A Roselle bisogna andarci apposta,
tornandoci nei giorni successivi magari approfittando di una giornata di tempo incerto
per non sottrarre istanti preziosi ai bagni di mare ed alla tintarella. Basta allontanarsi
comunque di soli 8 km dal centro di Grosseto (Marina, Castiglione o Principina sono
a distanze di poco superiori), per rituffarsi all’indietro nel tempo nella
storia raccontata da pietre che testimoniano di un’epoca in cui queste terre
erano il centro del mondo conosciuto, e questa civiltà non aveva nulla da
invidiare a molte di quelle che sono venute dopo di lei, anche in epoche recenti.
Siamo abituati dalla
letteratura e dai racconti dei nostri vecchi a considerare la Maremma una terra
di straordinaria e selvaggia bellezza, ma anche una terra dove la civiltà ha combattuto
molto più che altrove per affermarsi, riuscendovi solo in epoca recente grazie
alle due bonifiche effettuate prima dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di
Lorena-Asburgo e poi dal Cavalier Benito Mussolini, che debellarono insieme alla
Malaria anche condizioni di vita proibitive per chi viveva da queste parti o
era costretto a venirci per lavoro o commercio. Ecco, arrivando a Roselle ci si
rende conto invece che una volta questa parte del mondo era stata baciata dalla
sorte, essendo teatro della nascita e dello sviluppo di quella civiltà del
Mondo Antico che affascina tutt’ora per i livelli di conoscenza e di progresso
raggiunti, e che solo negli ultimi due secoli possiamo dire di aver eguagliato
e superato.
Più o meno nel periodo
in cui Roma era un villaggio le cui fondamenta erano state appena tracciate al
suolo dai capi delle tribù latine ed etrusche che concorsero a darle vita, più
a nord – in un’area che va oggi dall’Emilia Romagna all’Alto Lazio – il popolo
degli Etruschi aveva dato vita ad un insediamento e ad una civiltà che non
avevano nulla da invidiare a quello degli Achei in Grecia. Era un popolo dalle
origini misteriose, dai tratti somatici e culturali che non avevano punti di
contatto con nessun altro tra quelli che abitavano a quei tempi la Penisola,
tanto che si pensa fosse venuto dal Medio Oriente, probabilmente dalla Fenicia,
l’odierno Libano.
Al pari degli antichi
Greci, come forma di governo e organizzazione sociale avevano sviluppato delle
Città-Stato, dette Lucumonie. I Lucumoni erano appunto i Re etruschi,
che non permisero o furono mai capaci di costituire una vera unità politica della
loro nazione. Se questa fu da un lato la loro forza, perché al pari di quanto
avvenne in Grecia impedì di fatto lo sviluppo di regimi centralizzati ed
autoritari favorendo anzi quello di comunità che per i tempi si potevano
definire sostanzialmente democratiche, dall’altro fu la loro debolezza fatale
allorché si trovarono alla resa dei conti con un vicino molto più strutturato
politicamente e militarmente, i Romani.
Una delle leggende più
ricorrenti nel nostro background culturale vuole che i Romani vincitori
distruggessero ogni traccia della civiltà etrusca dopo la sua conquista, in
ragione proprio della fatica che avevano fatto per affermarsi contro il primo e
più pericoloso degli avversari incontrati nella loro marcia verso il dominio
del mondo allora conosciuto. Di sicuro, la storia la scrivono sempre i vinti, e
Tito Livio & C. erano romani purosangue che avevano tutto l’interesse a
magnificare la Repubblica prima e l’Impero poi, a discapito di ogni civiltà che
avesse loro opposto resistenza. Ma è più facile pensare che successe in Etruria
quello che sarebbe successo più tardi in Grecia.
Graecia capta ferum
victorem coepit, come avrebbe scritto il poeta romano
Orazio: la Grecia conquistata finì per conquistare il barbaro conquistatore. E
così accadde in Etruria, con la forza delle armi Roma si impose alla fine ad un
vicino che non aveva la sua stessa organizzazione politica e militare, anche se
nei primi secoli della sua storia le era stato per forza di cose superiore,
Pare addirittura che gli ultimi tre re di Roma fossero etruschi, il che
testimonia della predominanza sostanziale di quella etnia nel nascente
capoluogo del Lazio. Pare addirittura che la rivolta che dette origine alla
Repubblica romana altro non fosse che la rivolta contro la fazione etrusca, e
che l’ultimo re Tarquinio il Superbo fu messo in fuga insieme a tutti i suoi
connazionali dai Latini stanchi di vedere la loro vita pubblica ed economica in
mano ai più avanzati vicini venuti dal nord. Sotto l’attacco di Porsenna e
della Federazione delle Lucumonie, gli Etruschi andarono vicini a riconquistare
Roma, e allora la storia del mondo antico sarebbe stata del tutto differente.
Ma alla fine il tentativo fallì, Roma rimase una Repubblica e rimase latina, e
non appena fu in grado, trascorsi un paio di secoli, regolò i conti con il
popolo venuto da Oriente. Politicamente e militarmente, si intende, perché in
realtà, come dimostra proprio l’insediamento di Roselle, tra le due etnie e le
due culture ci fu più che altro che una fusione, una compenetrazione, una osmosi
che dette vita a una civiltà unica e più avanzata.
