lunedì 5 gennaio 2015

Lo schiaffo di Cognigni

E’ un po’ come succede quando fanno il remake di vecchi film. La trama è fatalmente la stessa, aumentano gli effetti speciali ma il coinvolgimento emotivo della prima volta non c’è più. Il primo King Kong era girato con mezzi rudimentali, ma la gente gridava davvero quando lo scimmione lottava con gli aerei in cima all’Empire State Building. Il primo Guerre Stellari era girato senza computer, sarà che noi eravamo molto più ingenui ma volete mettere la magia di quei primi duelli con la spada laser e di quei voli nell’iperspazio di astronavi che solo la penna di grandi scrittori di fantascienza come Asimov era riuscita fino a quel momento a farci immaginare? Il primo Spiderman non entusiasmava i ragazzini come quello rifatto recentemente, estremamente spettacolare grazie ad una grafica ormai totalmente computerizzata, ma niente può eguagliare l’emozione suscitata nei più adulti da quel breve, fugace momento in cui negli occhi del costume dell’Uomo Ragno indossato da Tobey McGuire si riflettono le Torri Gemelle, ai loro ultimi mesi di esistenza.
L’addio di Norberto Murara Neto alla Fiorentina è un copione collaudatissimo ormai. Sappiamo a memoria cosa succederà, chi sono i “buoni” che vinceranno, chi i “cattivi” destinati a soccombere. Sappiamo perfino che stavolta la Fiorentina (intesa come squadra) potrebbe guadagnarci qualcosa e non uscirne con le ossa rotte (intesa come società). Ma volete mettere il pathos, lo psicodramma collettivo della prima edizione, l’affaire Montolivo?
Il copione ormai è uno standard. Fu scritto all’epoca della Legge Bosman, quella che all’inizio degli anni 90 abolì la proprietà del cartellino dei giocatori da parte delle società, e perfezionato allorché qualche genio si inventò le clausole rescissorie, apparentemente con l’intento di tutelare le società, di fatto portando alla luce del sole, legalizzando quelle che altrimenti sarebbero state manovre puramente sottobanco. Da allora, quando si appressa la scadenza di un contratto, il giocatore che vuole cambiare aria (in genere perché, come succede nello sport professionistico, qualcuno gli offre di più) intavola una pseudo-trattativa al termine della quale c’è la “rottura controllata”. Il procuratore ovviamente lo asseconda, perché dalla compravendita o dalla dipartita a parametro zero comunque ci guadagna una percentuale legittima. C’è chi dice che ci guadagna anche il direttore sportivo della società di partenza, e perfino quello della società di arrivo, ma qui si va nel campo che il compianto senatore Andreotti definiva del cattivo pensiero, quello che ci comporta di commettere peccato anche qualora ci si indovini.
La vicenda di Riccardo Montolivo, per i nemici “Passatina” è ormai arcinota. La società, che all’epoca non viveva il suo momento di maggior prestigio, lasciò passare il tempo utile per rinnovare il contrato al talentuoso centrocampista bergamasco, che alla fine fu tentato dalle sirene del Milan. “Lo sciagurato rispose”, per dirla con il Manzoni, ed i suoi procuratori – Branchini e Pallavicino – ebbero buon gioco a barcamenarsi tra una posizione apparentemente politically correct verso la Fiorentina ed i propri interessi.
La Fiorentina rimase con un palmo di naso, ma incredibilmente nessuno – da Della Valle all’ultimo uomo del suo entourage – si stracciò le vesti. Autorizzando tra l’altro “andreottiani” pensieri. Ci fu semmai uno scaricabarile reciproco per far passare la controparte in cattiva luce. La città di Firenze – come spesso le succede – abboccò in pieno. Addio figliol prodigo passato sulle sponde rossonere, avanti ragionier Cognigni con il “secondo progetto” e tutta una serie di acquisti, Aquilani in primis, destinati a far dimenticare l’ingrato. Che comunque si tolse una bella soddisfazione sbeffeggiando al Franchi il suo “erede” David Pizarro e segnando il gol che alla fine della stagione fece la differenza: Milan in Champion’s, Fiorentina in Europa League.
