domenica 25 gennaio 2015

ITALIA ANNO ZERO: L'Italia è una repubblica fondata su Roberto Benigni

19 dicembre 2012


Torna Roberto Benigni su RAI1 per un nuovo evento nazional-culturale, e fa il 44% di share dell’audience televisiva. Dopo la serata in cui spiegò in diretta a un popolo italiano in quel momento abbastanza distratto da altri problemi esegesi e motivazioni storiche di quell’Inno di Mameli che da centocinquant’anni celebra ufficialmente l’Unità d’Italia, il comico-professore di Vergaio è tornato sul piccolo schermo a cimentarsi con un aspetto ancora più significativo della nostra Comunità-Stato, quella Costituzione che fu siglata nel dicembre 1947 dalle forze politiche riunite in apposita assemblea e che consentì alla neonata Repubblica sorta dalle ceneri della Monarchia Sabauda e del Fascismo di cominciare a funzionare.
Roberto Benigni è, nel panorama culturale italiano, una figura assolutamente unica. Nato come comico d’avanguardia e di rottura su Televacca, sorta di telelibera appartenente al mare magno delle emittenti nate alla metà degli anni 70 per effetto della riforma del sistema televisivo che spezzò il monopolio RAI, è diventato con il tempo una figura di tale rilievo e spessore che, come sempre succede in Italia in questi casi, non se ne può più parlare (e sopravvivere), sia nel bene che nel male: si può solo celebrare.
In effetti, l’uomo di Vergaio ha un palmares che incute rispetto: uno dei pochi autori-attori del nostro cinema a vincere il Premio Oscar, e per di più con quel capolavoro assoluto (e mai più dai lui stesso eguagliato, va detto) che fu La vita è bella; unico professore improvvisato a rendere piacevole, affascinante ed imperdibile la lettura ed il commento dell’incubo di generazioni di scolari italiani, dall’Unità d’Italia in poi, insieme ai Promessi Sposi di Manzoni, la Divina Commedia del Sommo Dante; unico vero erede del Grande Affabulatore Dario Fo, come lui capace di tenere avvinto allo schermo un pubblico televisivo eterogeneo per una intera serata a sentirlo raccontare storie grandi e storie minime, spaziando dal medioevo barbarico ai giorni nostri, dal sacro al profano sempre con la stessa efficacia, sfiorando religiosità e bestemmia con la stessa grazia mai offensiva, rendendo utile e piacevole la cultura a chi ne ha più bisogno, per proprio arricchimento e affrancamento, la gente comune. Che non per nulla lo ricambia con immutati affetto e stima da ormai quasi 40 anni. Se c’è Benigni al cinema o in TV si va, senza discussioni. E poi si sta a vedere.
Detto tutto questo, e dato a Roberto quel che è di Roberto, cioè anche di essere stato capace l’altra sera di un nuovo exploit satirico di quelli di cui solo lui è capace, tentiamo di azzardare un po’ di critica. Non a lui, per carità, che fa il suo lavoro egregiamente. Ma a chi, una volta di più, non ha fatto il proprio. Disgraziata la patria che ha bisogno di eroi, diceva un altro grande, quel Bertolt Brecht in fuga dai mostri che il sonno della ragione aveva scatenato nella sua di patrie, la Germania conquistata da Hitler. Fatte le debite (per ora) proporzioni, si può considerare che se nella nostra di patrie l’unico che sente il bisogno ed ha la capacità e la possibilità di celebrare i nostri momenti fondanti è un guitto di lusso come Roberto Benigni, forse tanto bene non siamo messi. Ma non c’era bisogno di questa serata per accorgersene.
Mala tempora currunt, dicevano gli antichi romani ogni qualvolta si palesava loro un periodo di crisi. La crisi che stiamo vivendo adesso noi, come comunità civile ed economica, è di quelle che non scherzano, e che richiederebbero interventi e soluzioni adeguate alla drammaticità del momento. Se qualcuno ha avuto la sensazione che una sola delle nostre istituzioni e/o delle figure che sono attualmente incaricate di rappresentarle sia stato all’altezza di questo momento, anche solo per un momento, alzi pure la mano. Ci vuole un grande teatrante come Benigni a spiegarci perché la nostra Costituzione è la più bella del mondo, e perché il nostro inno vale la pena di essere cantato, a prescindere dai gusti musicali e dalle costrizioni più o meno imposte per legge.
Il Presidente provvisorio Enrico De Nicola promulga la nuova costituzione
Nessun altro, dal Presidente della Repubblica in giù, ha mai saputo darci anche per un solo istante la stessa sensazione – nei fatti, si intende – di appartenenza a qualcosa che vale, non sapendo offrire altro che retorica a profusione puntualmente smentita da fatti di tutt’altro segno. La più bella del mondo, dice Benigni. Lo era davvero la nostra Costituzione, quando fu scritta da partiti politici che avevano avuto in comune la dura lotta alla dittatura fascista e la sanguinosa guerra partigiana, e volevano dare al mondo più di tutto il resto la sensazione che l’Italia era un’altra cosa, che quel paese che aveva firmato il Trattato di Pace a Parigi il 10 febbraio 1947 era un partner con cui costruire insieme una vita migliore per tutti, non un soggetto di cui avere paura o disprezzo. Quando entrò in vigore, il 1° gennaio 1948, era davvero la più bella del mondo, o almeno se la batteva con altri capolavori quali la Costituzione Americana o la coetanea Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Era bella perché in quel momento sulle regole erano tutti d’accordo, dai Democristiani che prendevano ordini dal Vaticano ai Comunisti che prendevano ordini dall’Unione Sovietica di Stalin.
