricovero in ospedale da più di un mese a causa di un’infezione
polmonare. Notizia rivelatasi incontrollata e infondata, e che come sempre in
questi casi gli ha allungato la vita. Madiba festeggia oggi in ospedale
il suo novantacinquesimo compleanno, e con lui tutto il paese che lui ha
contribuito a rendere migliore, più libero, e che ormai lo venera come il Padre
della patria, il Sudafrica.
Le
sue condizioni – dicono i bollettini - paiono in lento e costante miglioramento
per quanto può consentirlo l’età, e allora oggi è un giorno di festa non solo
per i sudafricani ma per quanti in tutto il mondo hanno atteso per lungo tempo
la fine dell’Apartheid, una delle manifestazioni più odiose della segregazione
razziale di tutta la storia umana.
L’uomo
che ha dedicato 67 dei suoi 95 anni al servizio della sua gente e del suo paese
e che nell’iconografia dei progressisti di tutto il mondo ha un’immagine
paragonabile ormai a quella del Mahatma Gandhi come simbolo di liberazione
e di emancipazione razziale verrà festeggiato dai suoi connazionali nella
maniera più singolare possibile: migliaia di volontari (l’invito delle autorità
è rivolto a tutti i sudafricani) dedicheranno oggi 67 minuti del loro tempo al servizio
gratuito della collettività, impegnandosi in attività quali la pulizia ed il
restauro di scuole, ospedali ed altri edifici pubblici o nella distribuzione di
cibo e medicinali ai poveri.
E’ forse
il premio migliore, il più significativo ricevuto da Mandela nel corso della
sua lunga vita, più importante forse di quello stesso premio Nobel per la Pace
assegnatogli nel 1993 poco dopo la sua scarcerazione, allorché insieme
all’allora presidente sudafricano Frederik Willem De Klerk dette la spallata
finale al regime dell’Apartheid che ebbe come conseguenza il suffragio
universale per tutte le etnie del paese e la sua inevitabile vittoria alle
elezioni presidenziali dell’anno seguente.
Nelson
Rolihlahla Mandela era nato il 18 luglio 1918 a Mvezo, un piccolo villaggio
della provincia di Capo Orientale. Che fosse un predestinato lo avevano intuito
già i suoi genitori alla nascita, il suo secondo nome Rolihlahla significa
infatti “colui che provoca guai”. Il primo lo provocò a 20 anni quando fuggì
dal suo villaggio per sottrarsi ad un matrimonio combinato secondo l’uso della
sua tribù, la sua prima azione di lotta per la libertà.
A Johannesburg,
dove studiò legge e divenne avvocato, si unì all’African National Congress,
il partito che si batteva già allora (erano gli anni della Seconda Guerra mondiale)
per l’abolizione della segregazione razziale. Il Sudafrica era un paese membro
del Commonwealth britannico, e aveva già
adottato
l’Apartheid come regime ufficiale, solo la razza bianca aveva diritti
civili e politici.
Madiba,
questo era il nome datogli dal Clan Xhosa (la sua etnia di appartenenza), fu promotore
negli anni ’50 della Carta della Libertà, il manifesto anti-Apartheid che
sarebbe diventato il programma dell’A.N.C. fino alla vittoria finale, e con il
suo studio legale fornì assistenza gratuita a tutti coloro, perlopiù neri, che
venivano accusati di tradimento e incriminati per essersi opposti al regime
segregazionista.
Quando
alla fine toccò a lui, nel 1962, era già il leader più famoso dell’A.N.C. e
comandante dell’ala militare che era stata costituita dal movimento dopo che
diversi manifestanti inermi erano stati uccisi dalla polizia e lo stesso
movimento era stato dichiarato fuorilegge, ritrovandosi quindi costretto ad
operare in clandestinità. Diversamente da Gandhi, il Mandela di allora aveva
smesso di credere nella possibilità di una emancipazione razziale per vie
pacifiche, non violente.
Mandela in visita al suo vecchio carcere a Robben Island |
Condannato
all’ergastolo, nei successivi 27 anni, Nelson Mandela restò rinchiuso nel
carcere di massima sicurezza di Robben Island, al largo di Capetown. Dalla sua
cella continuò a guidare il movimento contro l’Apartheid, il cui regime
con il passare del tempo diventava sempre più odioso ed impopolare. Negli anni
’70 ormai il Sudafrica era completamente isolato a livello internazionale,
escluso da tutti gli organismi politici e dalle manifestazioni sportive. Lo
slogan “Mandela libero” era
uno
dei più ricorrenti in tutte le manifestazioni di piazza a qualsiasi latitudine.
Per
Madiba, che ancora nel 1985 rifiutò una proposta di libertà condizionata in
cambio della rinuncia alla lotta armata, il momento di riacquistare la libertà
senza condizioni arrivò finalmente l’11 febbraio 1990. Il mutato clima
internazionale con la fine della Guerra Fredda e la convinzione che il mondo
fosse entrato in una nuova fase storica in cui i diritti dell’uomo non erano
più comprimibili giustificatamente portarono il presidente sudafricano de Klerk
a valutare che fosse arrivato il momento di cedere alle pressioni internazionali,
ridare legalità all’African National Congress, ridare la libertà al suo leader
di fatto (che ne divenne subito Presidente di diritto) e porre fine alla segregazione
razziale verso i sudafricani di colore.
Primo
presidente nero del Sudafrica dal 1994 al 1999, Mandela ha continuato fino a
tempi recenti la battaglia per i diritti civili e politici dei suoi
connazionali e per l’accreditamento dell’immagine internazionale del nuovo Sudafrica
libero. Uno dei veicoli da lui abilmente individuati per queste operazioni è stato
proprio lo sport, l’ambito cioè su cui si era più clamorosamente manifestato l’isolamento
internazionale del suo paese nei decenni precedenti alla fine dell’Apartheid.
La
nazione che era stata esclusa dalle Olimpiadi a partire dal 1976 a Montreal, contro
cui nessuno voleva andare a giocare né a Tennis in Coppa Davis né a Rugby,
Calcio o qualsiasi altra disciplina, fu per sua iniziativa organizzatrice di
due eventi epocali: i Mondiali di Rugby, organizzati durante la sua presidenza
nel 1995 e vinti dagli Springbok, la leggendaria squadra di casa, ed i
Mondiali di Calcio del 2010, i primi svoltisi nel continente africano, anche
questi fortemente voluti da lui che a causa delle già precarie condizioni di
salute e di un grave lutto familiare non pote’ di fatto assistervi, tranne una
breve comparsata nella cerimonia di chiusura.
Oggi
tutto il mondo guarda all’Ospedale di Pretoria dove è ricoverato, attento a
qualsiasi notizia vera o presunta circa le sue condizioni. Nel frattempo, in
tutto il mondo dalla Gran Bretagna all’Australia si terranno concerti ed
iniziative per omaggiarlo. Ma in fondo, tutto questo ha poca importanza. Come
ha detto recentemente il portavoce dell’A.N.C., adesso stabilmente il partito
di governo sudafricano, quella di Mandela è stata una “vita ben vissuta per
tutti i suoi 95 anni”, e altro da aggiungere non c’é.
Buon
compleanno, Madiba.
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