domenica 28 settembre 2014

LA NOTTE DELLA REPUBBLICA: Lino Jannuzzi: cinquant'anni di trame nere o diffamazione?

1964, l’Italia vive i primi difficili anni del Centrosinistra al governo e della controversa Presidenza della Repubblica di Antonio Segni, democristiano di destra e capofila di quanti non vedono di buon occhio l’apertura al Partito Socialista pur nel clima di distensione internazionale. Nel momento della crisi del governo Moro, si diffonde la voce di oscure manovre da parte dei vertici del SIFAR, il servizio segreto dell’Esercito guidato dal generale Giovanni De Lorenzo, tendenti all’attuazione di un vero e proprio colpo di stato, con l’arresto dei principali uomini politici della sinistra (di governo e di opposizione) e l’instaurazione di un regime di polizia controllato dall’Arma dei Carabinieri. Queste manovre avrebbero l’appoggio proprio del Presidente Segni, che viene colto da un malore durante un drammatico colloquio con Moro e Saragat, saliti a chiedere conto degli sviluppi della crisi di governo e del “tintinnar di sciabole” che si avverte in sottofondo. Segni viene sostituito proprio da Saragat, Moro forma un nuovo governo di centrosinistra più annacquato, De Lorenzo si dimette dal SIFAR per andare a ricoprire la carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, si continua a vociferare di un tentato golpe ma di leggende a Roma ne circolano talmente tante che è difficile dire se questa è fondata o no.
1967, il settimanale L’Espresso inizia la pubblicazione di una serie di articoli che raccontano la storia del Piano Solo, il colpo di stato che De Lorenzo sarebbe veramente stato sul punto di mettere in atto nell’estate di tre anni prima con il presunto beneplacito di varie figure istituzionali tra cui l’ex Presidente della Repubblica. Gli articoli sono firmati da due giornalisti fino a quel momento sconosciuti ai più, Eugenio Scalfari (già direttore del periodico dopo l’abbandono del fondatore Adriano Olivetti) e Raffaele Jannuzzi detto Lino. Il dossier sul Piano Solo proviene dal KGB, che era al corrente dell’operazione fin dai giorni delle sciabole tintinnanti. De Lorenzo querela i giornalisti, che vengono processati sulla base di documenti nel frattempo secretati dal governo italiano. Malgrado il pubblico ministero Vittorio Occorsio (il giudice che verrà poi ucciso negli anni settanta da Ordine Nuovo di Concutelli, mistero che si aggiunge a mistero) abbia potuto leggere tutte le carte prima dell’apposizione degli omissis e abbia chiesto l’assoluzione dei due giornalisti, essi vengono condannati per diffamazione a mezzo stampa e si salvano dal carcere soltanto perché nel 1968 ci sono le elezioni politiche ed il lungimirante Pietro Nenni, segretario del P.S.I., ha offerto loro una candidatura al Senato della Repubblica.
Comincia così la carriera di Lino Jannuzzi, che in seguito si distinguerà ancora per altre iniziative altrettanto clamorose. Nel 1979 è tra i fondatori di Radio Radicale, allora una vera e propria spina nel fianco del sistema, l’unico vero organo di controinformazione nell’Italia degli Anni di Piombo. Negli anni ottanta esplode il Caso Tortora. Il popolare presentatore di Portobello rimane vittima di un errore giudiziario tra i più clamorosi della storia giudiziaria italiana, scambiato per un omonimo sospetto malavitoso legato alla criminalità organizzata napoletana, ci mette anni a dimostrare la sua estraneità e alla fine ci rimette anche la salute e la vita, morendo nel 1988. A quell’epoca Lino Jannuzzi è redattore del Giornale di Napoli e non risparmia critiche feroci alla locale Procura della Repubblica per il modo in cui ha costruito il teorema accusatorio ed ha gestito le confessioni dei cosiddetti pentiti.