E’ stata anche la più disattesa del mondo. Per l’attuazione del Titolo V sulle Autonomie Locali ci vollero più di 20 anni, e adesso – vista la cronaca recente – siamo quasi qui a pentircene, e non soltanto per la pessima riforma voluta dal duo D’Alema-Bassanini nel 2000. Più in generale, è stata disattesa perché molto di rado i suoi principi splendidi e quasi perfetti sono stati tradotti in comportamenti all’altezza da una classe politica che dalla Prima alla Seconda e probabilmente anche alla Terza Repubblica ha avuto ed avrà il comune denominatore (fatte poche eccezioni) di una cialtroneria e inadeguatezza pari all’arroganza. E da un corpo elettorale di cittadini che ha fatto spesso di tutto per giustificare il detto che ogni popolo ha il governo che si merita.
E’ di pochi giorni fa la notizia del provvedimento, già licenziato positivamente dal Senato e attualmente all’esame della Camera, che prevede per la prossima legislatura l’affiancamento agli attuali 945 parlamentari di ulteriori 90 costituenti, che avranno cioè il compito esclusivo di provvedere a quella riforma della Costituzione a cui l’organo a ciò deputato dalla stessa non sa provvedere. Pagheremo 90 stipendi, indennità e prebende parlamentari in più, e l’esito poi non è affatto garantito, visto che siederanno uno a fianco all’altro con i colleghi che dovrebbero mandare a casa. Non c’è bisogno, riteniamo, di commentare la notizia, ma solo di richiamare un po’ più di attenzione anche sulle cronache (quelle poche) che raccontano la politica vera, e non solo sugli spettacoli televisivi pur affascinanti come quello di Roberto Benigni.
In conclusione, affascina e fa rabbia in pari misura il nuovo spettacolo di Benigni, per i motivi sopra detti. E anche perché a scuola di queste cose non sono più capaci di parlare, troppo più importanti le 18 ore settimanali lavorative dei primi 12 articoli della Costituzione, e la vecchia sana Educazione Civica di una volta non esiste più, obsoleta, demodée, sparita nel tunnel di qualche ministro della pubblica istruzione tra i tanti – diversamente capaci, diciamo così – che si sono avvicendati in questi anni. E poi perché nella Pubblica Amministrazione ormai si fa altro, rispetto a quello che era stato previsto nella Carta Costituzionale, ed è già tanto se non si spreca malamente.
Perché nel resto della comunità nazionale si fa - anche adesso che la crisi ci morde alle caviglie - né più e né meno che quello che Francesco Guicciardini definiva l’atteggiamento tipico dell’italiano medio, perseguire “el mio particulare”. Dell’IMU mi frega,perché mi tocca in tasca pesantemente ora, subito. Dei 90 parlamentari aggiunti no, di qui all’anno prossimo si vedrà, e poi è capace che qualcosina tocca anche a me. L’arte di arrangiarsi l’abbiamo inventata qui, del resto. Anche se adesso non è detto che basti più.
Grande Roberto Benigni, insomma, e povera Italia come sempre. Un paio di notazioni a margine, se ci è consentito. Benigni non ha mai fatto mistero del suo schieramento politico, che rende peraltro sempre accettabile a tutti con l’umorismo geniale e mai greve di cui è capace. L’altra sera, però, si è alternata troppo la soirée istituzionale con quella politica. Parlare della Costituzione e parlare di Berlusconi non è proprio, o non ancora perlomeno, la stessa cosa, e c’è da pensare tra l'altro che con un taglio più istituzionale lo share avrebbe potuto essere anche più alto, per il campione di vergaio.
L’altra cosa, ci risulta che all’epoca della comparsata alla trasmissione di Fazio e Saviano Benigni avesse destinato il suo compenso in beneficienza, e per la precisione ad alcune sale operatorie dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. Che (verrebbe da dire, ovviamente) non hanno mai visto quelle somme a tutt'oggi. Non è chiaro allo stato attuale dove si siano fermate, se alla Fondazione Meyer che le ha diversamente destinate, o addirittura prima. Conosciamo tutti Roberto Benigni per essere un uomo dal cuore d’oro, oltre che dal grande intelletto e dalla grande comunicatività. Non guasterebbe se in futuro prestasse più attenzione, a cosa viene fatto da altri spendendo il suo nome, prima ancora dei suoi soldi.

Che Dio ci conservi in salute Roberto Benigni e la Repubblica Italiana.

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