«Mi ero fatto un altro
film, ma ho dovuto dire di sì, non avevo scelta». Come frase memorabile per consegnare
alla storia il momento Matteo Renzi poteva trovare di meglio.
Personaggi meno acculturati
di lui, che nei ritagli di tempo discetta di Dante Alighieri e Dolce Stil Novo,
seppero fare di meglio. Vittorio Emanuele di Savoia, poi Vittorio Emanuele II
Re d'Italia, aprì la Seconda Guerra di Indipendenza con un «Noi non siamo
insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi».
Niente affatto male.
Benito Mussolini da
Predappio celebrò la transizione dalla democrazia liberale al regime
autoritario il 3 gennaio 1925 con un «Potevo fare di quest'aula sorda e grigia
(la Camera dei deputati, ndr) un bivacco di manipoli. Potevo, e ho scelto di
non farlo». Niente male anche lui.
Perfino Giorgio Napolitano
da Napoli via Mosca, alla vigilia della sospensione della Costituzione nel
Paese di cui era stato eletto Presidente (primo comunista della storia,
bisognerà rivalutare la Guerra Fredda) se ne uscì con un «Non possiamo non
dirci liberali». Che ha un valore aggiunto: oltre che come frase storica può
essere usata benissimo come battuta da avanspettacolo. Roba da Bagaglino, per
intendersi.
Matteo Renzi da Rignano
sull'Arno lascia alla storia questo «Mi ero fatto un altro film», e bisognerà
farselo bastare. Mala tempora currunt, e non solo sul piano letterario. Del
resto, bisognerà farsi bastare anche lui come Presidente del Consiglio. Avevamo
sperato in qualcosa di più, che so, un Tony Blair, un Francois Mitterand
(lasciamo fare Barack Obama, perché poi ti ritrovi una Kyenge, e non puoi
nemmeno protestare perché l'hai chiesto tu da decenni, a gran voce). E invece,
lo Zapatero de' noantri alla fine rientra nel grande alveo storico della parrocchia
democristiana la cui onda lunga, molto lunga, l'ha prodotto.
Alla fine, non si può dire
di no a una poltrona come quella di Palazzo Chigi quando si ha una
"ambizione smisurata" e non filtrata da una cultura politica
proveniente da una tradizione progressista coltivata sulla propria pelle. John
Elkann si può permettere di dare la colpa della disoccupazione ai giovani che
stanno troppo bene a casa dei genitori e non hanno ambizioni, in fondo il nonno
è morto e non può prenderlo a scapaccioni perché sta portando via dall'Italia
ciò che aveva reso il nome degli Agnelli degno di essere pronunciato ad alta
voce da almeno tre generazioni. Matteo Renzi nell'azienda di famiglia ci ha
lavorato ancor meno di John Elkann, non sa cosa sia fare impresa né tanto meno
avere – o perdere – un lavoro salariato. O mandare avanti un ufficio, perché il
suo a Palazzo Vecchio sono quattro anni che glielo manda avanti qualcun altro.
Ma lasciamo fare. Questo
passa il convento, questo sarà convocato al Quirinale tra poche ore da
Napolitano per ricevere l'incarico di Governo, dopo le consultazioni più veloci
della storia repubblicana, quasi una sparatoria tra Clint Eastwood e Lee Van
Cleef. A proposito di frasi storiche, "Nessun passaggio in
Parlamento" del Presidente della Repubblica promette assai bene.
Siccome la storia la
scrivono i vincitori, ai posteri l'ardua sentenza. Se Napolitano concluderà la
propria carriera osannato dai media come il Nonno della Patria, resterà come la
celebre allocuzione con cui fu segnato il passaggio dalla democrazia
parlamentare a quella presidenziale.
Se invece, "dai,
picchia e mena" come si dice da queste parti, prenderà piede oltre ad una
crisi politica ed economica sempre più preoccupante quella parte politica che
chiede che il vecchio Presidente sia richiamato – con vari gradi di giudizio e
di sanzione – alle sue responsabilità, allora si ricorderà questo momento come quello
in cui Napolitano uscì allo scoperto, come nessun libro di Friedman o articolo
del Corriere l'aveva mai costretto a fare. E dopo tre anni di più o meno
surrettizia sospensione della carta costituzionale sbatté in faccia al suo
paese senza più infingimenti che qui comandava lui. O chi per lui, poteri forti
e quant'altro.
A cosa Matteo Renzi non
poteva dire di no lo scopriremo presto. Immaginiamo, alle sollecitazioni di una
finanza e di un'industria ancora più miopi di quelle che un secolo fa portarono
il mondo alla catastrofe della guerra mondiale e dei totalitarismi. L'Europa lo
vuole, insomma. Come prima, più di prima, come sempre.
Non serve essere Noam
Chomsky per dire che lungo questa strada a breve dell'Europa non resterà altro
che un pallido ricordo. Dell'Europa non sappiamo, dell'Italia ne siamo certi.
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