La Procura di Napoli non rimane inerte e grazie alla norma del Codice Rocco (il codice penale approvato nel 1942 dal regime fascista e rimasto in vigore per 40 anni nell’Italia democratica e repubblicana, e alla fine degli anni ottanta solo parzialmente riformato) che persegue con il carcere la diffamazione a mezzo stampa lo rinvia a giudizio. Un rinvio che – visti i precedenti dall’epoca di Guareschi in poi – non prometterebbe niente di buono, se Jannuzzi non fosse salvato ancora una volta da una candidatura politica. Non del Partito Socialista, stavolta, ma di chi ne ha inteso raccogliere alcune eredità: Forza Italia di Silvio Berlusconi.
Nel 2001 mentre la Procura di Napoli indaga Jannuzzi, questi viene eletto ancora al Senato. Senonché stavolta lo scudo è meno efficace, perché nel 1993 è intervenuta la riforma dell’immunità parlamentare in conseguenza di Mani Pulite, la soppressione dell’autorizzazione a procedere da parte delle Camere non impedisce quindi ai magistrati napoletani di continuare a perseguitare Jannuzzi. Che in Parlamento ha un bel battersi sia per il proprio destino personale (evitare il carcere) che per la soppressione della legge fascista che vanifica l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di stampa. Nel 2002 Jannuzzi viene condannato in via definitiva a due anni e cinque mesi di galera, sul presupposto di aver diffamato dei magistrati che – malgrado avessero chiaramente preso un abbaglio rovinando la vita ad un galantuomo come Tortora – non erano e non sono criticabili (se non a pena di diffamazione, appunto) poiché non sono mai stati sottoposti ad alcuna inchiesta disciplinare.
Così andavano e vanno le cose in Italia, e Jannuzzi andrebbe davvero in prigione stavolta se non intervenissero Palazzo Madama (Senato) e Farnesina (Ministero degli Esteri) a far valere lo status internazionale del senatore, nel frattempo diventato componente del Consiglio d’Europa. L’esecuzione della pena viene sospesa e l’ordine di carcerazione revocato. Salvo essere revocata anche la sospensione due anni dopo, nel 2004, con la commutazione della pena in arresti domiciliari: Jannuzzi può uscire dalle 8 alle 19 per andare ad assolvere i suoi obblighi parlamentari, ma non può lasciare l’Italia senza autorizzazione del Tribunale, oltre che pernottare fuori casa.
Poiché la legge prevedeva e prevede che gli arresti domiciliari vengano commutati in carcerazione al superamento del limite di tre anni nel cumulo delle condanne penali, i due anni e cinque mesi da scontare sono una bella spada di Damocle per un giornalista di denuncia come Jannuzzi. Deve alla fine intervenire il Presidente Ciampi con la grazia per restituire libertà e facoltà di esercizio della propria professione e delle proprie funzioni al giornalista senatore Lino Jannuzzi. Il quale viene rieletto al Senato nel 2006, ma non nel 2008, e pertanto da tale data perde qualsiasi forma di protezione giuridica.

Jannuzzi continua in seguito ad impegnarsi in campagne giornalistiche estremamente scottanti: dapprima quella contro i giudici di Palermo a proposito del Processo Andreotti (conclusosi con l’assoluzione del senatore a vita recentemente scomparso), poi quella contro i giudici di Milano (Ilda Boccassini, Elena Paciotti e addirittura Carla Del Ponte, la superprocuratrice svizzera) a proposito dei procedimenti penali intentati in successione nei confronti di Silvio Berlusconi. Per quest’ultima vicenda viene querelato dalle interessate, insieme al settimanale Panorama ed al quotidiano Il Giornale che avevano ospitato i suoi articoli. Comunque vadano a finire queste vicende, tuttora in corso di definizione giudiziaria, è lecito pensare che – persistendo l’attuale quadro normativo in materia di libertà di stampa – le peripezie giudiziarie di Lno Jannuzzi siano da considerare tutt’altro che terminate.

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