mercoledì 21 gennaio 2015

Storia di Lola, che morì a Capodanno

Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e non si può essere affatto sicuri dell’universo, disse una volta Albert Einstein. Il padre della teoria della relatività aveva, come spesso gli succedeva, ragione. Se sull’estensione e sulla natura dello spazio che abitiamo ai giorni suoi come ai nostri eravamo e siamo ancora al livello di congetture, sull’imbecillità della specie dominante di questo pianeta – ai giorni suoi ed ancor più ai nostri – esistono ormai tante e tali prove inconfutabili da farne una legge fisica, al pari di quelle che regolano la dinamica dei corpi.
La storia che raccontiamo oggi è una delle più emblematiche, almeno per chi cerca di elevarsi faticosamente dallo stato ferino di natura a quello di essere civilizzato. E’ una delle tante storie rubricate sotto la voce “botti di Capodanno”, la notizia principale di ogni quotidiano o telegiornale il primo giorno di ogni anno che Dio mette in terra, con il consueto bilancio soprattutto di vittime più o meno gravi.
L’Italia non è un paese per esseri umani, lo sappiamo bene. Non abbiamo rispetto di noi stessi, né del nostro prossimo. Figurarsi se può essere considerato un paese per animali. Che noi continuiamo – alla faccia di qualsiasi normativa approvata dal nostro solerte Parlamento – a considerare piuttosto “bestie”. Forse in tal modo sentendoci più a nostro agio con loro, dato che bestie, sostanzialmente, siamo rimasti anche noi.
A Capodanno, da tempo immemorabile (o forse soltanto da quando non ci è più concesso di sparare colpi d’arma da fuoco per motivi ancora più futili) c’è la ben nota usanza di seppellire l’anno vecchio ed accogliere quello nuovo a suon di botti. Fuochi d’artificio e bombe più o meno sofisticate e che spesso hanno poco da invidiare a quelle usate nei cosiddetti teatri di guerra “allietano” i nostri New Year’s Eves più o meno dovunque lungo la Penisola.
Per qualche ora, o a volte per giorni a seconda delle disponibilità economiche, le nostre città finiscono per assomigliare a Kabul, a Damasco, a Bengasi, a uno di quei posti dove invece tanta gente darebbe chissà cosa per godersi un po’ di pace e di silenzio, avendo ben poco da festeggiare. Nelle campagne, regno incontrastato di quelle Tigri di Arkan mancate che sono i cacciatori nostrani, molti sopperiscono inoltre alla difficoltà di reperire le varie bombe di Maradona o di Higuain con i colpi della propria arma da fuoco. Tanto cambia poco, sempre nei paraggi di agglomerati urbani o proprietà altrui sparano, come ogni giorno tra settembre e gennaio.
La mattina dopo, mentre gli spazzini festeggiano l’anno nuovo ripulendo il letamaio accumulatosi nelle piazze e nelle strade in cui si è svolto il fatidico conto alla rovescia, nei Pronti Soccorsi degli ospedali si stila il bollettino delle vittime più o meno gravi, al termine di nottate infernali per gli operatori sanitari e costosissime oltretutto per le finanze pubbliche. Ma non è tutto, ultimamente tra chi è costretto a passare il Capodanno a riparare ai guasti dei festaioli ci sono anche i veterinari delle ASL, che spesso devono mettersi a cercare per ogni dove animali domestici su segnalazione delle rispettive famiglie angosciate. Animali fuggiti in preda al terrore per aver visto improvvisamente i cosiddetti umani trasformarsi in creature impazzite, capaci di provocare un rumore che alle loro orecchie di umano non ha più niente.
La storia di Lola è la storia di una delle tante creature che credevano di essere il miglior amico di questa bestia a due zampe, capace di affetto e cure insostituibili per buona parte del tempo e poi all’improvviso capace di pazzia e crudeltà inspiegabili, inarrestabili, devastanti.
Lola, uno splendido pastore tedesco «docile e buona sia coi cani che con le persone» (come recitava l’annuncio della sua scomparsa), era in casa sua ad Antella, frazione di Bagno a Ripoli. Quando è cominciata la sparatoria, come molti altri tra cani e gatti è caduta in preda al terrore, e fatalmente ha trovato una porta aperta per fuggire lontano. La mattina dopo, non vedendola tornare, i suoi proprietari hanno allertato tutto ciò che era allertabile, dai vigili urbani a quelli del fuoco alle reti di amici degli animali presenti su internet.
