Non resterà nella storia come
Kennedy contro Nixon. Del resto cinquant’anni almeno di ritardo sugli americani
non si recuperano in un giorno. E nemmeno come Hollande contro Sarkozy. Il
nostro ritardo sui francesi è addirittura abissale, loro chiarirono molto bene
i rapporti con i loro governanti nel luglio del 1789 e negli anni seguenti, e
raramente hanno avuto bisogno di ritornarci sopra.
Ma da ieri anche noi abbiamo
fatto il nostro ingresso nell’età moderna, quella dei mass-media e della politica
fatta attraverso di essi, malgrado una Costituzione che qualcuno cerca di riformare con un “upgrade”
di tipo europeistico e qualcun altro cerca di riportare con un “downgrade” allo
Statuto Albertino dei tempi della Monarchia.
E’ universalmente noto che le
consultazioni in occasione della formazione di un nuovo governo in Italia
assomigliavano finora più alle celebrazioni delle feste comandate in Vaticano
che ad un processo politico e democratico come quello che ci scopriamo ormai
sempre più di frequente ad invidiare ai nostri vicini più fortunati. Tutto si
svolge nelle sacre e segrete stanze del Quirinale, dove da sempre un Capo dello
Stato la cui discrezionalità per qualche giorno sfugge ad ogni controllo
celebra dei “misteri” la cui liturgia si conclude, salvo rare eccezioni, con la
presentazione “urbi et orbi” di un nuovo esecutivo le cui ragioni profonde
sfuggono ai più.
Da quando poi l’inquilino del
Colle è quello attuale, il Capo dello Stato assomiglia più a quello della
Chiesa. Ci manca solo il Dogma dell’Infallibilità, per il resto la distanza tra
le due sponde del Tevere, come le chiamava il defunto senatore Andreotti, ormai
si è decisamente assottigliata.
Senonché, siamo nel secolo della
rete, del web, come dicono i suoi inventori anglosassoni. E allora volenti o
nolenti siamo costretti anche noi ad uscire dal chiuso dei conclavi e delle
sagrestie di ogni ordine e grado e ad andare in “streaming”. E ad assistere a
siparietti che finora avevamo soltanto potuto immaginare.
Ripetiamo, Renzi non è Kennedy e
meno che mai Grillo è Nixon. Ma quello che abbiamo visto ieri in qualche modo è
destinato a restare nella storia. L’unico precedente di consultazioni on line
si era concluso esattamente un anno fa mestamente, con il presidente incaricato
apparso come il pugile ormai suonato che affronta un giovane ex “sparring
partner” e gli soccombe inevitabilmente. Pierluigi Bersani, già declassato da
smacchiatore di giaguari a vittima sacrificale della “volontà di impotenza” che
pervade da sempre il suo stesso partito, era parso come il vecchio Mohamed Alì
a fine carriera di fronte a un Grillo che come Larry Holmes, suo ex sparring di
qualche anno prima (nel caso di Grillo a precedenti primarie gestite
pessimamente dal PD), non aveva potuto fare a meno di gonfiarlo di botte per
mancanza di opposizione.
Stavolta di fronte erano due pesi
massimi al meglio della forma. Il giovane Renzi, fresco di primarie vittoriose
e di investitura del suo partito alla presidenza, contro l’esperto istrione
Grillo, a cui il suo stesso “popolo” aveva in qualche modo imposto il
confronto, desideroso probabilmente di vederlo all’opera contro l’altro
fenomeno mediatico (definirli “politici” è forse un po’ troppo, almeno per il
momento). E confronto è stato, anzi scontro, anche se non si è parlato di
nulla. Il palcoscenico era troppo appetibile perché ognuno dei due rinunciasse
ad essere se stesso, e pazienza se si è solo intravisto un barlume di quello
che sarà lo scontro parlamentare delle rispettive forze politiche nei prossimi
anni (se ci sarà ancora un Parlamento dopo la “cura Napolitano”).
Come dice Enrico Montesano,
l’atto di votare deve avere una connotazione sessuale, con l’andare degli anni
il desiderio cala, e non si fa più. Siamo un paese anziano, e allora
accontentiamoci di quello che passa la televisione. Ieri ha passato un Matteo
Renzi che ha provato al suo meglio a tirare fuori dall’avversario le sue
contraddizioni, riportando continuamente il suo torrenziale eloquio sui punti
cardine della presunte riforme con cui l’ex sindaco ci stupirà di effetti
speciali nei prossimi mesi.
Dall’altra parte un Beppe Grillo
che l’ha apparentemente travolto con la sua presenza scenica allenata da
quarant’anni di spettacoli (Renzi ha cominciato molto dopo, anche se si sta
facendo, e in fretta), ma che in realtà ha soltanto ribadito due cose: il
Movimento 5 Stelle vuole un ritorno “conservativo” al passato, quando i servizi
essenziali erano in mano al pubblico (ed erano erogati a costi ragionevoli
praticamente a tutti, bisogna dire), e intanto se partecipa a confronti con
altre forze tra quelle presenti attualmente sulla scena è soltanto per ribadire
la sua totale sfiducia in loro, giovane Renzi in primis in quanto espressione
di quei poteri forti che “hanno disintegrato l’Italia”.
Un dibattito che è stato soltanto
uno scontro istrionico di personalità resterà quindi nella storia, non solo
televisiva ma anche e soprattutto politica, di questo paese. Perché non è stato
detto nulla circa il nostro futuro, ma in realtà è stato lasciato intravedere
tutto. Intanto siamo usciti dalle stanze segrete dove la casta officiava i suoi
riti vestita dei paramenti sacri della Costituzione del 1948 (male attuata e
peggio riformata, almeno nelle intenzioni). E quelle ai due lati del tavolo
sono le due personalità capaci di smuovere ancora il consenso, al netto sempre
più preoccupante di coloro che preferiscono – per scelta o disperazione –
l’astensione. Con sullo sfondo per ora ai margini il terzo, quel Silvio
Berlusconi a cui molti stanno facendo campagna elettorale gratuita.
Ringraziamo dunque la
televisione. Ci dà la possibilità di seguire i contorti percorsi della nostra
politica in un modo che i nostri padri e nonni non avrebbero potuto nemmeno
immaginare. Quasi un secolo fa, anche allora c’era un ex artista, Gabriele
D’Annunzio, capace di mettere a nudo contraddizioni e aspetti drammaticamente
ridicoli del sistema con le sue battute e le sue azioni dimostrative. C’era il
vecchio uomo politico – Giovanni Giolitti - che cercava, per interesse sia
personale che per convinzione circa la cosa pubblica, di governare un futuro
per il quale non bastavano più né le sue energie residue né quelle delle altre
forze tradizionali. C’erano – come Renzi - molti giovani, soprattutto tra i
progressisti di allora, i socialisti, che credevano di poter cavalcare la tigre
di un cambiamento imposto da crisi economiche e dinamiche sociali in realtà per
loro incontrollabili.
Fallirono tutti. E poi arrivò
l’uomo nuovo, che raccolse i frutti – o i cocci - del lavoro degli altri. Si
chiamava Benito Mussolini.
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