JOHANNESBURG (SUD AFRICA) - Stavolta è vero. L'uomo che era diventato il simbolo della lotta all'Apartheid in Sudafrica ed in generale all'oppressione nel mondo intero, uno degli uomini che avevano dato il loro volto al ventesimo secolo, non c'é più. Il grande cuore di Nelson Rolihlahla Mandela detto Madiba, il cuore dell'Africa nera ha cessato di battere ieri sera a Johannesburg, nella sua casa dove era ritornato a combattere la sua ultima battaglia su questa terra dopo l'ultimo ricovero in ospedale a Pretoria nei giorni del suo novantacinquesimo compleanno, quando già si era diffusa la voce prematura della sua dipartita.
A
dare l'annuncio ieri sera, colui che gli era successo nella carica di
Presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, il quale – visibilmente commosso - ha
sinteticamente espresso il sentimento del suo intero popolo con le parole
“profonda gratitudine” e ha ordinato un lutto nazionale che prevedibilmente
oggi si estenderà ben al di là dei confini del Sudafrica. Difficile dire oggi a
che punto sarebbe la causa della gente di colore nel Continente Nero e non solo
senza quei 27 anni trascorsi esemplarmente da Madiba nel carcere di Robben
Island, durante i quali rifiutò sempre qualsiasi compromesso con la minoranza
bianca segregazionista che guidava il paese e che l'aveva incarcerato in quanto
leader dell'ala militare Umkhonto we Sizwe (Lancia della Nazione)
dell'African National Congress, il partito che sosteneva la causa della libertà
dei neri.
Non
era stato gandhiano Mandela, aveva creduto anche nella lotta armata come via
per il raggiungimento della libertà. Ma una volta liberato dal carcere, l'11
febbraio 1990 allorché Frederick Willem De Klerk – l'ultimo presidente bianco del
Sudafrica – cedette alle pressioni internazionali restituendo la libertà al
leader nero e di fatto ponendo fine all'Apartheid, la sua azione fu soltanto
pacificatrice, riuscendo nel miracolo di guidare il suo paese nella transizione
verso l'emancipazione della razza nera e verso l'integrazione delle componenti
razziali senza praticamente sconvolgimenti né spargimento di sangue.
E al
pari di quel Gandhi che era diventato a suo tempo l'icona della via non
violenta alla libertà dei popoli oppressi, l'ex guerrigliero a cui il nonno
aveva messo profeticamente il soprannome Rolihlahla (“colui che provoca
guai”) era diventato uno dei volti positivi e leggendari del secolo in cui era
vissuto, e uno dei modelli per gli anni a venire per chi avrà ancora da lottare
contro l'oppressione.
Il
Sudafrica osserverà adesso 12 giorni di lutto nazionale, prima dei funerali di
Stato a cui è facile prevedere che parteciperà il mondo intero, non solo
rappresentato dai capi di governo.
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