«Eravamo in guerra, come quei
poveri ragazzi mandati in Vietnam. Il contesto nazionale e internazionale era
questo. Tutto è partito dal movimento operaio. Alle nostre manifestazioni per
una migliore condizione sociale, contro la disoccupazione, lo Stato ha risposto
con le azioni di polizia, con le cariche. Le forze reazionarie hanno risposto
con la strage di Piazza Fontana. A quel punto, non potevamo fare altro, a
nostra volta, che rispondere con le armi. Una vera e propria dichiarazione di
guerra».
Raccontava così Prospero
Gallinari la storia sua e di una intera generazione che aveva visto
trasformarsi gli anni più verdi, quelli che dovrebbero essere i più spensierati,
in Anni di Piombo. E’ morto ieri mattina stroncato dall’ultimo e più grave di
una serie di attacchi di cuore mentre usciva dal garage dell’abitazione dove da
qualche anno scontava il resto della sua pena (trasformata da ergastolo in
arresti domiciliari per motivi di salute) l’ex leader delle Brigate Rosse che
non si era mai pentito, l’irriducibile ex-operaio passato alla lotta armata che
era arrivato a diventare il capo militare della Stella a Cinque Punte.
Aveva 62 anni, 36 dei quali li
aveva trascorsi tra carcere e arresti domiciliari, dai quali negli ultimi anni
aveva il permesso di uscire per recarsi al lavoro nella ditta che l’aveva
assunto come autista a Reggio Emilia, dove abitava attualmente. Era nato nel
1951 proprio a Reggio Emilia, da famiglia contadina e di idee comuniste, in una
terra dove era rimasta viva più che altrove la memoria della lotta partigiana e
dove il vento della ribellione alla fine degli anni sessanta soffiava
inevitabilmente più forte. Iscritto giovanissimo alla FGCI, il giovane operaio
Gallinari era uscito presto dal Partito Comunista Italiano, ritenendo come tanti
giovani militanti di allora insoddisfacente e insufficiente la linea legalitaria
adottata dai dirigenti di allora.
Proprio in provincia della sua
città, a Pecorile, nel 1970, si era costituita una formazione politica
estremista con ambizioni paramilitari destinata presto a diventare la più
famosa, o famigerata, di tutte: le Brigate Rosse. Prospero Gallinari era stato
tra i fondatori insieme a Renato Curcio, Alberto Franceschini, Roberto Ognibene,
Mario Moretti, Adriana Faranda. Dopo un breve periodo di dissidenza, era
rientrato nel gruppo ormai consacratosi al terrorismo puro, sotto la direzione
di Moretti che aveva rilevato i leader più politici Curcio e Franceschini nel
frattempo arrestati, e giusto in tempo per partecipare al rapimento del giudice
Mario Sossi, uno dei primi sequestri spettacolari operati dall’organizzazione
contro esponenti dello Stato. Gallinari, che nel sequestro e in altre
operazioni di commando aveva già messo in luce le sue qualità di capo militare
(in sintonia con la leadership politica di Moretti e Faranda), venne arrestato
una prima volta a fine 1974.
Nel 1976, al processo di
Torino dove si giudicavano i Capi storici BR, Gallinari si mise in mostra
leggendo il volantino con cui si rivendicava l’omicidio del procuratore di
Genova Francesco Coco ad opera di una colonna dell’organizzazione rimasta in clandestinità.
Nel 1977 riuscì ad evadere
dal carcere di Treviso e da
quel momento di lui si persero le tracce. Fino al 15 marzo 1978, quando
riapparve agli onori della cronaca nel modo più drammatico.
Gallinari fu infatti il leader
del commando che in Via Fani rapì il segretario della Democrazia Cristiana Aldo
Moro (mentre si sta recando in Parlamento per ricevere il voto di fiducia al
suo governo che per la prima volta avrebbe dovuto avere l’appoggio del Partito
Comunista, il Compromesso Storico), e ne massacrò la scorta. Da quel
momento, e per i fatidici 55 giorni, Gallinari insieme a Moretti, Anna Laura
Braghetti (che poi avrebbe sposato in carcere) e – pare – Germano Maccari, fu
uno dei carcerieri dello statista, e probabilmente quello che lo giustiziò il 9
maggio, nel bagagliaio della R4 poi ritrovata in Via Caetani, al termine dello
psicodramma collettivo che cambiò per sempre la storia d’Italia.
Catturato nel 1979 dalla
polizia al termine di una sparatoria a Roma nella quale venne gravemente ferito
alla testa, riuscì a sopravvivere e ad affrontare il processo che nel 1983 lo
condannò all’ergastolo insieme ai suoi compagni. Nello stesso anno subì il
primo della serie di infarti che si è conclusa ieri.
Prospero Gallinari è sempre
stato uno degli irriducibili delle Brigate Rosse, uno di quelli che non si è
mai pentito e non è mai venuto a patti con lo stato, confessando alcunché di
tutto ciò di cui era a conoscenza relativamente al periodo della lotta armata.
Nel 1988 decise di unirsi allo storico documento con cui Curcio, Moretti ed
altri riconoscevano che “la lotta armata è finita e lo Stato ha vinto”,
ma senza alcuna concessione al pentimento né desiderio di fare chiarezza circa
le responsabilità sue e dei suoi compagni negli eventi drammatici degli Anni di
Piombo. Pochi anni dopo, Mario Moretti lo scagionò circa l’esecuzione materiale
del delitto Moro assumendosene le responsabilità, ma pare che quel gesto fosse dettato
dal tentativo di favorire l’uscita dell’amico e compagno dal carcere, per
motivi di salute. Uscita che fu poi accordata nel 1996 con la sospensione della
pena e la concessione degli arresti domiciliari.
Con la sua scomparsa, si
riducono ulteriormente le possibilità per la giustizia italiana di far luce sul
periodo più controverso della storia d’Italia contemporanea, ed in particolare sul
sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Era veramente lui l’Ing. Altobelli che
aveva preso in affitto l’appartamento di Via Montalcini in cui lo statista fu
tenuto prigioniero? C’era veramente qualcun altro la mattina del 15 marzo 1978 in Via Fani insieme
agli uomini delle Brigate Rosse capitanati da Gallinari? Chi ha bruciato o
fatto sparire le carte di Moro conservate nel covo, e che cosa contenevano
esattamente? E infine, la domanda più importante di tutte, che cosa sono state
esattamente le Brigate Rosse? L’organizzazione terroristica che tenne in scacco
lo Stato italiano per più di dieci anni nel tentativo idealistico e ideologico
di riprendere e portare a compimento una lotta partigiana che si riteneva fosse
stata interrotta troppo presto? O una pedina più o meno consapevole su una
scacchiera e in un gioco in cui la posta era molto, ma molto più alta,
attraversando addirittura i destini stessi dell’Occidente? Chi armò veramente
la mano che sparò ad Aldo Moro, di Gallinari o di chiunque altro fosse?
Queste sono le domande a cui
adesso si trova a rispondere Prospero Gallinari, davanti al Tribunale a cui si è
presentato ieri, alla fine di una delle tante vite spezzate o distorte vissute
in quei terribili e incomprensibili anni 70. Chissà se almeno per un attimo, in
questi 62 anni in cui ha vissuto (molti di più di quelli che ha concesso a
tante sue vittime), ha avuto un attimo non si dice di pentimento, ma almeno di
dubbio. Su quei segreti di stato che si è portato con sé per sempre.
Prospero Gallinari e Mario Moretti |
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