NEW YORK, N.Y. - Il Comandante
Neil Armstrong è decollato ieri per il suo ultimo volo, quello che lo porterà a
stabilirsi nel cielo che aveva solcato tante volte, fino allo spazio profondo.
Si è spento all’età di 82 anni per complicazioni cardiovascolari dovute ai
postumi di un delicato intervento subito al cuore ai primi di agosto.
Questa volta, non ha avuto il
tempo e il modo di pronunciare una frase storica adeguata, ma quelle che ci
lascia, assieme ai momenti in cui le ha dette, bastano e avanzano a fare di lui
se non uno dei più grandi eroi americani di sempre, come ha commentato
il Presidente Obama, di sicuro uno dei personaggi più leggendari della storia del
ventesimo secolo e forse di sempre.
Insieme ad Edwin Buzz Aldrin
e a Michael Collins, Neil Armstrong faceva parte dell’equipaggio di quell’Apollo
11 che per la prima volta nella storia del mondo andò ad atterrare su un
pianeta diverso da quello su cui era stato costruito. Era il 20 luglio 1969. Armstrong,
pilota e collaudatore di aerei provetto fin dai tempi della Guerra di Corea,
era stato aggregato al Programma Spaziale Apollo, ordinato nel 1961 dal
Presidente John Fitzgerald Kennedy per riprendere la supremazia nello spazio ai
sovietici, dopo che questi avevano lanciato nel 1957 la prima navicella nello
spazio e nel 1961 vi avevano spedito il primo uomo, Yuri Gagarin.
In fretta e furia gli
americani, terrorizzati da un sorpasso tecnologico russo in piena Guerra
Fredda, concentrarono i migliori e più coraggiosi piloti in un team esclusivamente
dedicato alla corsa allo spazio, e finalmente nel 1969 venne il momento che ha
fatto sognare una generazione in diretta, e quelle successive nella memoria e
nella nostalgia: lo sbarco sulla Luna.
Neil Armstrong era un uomo
coraggioso, e consapevole del momento che grazie a lui l’umanità stava vivendo.
Così, dopo aver guidato personalmente e con estremo sangue freddo il modulo di
atterraggio Eagle sul suolo lunare
(escludendo il computer di bordo che faceva i capricci), pronunciò la prima
delle sue storiche frasi: «Houston, qui Base della Tranquillità. L’Aquila è
atterrata».
Poi venne il momento che
nessuno potrà scordare (per noi italiani commentato dalle storiche voci di
Ruggero Orlando e Tito Stagno), quello in cui Armstrong scese a passi incerti
dovuti alla ridotta gravità lunare i gradini della scaletta dell’Aquila, per
andare a lasciare la prima impronta su un pianeta diverso da quello di origine.
Le sue parole di allora sono ormai in tutti i libri di storia: «un piccolo
passo per me, ma un grande passo per l’umanità».
Fu il primo grande evento
mediatico dell’era moderna, attraverso una televisione ancora in bianco e nero.
Fu anche la presa di coscienza collettiva che alla razza umana non erano posti limiti,
se non quelli stessi che essa voleva darsi. Vennero poi la tragedia sfiorata
dell’Apollo 13 e la crisi economica degli anni 70 a ridimensionare l’euforia
generata dalle passeggiate lunari di Armstrong.
Il quale, spentisi i riflettori
sulla sua impresa, non ebbe problemi a ritornare, come un vero Cincinnato dell’era
moderna, a insegnare la sua materia, Ingegneria, all’Università. Solo un paio di
anni fa era riemerso dall’oblio, per criticare pubblicamente la politica spaziale
di Obama, che ha ridimensionato il ruolo della NASA per affidare la corsa alo
spazio alle compagnie private. Al vecchio pioniere la privatizzazione dello
spazio non piaceva.
Addio
Comandante Armstrong. Ti sia piacevole il viaggio verso quel cielo a cui tu
appartieni da sempre.