La bandiera dei tre colori ha 220 anni. Il 7 gennaio
1797, il Congresso della Confederazione Cispadana adottò il tricolore bianco,
rosso e verde come propria bandiera senza probabilmente immaginare che
la sua scelta avrebbe avuto una portata storica ben al di là della contingenza
del momento.
La Rivoluzione Francese stava trionfando in Europa,
esportata principalmente dalle armi del suo generale più talentuoso, e a breve
più famoso: Napoleone Bonaparte. L’ambizioso soldato corso, che
solo per un anno non aveva avuto i natali come cittadino della Repubblica di
Genova, aveva lanciato nell’aprile 1796 la campagna d’Italia come
geniale escamotage per mettere in ginocchio l’Impero Asburgico,
principale avversario della Francia repubblicana e potenza dominante nella
penisola italiana fino a quel momento.
Gli eserciti di Bonaparte sbaragliarono quegli austriaci un po’
dovunque, e alla fine di quell’anno buona parte dell’Italia settentrionale si
era costituita in regimi repubblicani che chiedevano l’affiliazione alla casa
madre francese.
La Lombardia era diventata la Repubblica Cisalpina,
l’Emilia e la Romagna costituirono la Repubblica Cispadana, e
adottarono un tricolore a bande orizzontali verdi, bianche e rosse. Che il
Congresso cispadano riunito a Reggio Emilia sancì definitivamente il 7 gennaio
1797, dopo aver reso le bande verticali. In pratica, era il tricolore francese
imbracciato dalla Marianna sulle barricate del 14 luglio 1789
a Parigi, con il verde sostituito al blu pare in omaggio alle divise della
prima Guardia Nazionale repubblicana costituita dai patrioti milanesi. Poco
dopo, Cisalpina e Cispadana si fusero, era il 27 luglio 1797, 9 Termidoro secondo
il calendario della Rivoluzione. Rimasero la Repubblica Cisalpina ed il
Tricolore bianco, rosso e verde che il deputato Giuseppe Compagnoni di
Ferrara aveva fatto approvare a quello storico Congresso.
Napoleone incoraggiò tutti questi stati di fatto autocostituitisi in
diritto perché gli premeva sostanzialmente di lasciare una situazione la più
stabilizzata possibile alle spalle del suo esercito che scendeva al sud verso
lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli. Il
quale nel frattempo si apprestava a diventare anch’esso una Repubblica
rovesciando i Borbone ed adottando un suo proprio tricolore, a
bande blu, gialle e rosse.
In realtà, a Bonaparte la causa dell’indipendenza italiana (che fu
proprio lui storicamente a ridestare dopo oltre un millennio di quel servaggio di
cui aveva lamentato Dante Alighieri il perdurare nella Divina
Commedia) premeva assai meno delle proprie fortune personali. L’uomo che
avrebbe trasformato la Prima Repubblica nel Primo Impero aveva le idee chiare
fin dall’inizio, i patrioti italiani erano un alleato prezioso nella campagna
per la demolizione dell’Impero Asburgico che ingessava l’Europa di allora, e li
avrebbe sostenuti fintanto che gli faceva comodo.
A Campoformio, nell’ottobre di quel fatidico 1797, non
esitò a porre fine alla gloriosa millenaria storia della Repubblica di
Venezia consegnandola a quell’Austria che aveva combattuto
fino a poco prima per ottenere in cambio una pace che gli consentisse di
mantenere le posizioni acquistate in Italia, e nello stesso tempo di dedicarsi
ad un settore strategico nel frattempo divenuto ai suoi occhi più importante:
la campagna d’Egitto contro quello che sarebbe diventato il
suo acerrimo, mortale nemico, l’Impero Britannico.
Ma nell’inverno 1797, gli irredentisti italiani
potevano ancora sognare a briglia sciolta, immaginandosi che la Repubblica
Cisalpina sarebbe diventata in breve tempo Repubblica Italiana, riunificando
quella serva Italia di dolore ostello che non lo era più stata
dal giorno in cui Odoacre aveva restituito le aquile dell’Impero
Romano d’Occidente a Costantinopoli.
La parabola umana, militare e politica di Napoleone Bonaparte
fece il suo corso, lasciando l’Italia alla restaurazione asburgica del Congresso
di Vienna del 1815. Quando prese a soffiare di nuovo il vento delle
rivoluzioni europee e dell’indipendenza nazionale, ed un nuovo campione - Carlo
Alberto di Savoia - scese in campo nel 1848 per incarnare i sogni
irredentisti della Penisola, il tricolore era ormai entrato
nei cuori dei patrioti. E fu quello che Carlo Alberto impugnò varcando il
Ticino, l’affluente del Po che segnava il confine del Piemonte con
il Lombardo-Veneto austriaco, in direzione di quella Milano
che si era sollevata dando vita alle celebri Cinque Giornate,
fasciata dello stesso tricolore.
Il vessillo che da quel momento e fino al compimento del Risorgimento identificò
la causa nazionale con il destino della Casa Savoia presentava
sulla banda bianca lo stemma della monarchia piemontese, e lo avrebbe mantenuto
fino al 2 giugno del 1946, quando il referendum sulla forma di
governo avrebbe dato come esito la rinuncia degli italiani alla fedeltà ad una
famiglia reale da cui li aveva separati l’orrore della seconda guerra mondiale.
La bandiera dei tre colori, di cui avevano cantato i
patrioti del Risorgimento sulle parole di Cordigliani e Dall’Ongaro (i
compositori che nel 1848 offrirono alla causa nazionale il loro canto,
in concomitanza con quel Goffredo Mameli che avrebbe fornito
alla giovane nazione italiana addirittura il suo inno, prima di
morire sulle barricate della Repubblica Romana), fu codificata
dall’art. 12 della neonata Costituzione repubblicana
del 22 dicembre 1947, e come tale divenne la bandiera italiana.
Le leggi della Repubblica ne hanno in seguito regolamentato
l’utilizzo, l’esposizione e la difesa, prevedendo il reato di vilipendio della
stessa e prescrivendone insegnamento nelle scuole insieme agli altri simboli
patrii italiani
Alla bandiera italiana è dedicata la Festa del Tricolore,
istituita dalla legge n° 671 del 31 dicembre 1996, che si tiene ogni anno il 7
gennaio e che rievoca le vicende del nostro vessillo nazionale a cominciare da
quella sua prima apparizione ufficiale in un lontano Congresso cispadano di
esattamente 220 anni fa.
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