Una valanga. E l'ultima
speranza di un paese ridotto alla disperazione. Un anno dopo la sconfitta subita
da parte di Pierluigi Bersani e dell'establishment, Matteo Renzi diventa
segretario del Partito Democratico vincendo le primarie-bis con il 68% dei
voti. I suoi avversari si fermano rispettivamente a 17,9% (Cuperlo) e 14%
(Civati). Le percentuali sono relative ad un numero di elettori assolutamente insperato
e inaspettato alla vigilia: tre milioni circa di elettori che nella giornata di
ieri si sono presentati ai seggi-gazebo affinché la vittoria del Sindaco di
Firenze fosse la più significativa, la più clamorosa possibile.
In Toscana, terra di
origine del vincitore ma fino a ieri anche baluardo e roccaforte di
quell'establishment stesso prima comunista, poi diessino e ora democratico che
esce sconfitto da queste primarie, la percentuale di consensi espressi in
favore del rottamatore sale addirittura al 78%.
Anche per il Partito
Democratico, dopo il Popolo delle Libertà e la Lega Nord, finisce dunque una
stagione politica durata oltre vent'anni. Ad andare in pensione, per decreto
della base, non è però in questo caso un singolo leader (per quanto
carismatico) ma un'intera classe dirigente, come ha commentato a botta calda il
Sindaco di Torino Piero Fassino, che di quella classe dirigente ha fatto parte.
«E' ora di cambiare - ha
commentato Renzi da parte sua -. Basta con gli alibi, c'è un sistema da
scardinare» è il grido di guerra del Sindaco-segretario, che stamattina ha
lasciato Palazzo Vecchio a Firenze diretto a Piazza sant'Anastasia a Roma, dove
alle 15,30 si insedierà formalmente al comando delle truppe del Centrosinistra,
nominando tra l'altro la sua squadra, con cui intende guidare il partito da ora
fino alle future elezioni politiche. E qui comincerà – da subito - il
difficile.
Come lo stesso Renzi non ha
mancato di sottolineare, la sua vittoria ha mandato di traverso a "qualche
politico di lungo corso" il brindisi iniziato la sera in cui la Corte
Costituzionale ha annunciato la propria decisione circa l'incostituzionalità
della legge elettorale, il Porcellum di Calderoli. La sottolineatura è
corretta, e tuttavia implica chiaramente tutte le principali difficoltà che il
neosegretario dovrà affrontare, all'interno del proprio partito prima ancora
che nei confronti dell'intero paese.
I commentatori più attenti
non hanno mancato di rilevare infatti che la bocciatura della legge elettorale è
– per quanto legittima e condivisibile nella misura in cui ratifica quella che
fu in sostanza la relazione di accompagnamento della legge 270/2005, secondo le
parole del suo stesso presentatore Calderoli una porcata – di fatto è stato un assist
oggettivo al sistema politico attuale ed al governo in carica. Imponendo al
Parlamento di legiferare di nuovo in sostituzione della legge Calderoli (non
potendosi in alternativa votare con il sistema attuale che è tornato di fatto
al metodo proporzionale), la Corte ha volente o nolente messo in mano alla
maggioranza delle larghe intese lo strumento per perpetuarsi all'infinito.
Il governo Letta ha la
miglior garanzia di durata proprio nell'accertata mancanza di volontà di questo
Parlamento (giuridicamente illegittimo per sentenza della Corte ma legittimato
dal "principio di conservazione" sotteso a tutti gli atti legislativi
ed amministrativi adottati nel nostro ordinamento, nonché agli organi che li adottano)
di compiere qualsiasi tipo di riforma, men che meno quella elettorale che
significherebbe a questo punto la sua stessa morte.
Di questa maggioranza, il
PD che da oggi passa nelle mani di Renzi è un elemento cardine. Gli avversari
da combattere per scardinare il sistema vigente sono principalmente al suo
interno, e questo sarà un banco di prova non da poco. L'altra prova del fuoco
la darà l'economia, o quello che ne rimane. Nell'Italia che sta scoprendo la
protesta dei Forconi, le prime serrate e i primi scioperi selvaggi come non si
vedevano più forse dai tempi dell'Autunno Caldo del 1969, la protesta più
significativa contro lo stesso candidato segretario democratico l'hanno messa
in atto gli addetti al servizio di trasporto pubblico della sua città di
origine, che hanno enfatizzato in modo particolare una agitazione comunque di
portata nazionale proprio a causa del malcontento che serpeggia tra loro nei
confronti del Sindaco che ancora non ha rottamato niente, ma intanto ha già
posto in liquidazione l'ATAF.
Comunque vada, il sistema
politico è costretto a rimettersi in moto, per stare dietro ad un paese che gli
sta trasmettendo gli ultimi segnali di disperazione ancora espressi con il
linguaggio della legalità. Il consenso che si sta raccogliendo dietro a Matteo
Renzi, dal mondo del lavoro a quello imprenditoriale, è enorme e significativo.
Ed ha veramente pochi precedenti nella storia d'Italia. Qualcuno satiricamente
ha definito le primarie del 2013 le prime della rinata Democrazia Cristiana.
Qualcuno invece rispolvera, per sancirne lo scarso fondamento storico, lo
slogan di Luigi Pintor del Manifesto: «non moriremo DC», con cui fu salutata a suo
tempo la fine dell'esistenza terrena della cosiddetta Balena Bianca.
Sono aspetti che
interessano forse più agli analisti politici, gli storici ed i giornalisti che
non ai cittadini di questo paese, preoccupati più che mai semplicemente di non
morire, senza alcun connotato. E che sperano di aver trovato ieri, forse, una
nuova speranza. Probabilmente l'ultima.
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