domenica 25 gennaio 2015

ITALIA ANNO ZERO: Fantozzi, Monti, la Corrazzata Potemkin e la riduzione delle Province

Le sciocchezze in Italia sono come le valanghe. Una volta che hanno preso il via, diventano inarrestabili. Quando poi se ne impadronisce la politica e ne fa altrettante parole d’ordine, diventano addirittura devastanti. Non sono passati molti anni da quando a Sabino Cassese prima e a Franco Bassanini poi fu consentito di rovinare irreparabilmente in questo paese una pubblica amministrazione che, pur non avendo mai raggiunto livelli di eccellenza pari a quelli del Civil Service britannico o americano o dell’Ecole Nationale d’administration francese, aveva funzionato discretamente dai tempi di Napoleone fino ai giorni nostri.
Una sinistra come sempre sprovvista di cultura di governo, in due momenti in cui il governo del paese cadde – è il caso di dire – nelle sue mani, acconsentì di buon grado a trasformare mode e tormentoni del momento in principi riformatori che, nelle mani dei professori dell’epoca, gente che non aveva lavorato nell’amministrazione per cinque minuti della sua vita ma che pretendeva di conoscerla bene, divennero qualcosa paragonabile all’Angelo Sterminatore del Vecchio Testamento.
L’amministrativista (termine già di per sé orrendo) Cassese codificò il nefasto principio dell’introduzione del diritto privato nella pubblica amministrazione. Da allora dirigenti e funzionari delle varie P.A. italiane sono nominati dai politici con contratti (onerosi per l'erario) di diritto privato, e pertanto sono legati mani e piedi alla volontà di questi contraenti. Bassanini completò l’opera pochi anni più tardi, introducendo la separazione (fittizia) tra politica ed amministrazione e la deregulation. Con la prima, si fece finta di tracciare dei confini tra le varie responsabilità: il politico fa le scelte strategiche, il funzionario adotta gli atti necessari ad attuarle, nel rispetto delle leggi. Niente di più falso, se chi deve attuare può essere licenziato dalla sera alla mattina, costui osserverà la volontà del padrone e non la lettera della legge. Con la seconda, una serie di previsioni normative furono declassate da previsioni di legge a previsioni di atti amministrativi, e come tali sanzionabili in caso di infrazione in maniera molto più leggera. Che poi, con buona pace di Bassanini e di chi ne cantò le gesta, era l’unica cosa che interessava ad una classe politica preoccupata di non veder ripetersi mai più Tangentopoli (nella persecuzione, ovviamente, non nella prassi).
Da queste improvvide riforme, a cui venne poi ad aggiungersi un Titolo V riformato in fretta e furia la sera prima della fine della legislatura per non lasciare in mano niente alla destra che avrebbe governato quella successiva e un federalismo ciarlatano e cialtrone che la destra stessa provò ad attuare in ossequio alle promesse fatte a una parte della sua base, quella leghista, la pubblica amministrazione italiana ne è uscita distrutta.
Franco Bassanini
Arrivando ai giorni nostri, in un momento in cui la crisi economica da un lato e di fiducia nelle istituzioni dall’altro morde le caviglie ai cittadini come mai prima forse nella nostra bicentenaria storia di popolo, un governo che questo popolo non ha eletto ma che è stato incaricato dal capo dello stato allo stesso modo di come accadde esattamente novanta anni fa negli stessi giorni (con la differenza che allora la costituzione vigente – lo Statuto Albertino – lo consentiva, mentre adesso no) non ha trovato di meglio che lanciare una nuova parola d’ordine, e come sempre succede nei periodi di crisi individuare un nuovo nemico. Questa volta non etnico o religioso, ma sociale. Lo si può leggere perfino su testate che una volta giustamente avevano la pretesa di essere prestigiose. Il Corriere della Sera, Repubblica, non passano giorno senza lanciare il messaggio al popolo affamato che il suo nemico sono i dipendenti pubblici. Che la pubblica amministrazione è una “erogatrice di stipendi, non di servizi”, come si può sentir dire facendo zapping da un talk show all’altro, a qualsiasi ora.
In altre parole, i tagli alla spesa pubblica da fare non sono quelli che una neghittosa classe politica, come l’orchestra del Titanic, si sta pervicacemente rifiutando e si rifiuterà di operare (in danno di se stessa, evidentemente), nella speranza malcelata che perfino i Fiorito presto o tardi torneranno a piede libero a godersi i proventi dei loro (legali, si badi bene, in quanto consentiti o tollerati da norme in vigore) approvvigionamenti finanziari. I tagli da fare sono gli stipendi dei dipendenti. Quelli che fanno tanto rabbia perché hanno il posto fisso. Quelli che stanno a sportello a prendersi quotidianamente la rabbia e gli insulti della gente, dell’utenza, giustamente inferocita da una burocrazia che definire borbonica è un oltraggio ai Borboni, ma che non riflette mai fino al punto di capire che ciò che la fa inferocire ha sede più su, a piani più alti. Quelli che magari a volte ti prendono in simpatia o compassione e aggirano regolamenti bizantini per venirti incontro e “non farti ritornare”, ma a loro rischio e pericolo, perché con la giustizia italiana se rubi milioni di euro te la cavi, ma se sbagli una marca da bollo la tua vita è finita.