Sono passati tre anni. La storia si ripete con Norberto Murara Neto, il portiere pescato da Corvino nel “mare magno” delle promesse brasiliane. Dopo una gestazione particolarmente difficile, il brutto anatroccolo che doveva combattere per la maglia numero 1 con l’enfant du pays Emiliano Viviano ne ha fatta d strada, lavorando sodo, ingoiando sfiducia, sberleffi ed insulti, costruendosi giorno dopo giorno la reputazione di uno dei migliori portieri della serie A italiana. Tanto che diverse società di vertice di quella serie A (dalla Juventus che sta per dare addio al monumento Buffon a Roma e Inter scontente di quello che hanno in casa) sembra che l’abbiano messo nel proprio mirino. Le offerte fatte al giocatore ed al suo entourage sono consistenti, di gran lunga superiori a quelle, peraltro tardive, avanzate dalla Fiorentina nel tentativo di rinnovare.
Risultato, il buon Norberto non ha nessuna intenzione di rinnovare, vuole andare là dove lo porta non il cuore ma il professionismo. Dove si guadagna di più e magari si può anche vincere qualcosa. Ecco quindi che comincia il secondo tempo di quel film già visto, quello in cui la colpa di un addio non proprio indolore (almeno tecnicamente) va scaricata sul reprobo, spostando i riflettori via da vertici societari che stanno tirando per le lunghe diversi rinnovi, a cominciare da quello ancor più importante di Alberto Aquilani, con l’intenzione evidente di sostituire una plusvalenza di bilancio ad un patrimonio tecnico della squadra.
La “bambola” è già partita, i primi striscioni sono già comparsi. Neto ingrato, è il mantra che di qui a giugno ricorrerà più spesso sulla bocca di un tifo che proprio non ce la fa a crescere, che non vuole superare vecchi traumi e vecchie immaturità. Fermo ad Antognoni, come se già Baggio pochi anni dopo non avesse mostrato chiaramente che il mondo stava cambiando irrimediabilmente. Fermo ad un aziendalismo che possiamo comprendere in chi da queste operazioni di mercato in un modo o nell’altro ci guadagna, non in chi ci rimette, pagando di tasca propria lo spettacolo di una Fiorentina che una volta di più sta vivendo una fase involutiva. Empoli, Sassuolo, PAOK, Dinamo Minsk, sono i nomi altisonanti di chi è venuto a fare una scampagnata al Franchi, tornando via con un punto neanche troppo sudato. In Italia ci ha spesso pensato il ragazzo venuto dal Brasile a far sì che i punti scivolati via non fossero ancora di più. In Europa, colui che dovrebbe sostituirlo, il buon Tatarusanu, non è che abbia convinto più di tanto.
Forse più che sulla gratitudine di Neto varrebbe la pena d interrogarsi sulla capacità professionali di chi l’ha lasciato arrivare a questo passo d’addio (senza contropartite o salvaguardie tecniche). Da Montolivo a Neto il ragionier Cognigni ed il so staff non hanno apparentemente imparato nulla, a meno di non voler indulgere nei soliti andreottiani cattivi pensieri. Anzi, promettono di fare peggio con il rinnovo di Aquilani, e con un apparente tentativo di cessione entro gennaio di Neto a destinazioni che non si vede come l’a questo punto ex portiere viola potrebbe accettare. Tutto pur di non farlo andare là dove probabilmente finirà per andare: a una diretta concorrente italiana.

Ad Anagni, uno dei pontefici più dispotici della storia prese un celebre schiaffo che si riverberò su tutta la Chiesa Cattolica, mettendola in difficoltà tali da cui non si sarebbe più ripresa fino alla Riforma Protestante. Non vorremmo che, per far rima, la Fiorentina non stesse subendo in questi giorni lo “schiaffo di Cognigni”. Per scoprire, nel modo più doloroso possibile, che stavolta non si tratta di sostituire un portiere o un centrocampista. Ma bensì di rendersi conto che il “progetto” non abita più qui. Se mai vi ha abitato.

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