martedì 30 settembre 2014

Il paese dei Cancellieri

8 novembre 2013

La vicenda di Anna Maria Cancellieri, il ministro della Repubblica che ha preso il telefono per perorare la causa di alcuni detenuti illustri suoi amici personali esprimendo anche valutazioni negative sull’operato di un’altra istituzione dello Stato (la Magistratura colpevole a suo dire di abuso di potere avendo ordinato senza fondamento l’arresto dei Ligresti), da qualunque punto di vista la si guardi insegna soprattutto una cosa: la Casta ormai è totalmente fuori controllo, un senso dello Stato e una cultura amministrativa (sempre scarsi dall’Unità d’Italia ad oggi ma almeno presenti nella nostra classe politica in dosi minime sufficienti a garantire la sopravvivenza di una comunità-stato) non esistono più, la presunzione di impunità di chi governa la “cosa pubblica” in Italia è arrivata al livello delle satrapie orientali dell’epoca ellenistica.
Non è la prima Anna Maria Cancellieri a comportarsi in modo unanimemente ritenuto non consono all’istituzione di cui fa parte e che rappresenta e anziché pentirsene ricorrendo a quell’istituto all’estero ben conosciuto che risponde al nome di “dimissioni” alza la voce dando del bugiardo in malafede a chi la critica e rifiutandosi di fare qualsiasi tipo di passo indietro, rivendicando anzi il suo “diritto a vivere in un paese libero”.
Non è la prima e non sarà l’ultima, a quanto è dato di prevedere visti i costumi nazionali, ma è sicuramente una delle più eclatanti e roboanti – in contrasto proprio con la formazione giuridica e l’esperienza amministrativa sbandierata da chi l’ha voluta al governo prima come “supertecnico” e poi come migliore tra i politici post-Seconda Repubblica – nel mostrare al mondo intero come in Italia ormai esista una frattura tra una popolazione sempre più vessata  e succube (anche e soprattutto in ultima analisi per propria scelta e/o vocazione) ed una classe dirigente (in senso lato) a cui tutto è permesso e che anzi rivendica orgogliosamente questo status.
Era il marzo 1977 quando l’allora leader della Democrazia Cristiana e capo del governo Aldo Moro intervenne nel dibattito parlamentare sul Caso Lockeed (il più grande scandalo di corruzione dell’epoca, riguardante certe forniture all’Italia di aerei militari da parte della nota ditta americana, che arrivò a “lambire” addirittura la Presidenza della Repubblica). Al deputato Mimmo Pinto di Democrazia Proletaria che minacciava un rinvio per il maggior partito di governo dell’epoca di fronte ad una giustizia popolare, quella dell’opinione pubblica, della “piazza”, a suo dire l’unica vera opposizione al sistema, Moro replicò con una frase che sarebbe diventata storica, oltre che profetica: «Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare».
La frase, come tutte quelle dello statista pugliese del resto, si prestava a molteplici interpretazioni. Nella sua accezione più legalitaria – diciamo così – fu intesa come una dichiarazione programmatica da parte di una classe politica che né allora né dopo si sarebbe fatta mettere in discussione in alcun modo dai suoi governati. Mutatis mutandis, non ci riuscirono né le Brigate Rosse, né Mani Pulite né qualsiasi movimento di protesta più o meno accennata tra quanti si sono affacciati sulla scena nella storia repubblicana. Non ci ha mai provato seriamente nemmeno lo stesso popolo italiano, che a differenza degli altri d’Europa dimostra peraltro una disponibilità alla sopportazione che avrebbe fatto la felicità dei più ortodossi teologi cattolici dell’Alto Medioevo.
A meno che non si intenda per protesta l’esternazione di commenti più o meno umorali (e poco altro) sui vari social network a cui affidiamo quotidianamente la nostra illusione di partecipazione ad una vita sociale e politica più simile a quella dei protagonisti del film Matrix che ad una vera comunità nazionale. O il plauso ai vari affabulatori senza conseguenza, che come Grillo o Renzi si oppongono agli “uomini di conseguenza” di “veraldiana” memoria, forse in realtà aspettando soltanto il loro turno di prenderne il posto.
Nessuno in realtà è in grado di spiegare alla sig.ra Cancellieri perché tra le sue funzioni rientra quella di far sì che le carceri siano un posto civile e decoroso per tutti i detenuti, e non soltanto per i suoi amici di famiglia a nome Ligresti. No, nessuno può farlo, se non ci arriva da sola. Si può solo constatare che altrove ci si dimette per uno scontrino di pochi euro “erroneamente” messo a carico del bilancio di quello Stato che si rappresenta, qui invece se colti in un qualsiasi fallo si rivendica la libertà di pensiero (e di azione) e si lanciano strali contro gli infami che “vogliono strumentalizzare”.

Abbiamo ricordato Aldo Moro. Una delle massime in voga nel partito che lo ebbe a lungo come leader di spicco era famosa all’epoca della Prima Repubblica, e lo è rimasta in seguito anche quando quel partito è passato agli archivi della storia: “Mai presentare le dimissioni, esiste sempre l’eventualità per quanto remota che qualcuno te le accolga”.

Nessun commento:

Posta un commento