Ma qualcuno bisogna pur trovare, gli ebrei non vanno più di moda, gli extracomunitari non è politicamente corretto, e allora, dagli al pubblico dipendente! E dove lo vado a trovare, avrà pensato il buon Monti, e con lui questo aulico consesso di menti accademiche applicate alla vita reale? Chi addito al popolo come affamatore? Come approfittatore? I Comuni non si toccano, esistono dal Medioevo e si sminestrano da sempre tutte le rogne di cosiddetta amministrazione diretta, di utilità (si spera) per i cittadini. Le Regioni sono, e rischiano di restare, gli unici feudi in cui certa sinistra può sperare di comandare, e di fare il bello e cattivo tempo. Restano le Province, anche se chi ha un minimo di istruzione sa che a toccarle si va contro la storia, oltre che contro il buon senso.
Le Province le aveva inventate Napoleone, che a differenza di tante altre figure pseudo-storiche succedutegli aveva dimostrato di non essere proprio un cretino o un incapace. Dopo di lui generazioni di governanti più o meno illuminati vi si erano appoggiati per mandare avanti questa baracca non semplice di stato che ci ritroviamo. I Prefetti, rappresentanti del Governo in sede locale, hanno avuto finora incontestatamente base provinciale, et pour cause.
Non molti anni fa, un’altra delle parole d’ordine uscite dall’immaginario di chi si è trovato ad amministrare senza avere idea di cosa amministrava fu quella degli ambiti territoriali ottimali. In sostanza, in un territorio in cui a parte le grandi città tutto era amministrato da Comuni dal numero di abitanti irrisorio, si pensava (e forse per una volta non completamente a torto) che tante materie potessero essere gestite a livello più o meno provinciale con efficacia, dai rifiuti, all’acqua, alla protezione civile, alle bonifiche, alle coste. Non appena il principio fu codificato dalle prime leggi, una valanga di competenze fu rovesciata (spesso senza le adeguate risorse economiche e di personale) dalle Regioni sulle Province. Che da allora cercano, in sofferenza, di assolverle (si parla di uffici e di lavoratori addetti, non di politici, sia chiaro).
Per stare alla Toscana, la realtà che conosciamo meglio e che più ci interessa, che senso hanno le Province è chiaro a chiunque conosca anche sommariamente un po’ della nostra storia sia antica che moderna. Cosa vale peraltro la nostra classe politica lo si vede dai commenti, oltre che dall’atteggiamento complessivo. Non c’è stato uno dei politici locali che si sia alzato a criticare il decreto ammazza-Province, se non al limite per aver sfavorito Tizio piuttosto che Caio. La Toscana esce con le ossa rotte dal riassetto istituzionale operato da un governo che nessuno ha eletto e che dio solo sa (ma ci si può immaginare) a chi risponde (a proposito, ma le Province non erano organi a rilevanza costituzionale? E si possono sopprimere così, per decreto?).
E facile immaginare cosa succederà a Prato, che ritornerà a dipendere amministrativamente da Firenze. E’ altrettanto facile immaginare cosa succederà a un abitante di Massa che dovrà andare a fare un foglio in Provincia arrivando fino a Pisa, o a uno di Capalbio che dovrà risalire fino a Siena, o viceversa. Per non parlare di quell’ultimo prodotto del genio umano (di cui una volta la Toscana era fucina) che è l’Area Metropolitana. Non Londra, signori, non Parigi. Qui l’Area Metropolitana comprende Marradi, San Godenzo, l’Abetone. Fanno tutti parte della Greater Florence. Chiaro il concetto?
Qualcuno ha la pretesa di continuare a dire che la Toscana va avanti tutta. Qualcun altro in sede nazionale applaude alla vittoria del Movimento Cinque Stelle, senza riflettere su cosa e soprattutto su chi sta vincendo. Nessuno che si sia alzato come Fantozzi, che nel capolavoro di Paolo Villaggio, costretto ad assistere per motivi aziendali alla proiezione della Corrazzata Potemkim, alla fine sbotta e in un soprassalto di dignità grida: “Per me…..è una c……… pazzesca!”

Le sciocchezze in Italia sono spesso devastanti e inarrestabili. Ma anche la furia della gente presa in giro può esserlo. In questo paese non abbiamo mai fatto una rivoluzione, e questo è il nostro limite storico come popolo. Ma a tutto c’è una prima volta e non è il caso di fare troppi esperimenti.

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