Al tempo di queste
vicende, Roselle era una delle Città-Stato etrusche più potenti e progredite, e
dominava tutta l'attuale Maremma. Come era successo nella Valle dell’Arno e
dovunque alte montagne sovrastavano ampie vallate, gli Etruschi generalmente
avevano preferito costruire in alto, probabilmente sui resti di una precedente
insediamento villanoviano. Per una civiltà che non faceva della potenza militare
il suo tratto distintivo principale, era essenziale porre i propri insediamenti
in condizioni di sicurezza che il fondovalle non offriva. Diverso generalmente
il discorso per i Romani, che essendo dotati di ben altre risorse militari avrebbero
privilegiato per costruire le loro città i corsi d’acqua e le vie naturali di
comunicazione. Così, se gli Etruschi per esempio avevano costruito a Fiesole, i
Romani avevano posto l’incrocio tra Il Cardo ed il Decumano, le vie principali attorno
alle quali avrebbero sviluppato la loro civitas poi chiamata Florentia,
in riva all’Arno. A Roselle, capitale etrusca della Bassa Toscana, ci fu invece
il primo esempio di integrazione tra due popoli che più diversi non avevano
potuto essere fino a quel momento.
Quando i Romani
conquistarono Rusellae nel 294 a.C., dopo l’inevitabile massacro
successivo ad ogni conquista militare si guardarono tuttavia bene dal
distruggerla. Troppo favorevole la sua posizione da cui si dominava la valle
del fiume che adesso si chiama Ombrone e troppo sviluppata la città per
invogliarli a costruirne un’altra. Così, con una scelta che dimostrava tutta la
loro sagacia, si limitarono a inglobare l’Acropoli e la Necropoli etrusca nella
loro civitas, ampliando le mura a secco già costruite dai Lucumoni con
le proprie e sviluppando un caratteristico Foro Romano a completamento e corredo
di quello etrusco già fiorente, nonché dotando l’abitato di strutture pubbliche
per i quali i loro architetti andavano già famosi nell’antichità, e che
sarebbero rimasti a memoria imperitura della loro abilità: un modernissimo
acquedotto e impianto di raccolta delle acque, un anfiteatro che colpisce
(ancor oggi che è ridotto a un rudere) per la sua acustica e per la pregevole
estetica. Ciò che rimane inoltre delle pavimentazioni a mosaico testimonia che
anche in epoca romana continuarono i contatti con la civiltà ellenica prima ed
ellenistica poi che erano stati avviati dalla città etrusca nel periodo del suo
massimo splendore.
I Romani erano dei
conquistatori che sapevano riconoscere una civiltà superiore, farne propri e
metterne a frutto i vantaggi. Così, finché durò l’Impero durò anche
l’importanza di Roselle come centro amministrativo-commerciale dell’Italia
centrale. Le sue dimensioni, i resti di numerosi edifici pubblici e di notevoli
attività commerciali e culturali lo testimoniano ancor oggi. Con la caduta
dell’Impero e le Invasioni Barbariche, la vecchia intuizione etrusca ritornò
quanto mai d’attualità, consentendo alla comunità di Roselle di rimanere
abbastanza al sicuro dagli sconvolgimenti che misero fine al Mondo Antico e
gettarono l’Italia nei secoli bui dell’Alto Medioevo. I cronisti del VI° e VII°
secolo raccontano della trasformazione urbana (con la trasformazione delle
Terme, ormai viste come instrumentum diaboli, in basilica
paleocristiana) operata dalla nuova religone monoteista trionfante, il
Cristianesimo, e dell’arrivo del terribile morbo che avrebbe accompagnato
queste terre fin quasi ai giorni nostri: la Malaria.
Nel 1138 una bolla di
Papa Innocenzo II segnò un punto di non ritorno nella bimillenaria storia di
Roselle, trasferendo la sede vescovile a valle in un borgo appartenente al
feudo degli Aldobrandeschi, conosciuto come Grosseto. Quella data è l’atto di
nascita ufficiale dell’attuale capoluogo maremmano, e quello di morte di Roselle,
che si spopolò a poco a poco a vantaggio dell’insediamento posto sul fiume Ombrone,
una collocazione sicuramente più vantaggiosa in un’epoca che vedeva la ripresa
dei commerci e la fine delle scorrerie degli eserciti barbarici prima e
imperiali poi.
Pare che nonostante lo
spostamento del baricentro politico ed economico a Grosseto, la collina di
Roselle rimanesse popolata fino al XVI° secolo, a giudicare da alcuni manufatti
di maiolica rinvenuti nell’area. Alla fine del XVIII° secolo, mentre i
Granduchi di Lorena-Asburgo concedevano a Grosseto lo status sostanziale
di provincia affrancandola da Siena, a Roselle ormai disabitata e dimenticata
da quasi tutti si affacciavano i primi precursori dell’Archeologia. Per una vera
e propria riscoperta archeologica del sito bisognò attendere comunque gli anni
50 del XX° secolo.
Attualmente, l’area di
Roselle è visitabile per buona parte, nonostante alcune limitazioni (che
destano francamente perplessità) dovute a mura pericolanti, a proprietà private
o a non meglio specificati progetti di salvaguardia delle coltivazioni agricole
(in un’area archeologica?) attraverso una rete elettrificata a livello dei
sentieri percorribili dai turisti. Ma a parte questi aspetti, che fanno
dubitare di quanto si diceva inizialmente, e cioè che possiamo veramente dire
di aver raggiunto e superato i nostri predecessori Etruschi e Romani, Roselle
resta un luogo dello spazio e del tempo da visitare per ritrovare non soltanto
la nostra storia, ma anche noi stessi.
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