domenica 30 dicembre 2012

ITALIA ANNO ZERO



Il paese che si appresta a dare l’ultimo saluto a Rita Levi Montalcini celebra in concomitanza la chiusura di uno dei suoi anni peggiori, e le due cose appaiono giustamente coincidenti. L’addio a uno degli ultimi intelletti di cui siamo stati orgogliosi di essere concittadini cade nel momento in cui forse prendiamo coscienza del fatto che non solo ci ritroviamo a vivere in un sistema-paese che difficilmente ne riprodurrà altri di quella levatura, ma anche che stiamo più o meno consapevolmente distruggendo le ultime vestigia di quanto di buono questi intelletti medesimi unitamente alla nostra coscienza civile faticosamente coltivata sul terreno impervio della nostra storia moderna avevano prodotto, in termini di conquiste sociali e di istituzioni civili.
Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la Medicina 1986 e Senatrice della Repubblica a vita dal 2001, ci ha lasciati ieri, e non le sarà dato di vedere che fine farà questa patria disgraziata che ha avuto bisogno di eroi come lei, per dirla con Brecht, e oltretutto quasi non ha saputo che farsene. Quando le sue spoglie mortali avranno trovato l’eterno riposo, molti di coloro che si sono sentiti in diritto di oltraggiare la sua stessa presenza in Parlamento in questi ultimi anni, in ragione delle sue sempre più precarie condizioni di salute, si saranno già ripresentati in lista per farsi un altro giro a quel Win-For-Life che sono diventati ormai da noi il Senato e la Camera dei Deputati. Al punto che per avere un rappresentante tra i senatori del calibro della dottoressa Montalcini dovette nominarla il presidente Ciampi nell’ambito delle sue prerogative. Che venisse fuori da una consultazione elettorale una persona della sua levatura non ci sarebbe stato mai verso.
In un panorama intellettuale e morale sempre più depauperato, quindi, la Seconda Repubblica si prepara a celebrare il suo rito di primavera, senza sapere tuttavia se stavolta si tratterà di una ennesima riedizione del capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quel Gattopardo le cui parole immortali, perché nulla cambi tutto deve cambiare, hanno ispirato secoli di politica nazionale al di là delle possibilità di previsione del suo stesso autore. O se invece avrà luogo uno di quei periodici tentativi che la stessa politica italiana e la società civile che ad essa sottende mettono in scena, dalla Guerra Partigiana agli Anni di Piombo a Mani Pulite. Purtroppo, finora, con risultati non dissimili da quelli preconizzati dal Principe di Salina. Much ado about nothing, molto rumore per nulla, diceva Shakespeare.
Un anno fa se ne andava Giorgio Bocca (Natale non regala più nulla all’Italia, anzi ultimamente si porta sempre via i pezzi migliori), che avrebbe avuto da dirci sicuramente qualcosa di interessante sulle grandi manovre della politica. Soltanto sul Professor Monti e sul suo governo vinil-tecnico avrebbe scritto sicuramente parole memorabili. Ma Giorgio Bocca, come Rita Levi Montalcini, non ci sono più. Siamo più soli, e da soli dobbiamo fare. A capirci qualcosa e a reagire, se ne siamo capaci.
Di governi tecnici è piena la nostra storia, a partire da Badoglio in poi. Periodicamente, la politica si è dimostrata incapace di assolvere ai compiti per cui la paghiamo, e cara, e si è dovuta fare da parte (a volte con acquiescenza infingarda pari alla propria incapacità riconosciuta), lasciando il Monarca di turno, da Vittorio Emanuele III a Giorgio I, a dare l’incarico al tecnico, al professore, così come noi nel nostro piccolo si chiama l’Sos Casa a rimediare ai danni di architetti e ingegneri strapagati a suo tempo.
Quasi sempre, prima di un governo tecnico, o della sua variante esotica minimalista nostrana, il governo balneare, c’era stata in precedenza una bella catastrofe di qualche tipo, bellica o economica. E sempre al tecnico incaricato si chiedeva di ristabilire la situazione dandogli sostanziale carta bianca e nessun obbligo di rendere conto a organi minimamente elettivi e rappresentativi della volontà popolare. Il Re d’Italia incaricò il Maresciallo Badoglio di tirare fuori il paese dalla seconda guerra mondiale con la stessa nonchalance e la stessa lettura disinvolta (ma legale) delle sue prerogative con cui 20 anni prima l’aveva consegnato al Fascismo di Mussolini.
Il Presidente della Repubblica aveva prerogative meno certe ed accertate quando bypassando completamente la volontà popolare ha incaricato il Prof. Mario Monti di tirare fuori il paese dalla crisi finanziaria (non economica, si badi bene) in cui l’avevano gettato le banche (al pari di altri paesi nelle stesse condizioni, che però sono andati a votare) che a suo tempo avevano espresso proprio i Monti, i Draghi e compagnia bella a governare l’economia dell’Unione Europea in senso a loro favorevole. E tuttavia l’ha fatto, con la stessa retorica disinvoltura con cui ha accompagnato ogni azione politica della sua lunga vita, e ci fosse stata una delle forze politiche presenti in Parlamento (ad eccezione di Lega ed Italia dei Valori, peraltro squalificatesi da sole su altri terreni e per altri motivi) che avesse avuto da ridire!