Niente da fare. Per oltre quindici giorni di Lola non si è trovata più traccia. La paura l’aveva spinta chissà dove, via dalla pazza folla degli umani scatenati in una guerra assurda e immotivata, e incapace di ritrovare la strada di casa. Oppure, come sa e teme chiunque abbia un animale domestico e gli è affezionato, le era capitato qualcosa. Qualcosa di brutto a cui si cerca di non pensare ma che con il passare dei giorni diventa sempre più probabile.
Alla fine, l’ipotesi peggiore è stata confermata. Qualcuno ha visto nel vicino torrente Isone il corpo di un cane pastore tedesco, evidentemente morto da giorni, ed ha allertato la polizia municipale. Lola era dotata di un microchip e pertanto l’identificazione è stata tragicamente semplice. La causa del decesso è da ascriversi probabilmente al gelo dell’acqua ma più ancora a quello che una volta si chiamava con brutale efficacia crepacuore, non avendo il povero animale segni di ferite addosso. Lascia una famiglia affranta (come tutte le famiglie che amano i propri animali, normalmente fino al punto da considerarli membri a tutti gli effetti). Ma soprattutto lascia in chiunque in questo benedetto paese cerchi inutilmente di elevarsi dallo stato di natura ad uno stadio appena superiore di civiltà, una sensazione di impotenza pressoché totale.
Le leggi son, ma chi pon mano ad elle? diceva Dante Alighieri. Provate a chiamare una qualunque forza dell’ordine, non solo la notte di Capodanno ma tutti i giorni e tutte le notti, per sporgere denuncia a proposito di fatti che configurino qualche reato inferiore all’omicidio efferato, e vedrete quale risposta avrete. Esiste una legge da anni che persegue il maltrattamento agli animali come un vero e proprio reato. Ma come tante leggi, cessa di aver vigore in Italia al calar del sole, o forse anche prima. E soprattutto all’insorgere delle vecchie abitudini cialtronesche che continuiamo a contrabbandare per festaiole.
Chi scrive, la notte di Capodanno ha visto la propria abitazione fatta bersaglio della contraerea sparata dal giardino del vicino senza soluzione di continuità dalla mezzanotte fatidica fino alle prime luci dell’alba. Chiesto al vicino di addivenire a comportamenti meno incivili (alcuni ordigni ricordavano sinistramente quelli usati durante il servizio militare) e ricevuto in risposta la consueta prevedibile sequela di male parole, sempre chi scrive ha ben presto scartato l’ipotesi di farsi giustizia chiamando la forza pubblica, non potendo farsi giustizia da sé per non scendere al livello della bestia circostante.
I Carabinieri della Stazione di Vaglia fanno festa alle ore 16,00. Per qualsiasi segnalazione dopo quell’ora interviene Firenze Centro, tramite citofono con deviazione di chiamata. Chi conosce la zona e le distanze è in grado di capire bene che alle 16,00 a Vaglia cessa la civiltà e comincia il Far West. Figurarsi a chiamare i Carabinieri perché i propri animali sono terrorizzati e il vicino spara petardi all’uranio impoverito ad alzo zero contro le proprie finestre. Chi fa in tempo e può, chiude le porte e le finestre. Gli altri sperano – oltre che di non prendersi una fucilata – di rivedere i componenti animali della propria famiglia la mattina dopo.

Lola non ce l’ha fatta. Il suo nome va ad aggiungersi all’elenco maledetto delle vittime dell’ultimo dell’anno. Il Capodanno 2015 va ad aggiungersi alle prove di quella che Einstein elaborò come la teoria della stupidità umana. All’anno prossimo, c’è un record da migliorare, quest’anno morti e feriti erano un po’ in calo. E nel frattempo un consiglio a tutti coloro che vogliono prendersi un animale domestico: prendetevi un giaguaro. Almeno gioca alla pari con gli armigeri, ed ha qualche chance di vincere lui.

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