Per
chi non sapesse o non potesse dare un senso a questo Natale (è sempre più
difficile ogni anno che
passa,
a prescindere dalle profezie millenaristiche che tentano di spiegarci perché
siamo destinati ad estinguerci, come se non lo sapessimo da soli), per chi
volesse comunque dare un senso al proprio tempo e ai propri soldi unendo l’utile
al dilettevole di acquistare dei bei regali di natale dedicando qualche attimo
di sé nello stesso tempo alla riflessione ed alla solidarietà, Emergency
ripropone anche quest’anno il suo punto vendita a Firenze in Via dei Ginori14
(foto).
Entrare
dentro il negozio di Emergency è fare un salto d’improvviso in un altro mondo,
quello (vastissimo) in cui si lotta per la pura e semplice sopravvivenza e
quello di chi ha scelto di dedicarsi ad agevolare questa lotta impari, magari
lasciando da parte professioni ben più remunerative, almeno da un punto di
vista puramente economico. Per chi entra lì dentro con la voglia di capire,
libera da qualsiasi pregiudizio, c’è tutto lo spirito dell’organizzazione
fondata nel 1994 dal cardiochirurgo milanese Gino Strada e da sua moglie
Teresa Sarti, non appena fu chiaro che il mondo non più costretto dalla logica
dei blocchi e della Guerra Fredda si stava aprendo a nuovi e ancora più
impensabili orrori, e che c’era bisogno di qualche visionario che ritenesse possibile
e doveroso (già allora) offrire cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta
qualità alle vittime della guerra e della povertà e promuovere una cultura di
pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Tutta merce che con l’andare
del tempo si è dimostrata, se possibile, ancora più deperibile. Non a caso,
questa organizzazione si chiama, fin dalla sua nascita, Emergency. Non c’è
bisogno di traduzione, semmai di constatare che dopo 18 anni quella che era
emergenza sta diventando purtroppo, in molte aree del mondo, più che mai la
normalità.
Una
volta dentro il negozio, i volontari sono ben contenti di accompagnarvi dentro
un viaggio che vi porta dentro un sogno: quello di popoli che cercano di recuperare
una autonoma e orgogliosa rinascita produttiva magari solo ripartendo da
produzioni artigianali che già esistevano e che guerre e dittature
avevano
spazzato via. Un caso per tutti, i manufatti di vetro di Herat, una delle zone
dell’Afghanistan che più stenta a trovare pace e normalizzazione in un paese
che pace e normalità non ne ha mai avute. L’Afghanistan è diventato uno dei
paesi simbolo dell’impegno di Emergency, per motivi di storia e di cronaca
attuale. Ma stesso discorso si può estendere a varie parti del cosiddetto Terzo
Mondo in cui l’organizzazione di Gino Strada, riconosciuta ONLUS dal 1998 e ONG
da 1999, tenta ogni anno di avviare nuovi progetti di realizzazione di
strutture sanitarie che diano assistenza medica, ma più in generale diritti
sostanziali, a chi finora non ne ha mai avuti. Fino al punto di individuare
addirittura nel nostro stesso paese, nei tempi della Sanità disastrata pre e
post spending review, delle sacche territoriali di sofferenza in cui
intervenire, con la certezza di poter fare meglio e a costi molto più contenuti
rispetto a chi ha fatto finora.
Per
far capire tutto questo, e spiegare perché si sta lavorando e perché le pur
generose risorse messe a disposizione ogni anno dai donatori e da istituzioni
pubbliche e private sensibilizzate (l’elenco è esposto nel negozio) sono sempre
per forza di cose insufficienti, Emergency ha deciso quest’anno di far parlare
i propri volontari, in alcune serate messe a disposizione del pubblico dei visitatori.
Abbiamo partecipato ad una di queste, la sera del 21 dicembre, in cui due
infermiere professionali operanti nelle strutture sanitarie italiane hanno
raccontato perché hanno deciso un bel giorno di lasciare tutto, ma veramente
tutto, e andare a fare quello che facevano dall’altra parte del mondo, e con
che risultati.
Paola
Stillo (foto), ex caposala dell’ospedale pediatrico Sant’Anna di Como, ci racconta
di come fu convinta nell’arco di una giornata dai “reclutatori” di Emergency a
prendere aspettativa ed aggregarsi alla missione destinata a quella che nel
2003 era la zona più calda del mondo, la valle del Panshir, la zona afghana più
vicina al territorio cinese da sempre controllata dall'Alleanza del Nord, i
Mujahidhin del leggendario Masud il Leone. In quel paese, che veniva da più di
20 anni equamente divisi tra la guerra contro gli invasori sovietici, la
dittatura talebana e la guerra di liberazione successiva all’attentato alle
Torri Gemelle, Emergency aveva svolto un ruolo fondamentale fin dagli ultimi
tempi dei Talebani, riuscendo ad essere presente di fatto come l’unica organizzazione
in grado di fornire assistenza sanitaria nel paese.