Anzi, proprio loro hanno finito per legittimare l'azione di Napolitano dandogli quella maggioranza che la Costituzione gli impone di cercare. In nome dello spread, della spending review e di altre due o tre parole in lingua inglese che non hanno più significato di quel gramelot con cui Dario Fo ci deliziava nei suoi splendidi spettacoli teatrali di qualche anno fa, dalla sera alla mattina maggioranza e opposizione sono sparite, in una ammucchiata che non ha avuto nemmeno quel minimo di parvenza dignitosa dell’Unità Nazionale successiva al rapimento e al delitto Moro. Tutti compatti a sostenere Mario Monti e la sua politica patrimoniale verso i poveri, con la sua troupe che in un paio di elementi almeno non ha fatto rimpiangere – quanto a sciocchezze e modo di porgerle, se non di attuarle – i bei tempi di Brunetta.
La legislatura comunque dura cinque anni e alla fine devi decidere, o sciogli le Camere e rimandi la gente a votare o fai un colpo di stato, con tutti i rischi, gli incerti e le fatiche del caso. E stavolta, stante la crisi economica reale e in alcuni momenti veramente spaventosa e la sua gestione che è apparsa decisamente sperequativa da parte di un governo di irresponsabili (in senso letterale) e di uomini comunque provenienti dal mondo del privilegio bancario e finanziario, non è affatto sicuro quale prodotto avrà l’umore sempre più nero del corpo elettorale una volta al’interno della sospirata cabina di voto. Ecco allora che la politica, il cui unico problema è tornare in Parlamento, sta correndo ai ripari in uno scontro tra nuovo che cerca di avanzare e vecchio che cerca di non arretrare che avrebbe fatto la felicità dei grandi commediografi e sceneggiatori di una volta.
Tra partiti e personaggi in cerca di autore, tra sequel o semplici remake di film già visti, tra trasformismi ormai consueti della politica italiana eppure sempre affascinanti nel loro ripetersi come se fosse la prima volta, la commedia delle parti sempre meno chiare ha prodotto uno scioglimento delle Camere ed una convocazione dei comizi elettorali per il 24 febbraio 2013. Per quella data, chi ha qualcosa da brevettare lo tiri fuori, non si va oltre. Rien ne va plus.
Per quella data, sapremo se nel campo Democratico avrebbe valso la pena scommettere sulla nuova generazione dei Renzi, o se pure la vecchia dei Bersani, delle Bindi, delle Finocchiaro  dei D’Alema ha qualche possibilità di riciclo (e qualche politica da attuare che non sia quella di Mario Monti, se di politica si è potuto parlare). Se nel campo liberale funziona ancora l’equazione di vent’anni fa tra l’imprenditore di Arcore che sa parlare agli italiani e la loro paura del cambiamento avventuroso rappresentato da chi nel frattempo ha avuto, soprattutto in sede locale, le sue brave occasioni per sgovernare. Sapremo inoltre se l’ennesimo tentativo di ridare vita alla Balena Bianca, la Democrazia Cristiana, ha possibilità di successo e se vecchi arnesi dell’area di governo e sottogoverno come Casini, Rutelli, Fini e lo stesso Montezemolo hanno visto giusto nel tentare di presentare Mario Monti come il novello Alcide De Gasperi, con buona pace di chi ha ragione di pensare che se lo statista trentino tornasse in vita oggi toglierebbe perfino il saluto a questi suoi sedicenti epigoni che a lui pretendono di richiamarsi.
Sapremo infine che sorte avranno i tentativi veri o presunti di rompere il sistema vigente. Da quello del Movimento Cinque Stelle che si è mosso per tempo ponendosi come alternativa platealmente anti-sistema (e accettando di correre i rischi del caso, in termini di reazione da parte di un sistema che non è mai stato né tenero né leale verso i suoi oppositori), a quello di movimenti che stanno nascendo negli ultimi giorni, dai “Fratelli d’Italia” di Crosetto e Meloni, per nulla convinti del ritorno di Berlusconi, alla Rivoluzione Civile dell’ex magistrato di turno Antonio Ingroia.
A tale proposito, al netto del rispetto delle vigenti norme sia costituzionali che ordinarie, si moltiplica il fenomeno dei giudici che decidono di saltare il fosso e di passare dal Giudiziario al Legislativo. Senza voler esprimere un giudizio di merito sulle persone, c’è da pensare che si tratti a questo punto di un fenomeno che si possa configurare anche come degenerativo, oltre che poco produttivo, della nostra politica nazionale. La lista dei magistrati prestati alla politica e non più ritornati indietro è lunga, ormai, e dati alla mano si può affermare che abbia prodotto ben poco di utile alla causa del paese, in ciascuno dei due ambiti e poteri costituzionali. Di sicuro, si può affermare che magistrati anche valenti hanno cessato di servire il loro paese indossando la toga con profitto come avevano fatto, e sono andati a sedersi in un Parlamento a cui hanno dato ben poco lustro o contributo.
Del resto, che c’è una Costituzione da riformare in profondità e che il capitolo della Magistratura non sia secondario nell’ambito delle riforme da fare, non è novità di oggi. Un plauso semmai alla nostra classe politica che ha pensato bene di trasferire anche questa questione a chi le succederà nella prossima legislatura, cioè a se stessa, senza peraltro nessuna fretta.
Questo è il paese che nei prossimi giorni darà l’ultimo saluto a Rita levi Montalcini. Le sia lieve la terra, Dottoressa. E non porti con sé alcun rammarico nel suo viaggio verso il suo meritato eterno riposo. Per scoprire il gene malformato che avvelena da sempre la nostra vita di cittadini italiani sarebbe occorsa una vita decisamente più lunga e avventurosa della sua. Buon anno a chi resta.

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