Ha vinto Renzi con il 46,7% dei
voti, ma anche Cuperlo con il 38%, e Pippo Civati con il 9%. E soprattutto ha
vinto Massimo D’Alema, l’uomo che nessuno ha mai votato ma che da più di
vent’anni ha in mano quel partito che ha cambiato nome almeno quattro volte, ma
le cui scelte politiche passano sempre attraverso le Case del Popolo. L’unico
posto dove il politico meno simpatico della storia d’Italia conserva ancora
intatto il suo sex appeal.
Le Primarie a doppio turno del PD
hanno candidato il Sindaco di Firenze, il suo antagonista costruito nel
laboratorio delle Case del Popolo e quell’altro, il “ragazzo terribile” e
indisciplinato emerso dalla nuova generazione, forse l’ultima su cui il PD
stesso eserciterà una qualche forma di richiamo.
L’8 dicembre prossimo la parola
definitiva passerà a tutti coloro che saranno disposti a versare l’obolo di due
euro. Basta questo infatti per scegliere il nuovo segretario del Partito
Democratico, nonché candidato alla presidenza del consiglio nelle elezioni che
prima o poi si terranno anche in questo paese il cui sistema politico è
regredito ad una Monarchia semi-costituzionale. Del resto, per scegliere i
candidati a questo ballottaggio si poteva essere anche sbarcati da poco da
qualche gommone e tesserati con procedura d’urgenza da qualche solerte
funzionario di partito. Molto più difficile e complicato avere un appuntamento
medico tramite CUP, soprattutto se si è cittadini italiani.
Matteo Renzi sente già la
vittoria in tasca, parla da segretario in
pectore e da nuovo leader della
sinistra. Ha già fatto ampiamente quello che gli riesce meglio: parlare in
lungo e in largo, raccontando a tutti cosa sarà e cosa farà il nuovo PD. Per
esempio, non sosterrà più ministri screditati come quella Cancellieri che ieri
ha riaffermato arrogantemente il proprio buon diritto a farsi gli affari propri
e dei propri amici di famiglia utilizzando apparecchiature di proprietà dello
Stato. Con la benedizione e l’imprimatur
del Presidente Letta, che ha legato il suo destino a quello della ministra
telefonista, affermando un “la Cancellieri sono io” che come frase storica è
seconda solo a quella celeberrima del re Sole Luigi XIV.
Renzi aveva speso molto del
proprio prestigio presente e futuro nella sfiducia pubblica alla Cancellieri.
Peccato che il nuovo PD è ancora di là da venire. In vigore c’è ancora quello
vecchio, e quello vecchio è in mano a D’Alema & C. Dove “C” sta per la
vecchia guardia che non molla, che vede il sindaco fiorentino come il fumo
negli occhi e che si è organizzata dapprima mettendogli contro metà del partito
(Cuperlo e Civati, se la matematica non è un opinione, hanno raccolto –
lasciamo perdere come e da chi – consensi che ammontano insieme a quelli di
Renzi, se non a qualcosa di più) e poi costringendo l’intero centrosinistra a
votare compatto per la fiducia al Letta-Cancellieri. Passata ieri in tromba a
Montecitorio con 405 voti a favore e 154 contrari. Tanti saluti a Matteo,
rientrato nei ranghi come un Civati qualsiasi e lasciato a sproloquiare del
nuovo partito che verrà.
Da un’altra parte sproloquiava anche
D’Alema, parlando del partito che c’è, del fatto che questo continuerà a
sostenere un governo che gli italiani non vogliono e non hanno mai scelto, ma
che è voluto dalla Casta, che ha tutte le intenzioni di arrivare in fondo alla
Legislatura così come stiamo messi adesso. Cioè male, visto che siamo ridotti
al punto che mentre Letta annuncia che mancano 900 milioni di euro da trovare
(sic!) entro oggi a pena di reintroduzione della seconda rata dell’IMU, in
un’altra stanza Saccomanni dice che non è vero nulla, che i conti sono a posto
così.
Ma di questo nel D’Alema-pensiero
non si trova traccia. Ciò che conta è che il sistema vuole resistere a tutti i
costi, e ha ufficialmente dichiarato guerra al rottamatore per antonomasia,
Matteo Renzi. Il quale a questo punto avrebbe bisogno di qualche successo
concreto da poter mostrare, oltre alle consuete parole. E non può certo bastare
il millantato nuovo stadio a Firenze, che ieri pare essere tornato in auge.
Se Renzi vincerà l’8 dicembre,
governerà su mezzo partito soltanto. In compenso Letta rischia di governare
l’Italia per altri 4 anni. E “baffino” D’Alema non sarà “baffone” Stalin, ma in
mano a lui il partito è veramente quella gioiosa macchina da guerra che
Occhetto sognava. Un osso ben più duro da rodere di colui che smacchiava i
giaguari.
Buona fortuna, Matteo. Ne avrai
bisogno. Ne avrebbe bisogno anche l’Italia, ma non crediamo sia più neanche il
caso di augurarglielo.
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