Tale
situazione, non certo semplificata dalla nuova situazione creatasi dopo
l’occupazione NATO, era rimasta sostanzialmente immutata. Al punto da spingere
i responsabili dell’organizzazione di Gino Strada a valutare come prioritario
non solo l’apporto di cure mediche ad una popolazione martoriata da una guerra
infinita, ma anche la ri-creazione di professionalità mediche e para-mediche in
un paese dove da quando avevano governato i Talebani non era andato a scuola
più nessuno (meno che mai le donne, ritenute però essenziali, nella cultura
islamica, per l’esercizio di una professione infermieristica nel caso specifico
rivolta in molto casi ad un’utenza principalmente femminile, si pensi a
maternità e pediatria), e prima ancora di un approccio culturale al mondo
moderno che riprendesse quel filo interrotto per forza di cose nel 1979, quando
l’invasione sovietica aveva fatalmente frenato lo sviluppo di un paese che
almeno nei centri maggiori dimostrava di potersi inserire in quello che
consideravamo e consideriamo il mondo moderno. I risultati ottenuti, ha raccontato
Paola Stillo, sono andati al di là delle più rosee previsioni. Le infermiere
istruite dai volontari occidentali, a prezzo di sacrifici inimmaginabili per
chi non ha presente la loro condizione ripiombata in un abisso di violenza e
segregazione degni del peggior fanatismo religioso e della peggiore
arretratezza culturale, hanno conseguito un livello di professionalità (oltre
che titoli di studio legalmente riconosciuti) che lascia ben sperare.
Chiara
Peduto (a destra nella foto al tavolo), infermiera del reparto di Terapia
Intensiva di Careggi, ha raccontato invece un’altra esperienza altrettanto
estrema, e altrettanto nota a chi ha seguito le cronache internazionali della
sofferenza e del bisogno. Reclutata anche lei dans l’espace d’un matin dagli
uomini di Emergency, la sua destinazione è stata il Centro Salam di Cardiochirurgia
di Karthoum, la capitale del martoriato Sudan. Il suo racconto ha messo in
evidenza l’incredibile contraddizione tra il prestare servizio in una struttura
sanitaria quasi d’eccellenza, che nulla parrebbe avere da invidiare alle nostre
europee, e vivere in un paese dove domina una delle dittature più feroci ed
oppressive dell’intero Terzo Mondo. Il Sudan è da anni teatro di sofferenza, con
la tragedia del Darfur ed il conflitto interrazziale e interconfessionale tra
le sue popolazioni per lo più per la maggior parte allo stato tribale. Karthoum
è una città dall'apparenza moderna, impiantata nel cuore di uno stato di
polizia tribale. In quest’area Emergency ha scelto volutamente di costruire una
delle sue strutture più prestigiose, et pour cause. Il paese confina con
altre nazioni africane,dall’Egitto, alla Repubblica Centraficana, al Ciad,
all’Eritrea, alla Somalia, all’Etiopia, è in posizione strategica tanto più
alla luce dell’insorgenza massiccia tra la popolazione di questa vasta regione
africana di malattie legate alla contrazione dello streptococco metabolitico,
che causa febbri reumatiche con complicazioni cardiache devastanti (una persona
su mille abitanti la contrae, ed è destinato alla morte in un paese dove
qualsiasi assistenza medica è esclusivamente a pagamento). Come in Afghanistan,
la cultura locale dà inoltre pochissimi spazi a quelle persone, soprattutto di
sesso femminile, che vogliono emanciparsi acquisendo una professionalità medica
e paramedica.
Questo
è solo un esempio sommario di quanto è emerso dai racconti dei volontari, di
quanto fa Emergency ogni anno per andare a portare vita e rinascita dove
altrimenti ormai prospererebbe soltanto la morte. Ci sarebbe da parlare del
Centro Chirurgico e Pediatrico di Goderich in Sierra Leone, dell’assistenza
sanitaria fornita ai profughi della sanguinosa Primavera Araba del 2011, dei
progetti di Emergency per rendere più accessibile e più effettiva la stessa
sanità italiana. Ci sarebbe tanto da dire, chi è interessato può approfondire
in Via Ginori, e negli altri centri Emergency sparsi in 12 città italiane.
Come
ricorda ancora Paola Stillo, gli operatori sanitari volontari farebbero il loro
mestiere comunque e dovunque, ma è solo il cuore e la generosità della gente
che consentono loro di andare a farlo là dove ce n’è veramente bisogno. Il
negozio di Emergency rimane aperto fino al 24 dicembre alle ore 18,00.
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