L’ultima cavalcata di Ringo non
si è conclusa a Tucson, Dodge City, Laredo o in qualche altra località di
quelle rese immortali dal Western all’italiana. Il suo cavallo l’ha
disarcionato a Cerveteri in provincia di Roma, dove viveva con la moglie, la
giornalista RAI Baba Richerme e due figlie. Giuliano gemma è morto ieri
all’ospedale di Civitavecchia dove era giunto in fin di vita a seguito di un
grave incidente stradale occorsogli presso la cittadina laziale. Nell’incidente
sono rimaste coinvolte altre due persone, le cui condizioni non sono gravi.
L’attore aveva 75 anni, era nato
a Roma il 2 settembre 1938. Al cinema aveva cominciato giovanissimo. Pur
desiderando diventare uno sportivo, in realtà la sua carriera aveva preso le
mosse da Cinecittà, la Hollywood sul Tevere degli anni cinquanta, dove Giuliano
spesso era stato impiegato come stunt-man,
e a volte come comparsa, nei kolossal storici in voga in quegli anni, i
cosiddetti “peplum”, o volgarmente “sandaloni”, i film in costume. La
comparsata da centurione in Ben Hur
di William Wyler aveva segnato il suo debutto nella recitazione. Il suo primo
personaggio da protagonista era stato poi l’eroe epico Maciste.
Sul set di uno di questi sandaloni incontrò Duccio Tessari,
regista destinato a fama e successo, che lo lanciò definitivamente nel film Arrivano i Titani. Lì fu notato anche
da Luchino Visconti che lo volle nel suo Gattopardo,
nel ruolo del generale garibaldino amico di Tancredi interpretato da Alain
Delon. Dopo la serie di Angelica,
tratta dai romanzi dei coniugi Golon, arrivò la consacrazione definitiva con
gli spaghetti western. Duccio Tessari,
Sergio Corbucci, Tonino Valerii lo consegnarono alla leggenda del cinema
italiano ed internazionale dapprima con il nome d’arte di Montgomery Wood e poi
con il suo proprio. Giuliano Gemma resterà sempre nell’immaginario collettivo
come Ringo, il cavaliere solitario di
Un dollaro bucato e di tante altre
avventure nel Far West del nostro
immaginario.
Negli anni settanta arrivò anche
la consacrazione in un cinema più impegnato. Nel 1976 Valerio Zurlini lo volle
nel ruolo del fanatico Maggiore Matis nell’adattamento del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Seguirono altri film di grande
spessore come Un uomo in ginocchio
di Damiano damiani ed Il Prefetto di
ferro di Pasquale Squitieri, probabilmente la sua interpretazione più forte
e suggestiva.
Negli anni 80, dopo Tenebre di Dario Argento, altri due
capisaldi della sua carriera: la divertentissima commedia di Mario Monicelli Speriamo che sia femmina, in cui
interpreta il ruolo di Guido Nardoni, il fattore/amante di Elena/Liv Ullmann (“chi vende, unn’è più suo!”), e poi il
ritorno al vecchio amore, il western, nei panni dell’eroe per antonomasia, il
ranger Tex Willer in Tex ed il Signore
degli Abissi.
Dopo Tex, dopo l’apoteosi conseguita
interpretando finalmente un personaggio inseguito per 30 anni, fu come se al
cinema avesse dato tutto e dal cinema tutto avesse ricevuto, e si era dedicato
soprattutto alle fiction televisive.
Nella sua bacheca faceva bella mostra un David
di Donatello, un Globo d’oro ed
un Nastro d’argento alla carriera
(oltre 100 film interpretati) e tre Premi
de Sica. A 75 anni conservava un aspetto estremamente giovanile. Al Giffoni Film Festival, nel luglio
scorso, gli avevano chiesto qual era il suo segreto per non invecchiare mai. La
sua risposta era stata “l’entusiasmo per
la vita, l’interesse per tante cose (aveva l’hobby della scultura, n.d.r.) e soprattutto la passione, una grande
passione”.
I lunghi giorni della vendetta sono ormai finiti, riposa in pace
Ringo. Sei stato un grande personaggio, e soprattutto una bella persona.
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