Trentatre anni. Tanti ce ne
sono voluti perché la frase fatidica fosse scritta sui un documento ufficiale
di un organo istituzionale della Repubblica Italiana, la sentenza con cui ieri
la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dai Ministeri della
Difesa e dei Trasporti avverso la condanna a risarcire i parenti delle vittime
della strage del 27 giugno 1980 sul tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica.
La sentenza è quindi passata
in giudicato, è definitiva. La frase che contiene, altrettanto definitiva, incancellabile,
inappellabile, è quella che abbatte una volta per tutte il muro di gomma creatosi
attorno alla strage e alle sue responsabilità, già all’indomani di quell’ormai
lontana tragedia: a causare l’esplosione del DC9 Itavia decollato alle
20,08 da Bologna e di cui alle 20,59 i controllori di volo persero le tracce
sopra Ustica, ha detto la Terza sezione civile della corte di Cassazione, fu un
missile e non un’esplosione interna, un cedimento strutturale, come
hanno sempre sostenuto le autorità militari e civili dello Stato, e come
nessuno fino ad oggi aveva avuto la possibilità di smentire.
Adesso lo fa la Corte Suprema,
squarciando il velo su quello che è stato uno dei più incredibili misteri di
quella che Sergio Zavoli definì la Notte della Repubblica, il lungo
periodo delle stragi senza risposta, da Piazza Fontana alla strage di Natale
del rapido 904. In
questo panorama di enigmi ricoperti di sangue, quella di Ustica è sempre stata
una strage particolare. Fu chiaro da subito che il terrorismo non c’entrava
nulla, che l’evento aveva avuto luogo semmai in un contesto che vedeva in gioco
le forze armate di diversi paesi in un teatro estremamente delicato quale il
Mediterraneo centrale, nonché i delicati equilibri di un mondo allora prigioniero
della Guerra Fredda e dei rapporti altrettanto conflittuali fra oriente arabo e
occidente cristiano. Fu altrettanto chiaro che la ricostruzione offerta all’opinione
pubblica dalle autorità non convinceva, ed era semmai dettata da quella che era
(e sarebbe rimasta fino ad oggi) una ragion di stato inconfessabile.
Un giovane Emilio Fede dà la notizia della strage al TG1 |
La tesi del cedimento
strutturale sostenuta dal Governo italiano fu presto messa in discussione
pesantemente dalle varie perizie eseguite più o meno ufficialmente, e dal
lavoro di alcuni giornalisti coraggiosi, tra cui quell’Andrea Purgatori del
Corriere della Sera che è stato interpretato dal compianto Corso Salani nel
Muro di Gomma di Marco Risi, il film che nel 1991 effettuò una precisa e
drammatica ricostruzione della tragedia, dei successivi dieci anni di indagine,
delle prime verità emerse e della fatica per farle emergere, tra
minacce, incidenti e umiliazioni subite da chi lottava per onorare almeno la
memoria delle 81 vittime (tra cui 13 bambini), parenti o addetti ai lavori che
fossero.
Molte cose tra quelle successe
dopo la strage contribuirono infatti ad aggiungere mistero al mistero: dal caccia
libico la cui caduta sull’Aspromonte fu evidentemente posticipata di un paio di
mesi, alle
misteriose sparizioni a
seguito di incidenti fortuiti di quasi tutti i testimoni dell’incidente,
soprattutto il personale in servizio presso le sale controllo di Marsala e
Palermo, alle minacce anonime ma non troppo ricevute da Purgatori e da altri,
al muro di omertà e rigetto trovato dai parenti delle vittime presso le stesse
istituzioni italiane, all’affidamento del recupero dei relitti dell’aereo ad
una ditta francese, la Ifremer, quando già si erano diffuse voci di un
coinvolgimento della stessa Francia nell’incidente, alla conturbante presenza
della portaerei americana Saratoga nel porto di Napoli la notte del 27
giugno (ma - si badi bene la coincidenza - con tutti i radar inspiegabilmente
fuori uso per manutenzione), al clamoroso contrasto tra le risultanze delle
indagini della procura di Palermo e del giudice Rosario Priore prima e della
Commissione Stragi di Libero Gualtieri poi, che suggerivano con evidente verosimiglianza
una responsabilità ascrivibile ad azioni militari (in altre parole, all’abbattimento
del DC9 Itavia da parte di un missile) e che tuttavia si arrendevano di fronte
all’impotenza ad andare oltre nell’accertamento delle responsabilità accettando
un non luogo a procedere forse peggiore dello stesso muro di gomma messo
su da chi quelle responsabilità voleva nasconderle.
