martedì 10 dicembre 2013

RENZIADE: Il Nuovo è avanzato. E' l'ultima speranza?


Una valanga. E l'ultima speranza di un paese ridotto alla disperazione. Un anno dopo la sconfitta subita da parte di Pierluigi Bersani e dell'establishment, Matteo Renzi diventa segretario del Partito Democratico vincendo le primarie-bis con il 68% dei voti. I suoi avversari si fermano rispettivamente a 17,9% (Cuperlo) e 14% (Civati). Le percentuali sono relative ad un numero di elettori assolutamente insperato e inaspettato alla vigilia: tre milioni circa di elettori che nella giornata di ieri si sono presentati ai seggi-gazebo affinché la vittoria del Sindaco di Firenze fosse la più significativa, la più clamorosa possibile.
In Toscana, terra di origine del vincitore ma fino a ieri anche baluardo e roccaforte di quell'establishment stesso prima comunista, poi diessino e ora democratico che esce sconfitto da queste primarie, la percentuale di consensi espressi in favore del rottamatore sale addirittura al 78%.
Anche per il Partito Democratico, dopo il Popolo delle Libertà e la Lega Nord, finisce dunque una stagione politica durata oltre vent'anni. Ad andare in pensione, per decreto della base, non è però in questo caso un singolo leader (per quanto carismatico) ma un'intera classe dirigente, come ha commentato a botta calda il Sindaco di Torino Piero Fassino, che di quella classe dirigente ha fatto parte.
«E' ora di cambiare - ha commentato Renzi da parte sua -. Basta con gli alibi, c'è un sistema da scardinare» è il grido di guerra del Sindaco-segretario, che stamattina ha lasciato Palazzo Vecchio a Firenze diretto a Piazza sant'Anastasia a Roma, dove alle 15,30 si insedierà formalmente al comando delle truppe del Centrosinistra, nominando tra l'altro la sua squadra, con cui intende guidare il partito da ora fino alle future elezioni politiche. E qui comincerà – da subito - il difficile.
Come lo stesso Renzi non ha mancato di sottolineare, la sua vittoria ha mandato di traverso a "qualche politico di lungo corso" il brindisi iniziato la sera in cui la Corte Costituzionale ha annunciato la propria decisione circa l'incostituzionalità della legge elettorale, il Porcellum di Calderoli. La sottolineatura è corretta, e tuttavia implica chiaramente tutte le principali difficoltà che il neosegretario dovrà affrontare, all'interno del proprio partito prima ancora che nei confronti dell'intero paese.
I commentatori più attenti non hanno mancato di rilevare infatti che la bocciatura della legge elettorale è – per quanto legittima e condivisibile nella misura in cui ratifica quella che fu in sostanza la relazione di accompagnamento della legge 270/2005, secondo le parole del suo stesso presentatore Calderoli una porcata – di fatto è stato un assist oggettivo al sistema politico attuale ed al governo in carica. Imponendo al Parlamento di legiferare di nuovo in sostituzione della legge Calderoli (non potendosi in alternativa votare con il sistema attuale che è tornato di fatto al metodo proporzionale), la Corte ha volente o nolente messo in mano alla maggioranza delle larghe intese lo strumento per perpetuarsi all'infinito.
Il governo Letta ha la miglior garanzia di durata proprio nell'accertata mancanza di volontà di questo Parlamento (giuridicamente illegittimo per sentenza della Corte ma legittimato dal "principio di conservazione" sotteso a tutti gli atti legislativi ed amministrativi adottati nel nostro ordinamento, nonché agli organi che li adottano) di compiere qualsiasi tipo di riforma, men che meno quella elettorale che significherebbe a questo punto la sua stessa morte.
Di questa maggioranza, il PD che da oggi passa nelle mani di Renzi è un elemento cardine. Gli avversari da combattere per scardinare il sistema vigente sono principalmente al suo interno, e questo sarà un banco di prova non da poco. L'altra prova del fuoco la darà l'economia, o quello che ne rimane. Nell'Italia che sta scoprendo la protesta dei Forconi, le prime serrate e i primi scioperi selvaggi come non si vedevano più forse dai tempi dell'Autunno Caldo del 1969, la protesta più significativa contro lo stesso candidato segretario democratico l'hanno messa in atto gli addetti al servizio di trasporto pubblico della sua città di origine, che hanno enfatizzato in modo particolare una agitazione comunque di portata nazionale proprio a causa del malcontento che serpeggia tra loro nei confronti del Sindaco che ancora non ha rottamato niente, ma intanto ha già posto in liquidazione l'ATAF.
Comunque vada, il sistema politico è costretto a rimettersi in moto, per stare dietro ad un paese che gli sta trasmettendo gli ultimi segnali di disperazione ancora espressi con il linguaggio della legalità. Il consenso che si sta raccogliendo dietro a Matteo Renzi, dal mondo del lavoro a quello imprenditoriale, è enorme e significativo. Ed ha veramente pochi precedenti nella storia d'Italia. Qualcuno satiricamente ha definito le primarie del 2013 le prime della rinata Democrazia Cristiana. Qualcuno invece rispolvera, per sancirne lo scarso fondamento storico, lo slogan di Luigi Pintor del Manifesto: «non moriremo DC», con cui fu salutata a suo tempo la fine dell'esistenza terrena della cosiddetta Balena Bianca.
Sono aspetti che interessano forse più agli analisti politici, gli storici ed i giornalisti che non ai cittadini di questo paese, preoccupati più che mai semplicemente di non morire, senza alcun connotato. E che sperano di aver trovato ieri, forse, una nuova speranza. Probabilmente l'ultima.

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