Il DC9 Itavia ricostruito dopo il recupero in mare |
Dopo il film di Risi e Salani,
non fu più possibile per l’opinione pubblica italiana e per le istituzioni
mentire a se stesse, e la tesi del missile sparato da un aereo militare durante
una vera e propria azione di guerra svoltasi sui cieli italiani acquistò sempre
più fondamento, anche se una vera e propria azione penale nei confronti di
chicchessia non è mai stata intentata. Ai parenti delle vittime non restò altro
che l’azione civile contro lo Stato, per ottenere un risarcimento sicuramente
più morale che materiale, motivato dall’omissione di una condotta tesa ad
assicurare la sicurezza nel cielo ai velivoli dell’aviazione civile. In altre
parole, il DC9 come qualunque altro velivolo non avrebbe dovuto esser stato
fatto transitare in un corridoio aereo dove era in svolgimento una qualunque
azione di tipo militare, sia di esercitazione che realmente operativa.
Si è sicuramente trattato
della solita via traversa all’italiana, secondo cui una verità così scottante
non può mai essere accertata per la strada principale ma deve emergere in modo
accessorio, attraverso procedimenti tardivi e che comunque non investono il
nocciolo della questione, lasciando intatte le responsabilità personali e
collettive.
Tuttavia, confermando la
sentenza della corte d’Appello di Palermo, la Cassazione ha stabilito che lo
Stato risarcirà i familiari delle vittime, anche oltre il milione e 240 mila
euro già concessi, riconoscendo finalmente la ragione delle vittime. Anche se né
lo Stato né nessun altro soggetto, nazione o individuo, sono mai stati individuati
come colpevoli di quanto successe ad Ustica. Neppure le ammissioni dell’ex
Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Presidente
del Consiglio, che nel 2007 dichiarò esplicitamente che la colpa della strage
era da attribuire ad un missile lanciato da un aereo militare francese secondo
quanto riportatogli dai servizi segreti italiani, hanno costituito la base per
una azione penale o quantomeno per il sollevamento in sede internazionale della
questione tra Stati.
E’ una amara vittoria per le
famiglie delle vittime, quindi. E per chi ha lottato per buona parte della sua
vita (o magari ce l’ha rimessa) per far sì che questa verità scomoda venisse
fuori. Nel frattempo, oltre alle 81 vittime e a molti dei loro familiari, non
ci sono più molti attori della vicenda, e lo stesso quadro internazionale è
profondamente cambiato, con la deposizione sanguinosa di quel Muhammar Gheddafi
che tutti ormai indicano come il bersaglio di quel missile che doveva toglierlo
di mezzo con 31 anni di anticipo, e che invece andò a impattare sul volo
tranquillo di 81 persone che nessuno aveva avvisato di essere finite in mezzo
ad una guerra. 43 dei quali giacciono per sempre sul fondo del Mar Tirreno.
Una vittoria amara, ed una
sensazione per descrivere la quale ricorriamo ancora una volta a Marco Risi ed
alle immagini finali del suo Muro di Gomma, con Andrea Purgatori/Corso Salani
che detta la sua notizia con la voce rotta dall’emozione, senza trionfo ma solo
con stanchezza e tristezza, e poi la voce fuori campo che elenca il nome e
cognome degli 81 passeggeri.
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