domenica 25 gennaio 2015

ITALIA ANNO ZERO: L'altra metà del cielo, in fondo a sinistra

2 giugno 2013

Diceva Mao Tse Tung, “le donne portano sulle loro spalle la metà del cielo e devono conquistarsela”. Dai tempi del Grande Timoniere, grazie alle battaglie per le pari opportunità condotte soprattutto dalla Sinistra (quando la Sinistra combatteva battaglie progressiste), ne ha fatta di strada l’altra metà di questo cielo non sempre limpido sotto cui viviamo.
Dagli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale in cui in Cina il Padre della Rivoluzione stabiliva per legge che le donne potevano e dovevano fare tutto quello che facevano gli uomini ed in Italia veniva concesso il diritto di voto per la prima volta ai cittadini di sesso femminile, le donne hanno compiuto il percorso più o meno completo che le ha portate in tutti i campi ad eguagliare di diritto e di fatto gli uomini, ed in alcuni casi addirittura a sopravanzarli. Al punto che ormai celebrazioni come quelle dell’8 marzo sono vissute dalle donne stesse quasi con fastidio, come un pleonasmo anacronistico e inutile a migliorare la condizione femminile dove ancora è arretrata oppure meramente ed offensivamente retorico là dove invece essa ha raggiunto il traguardo dell’effettiva parità dei diritti.
Come per qualsiasi categoria sociale partita da posizioni di svantaggio, è nel campo della politica e dell’amministrazione che si misura il grado di emancipazione. Le donne in politica oggi sono molte, sia a sinistra che a destra. Le quote rosa ormai sono rispettate, la quantità è assicurata. Per la qualità, il discorso è diverso. La Seconda Repubblica ha ben poche figure la cui statura è comparabile con quelle della pur bistrattata Prima, e le donne non fanno eccezione.
E se a destra la questione femminile si può semplificare in alcuni stereotipi abbastanza omnicomprensivi (ognuno può divertirsi a identificare a quale appartengono Carfagna, Santanché, De Girolamo, Meloni), a sinistra la faccenda si fa più complessa. Sgombrando il campo da archetipi quali Rosy Bindi e Anna Maria Finocchiaro, l’altra metà della simpatia rispetto a un D’Alema o a un Bersani, ci sono tra le ultime leve alcuni personaggi che vale la pena di esaminare, perché al peggio, politicamente e anche socialmente, non c’è mai fine.
La sera del 22 aprile, mentre il Partito Democratico scavava tra le macerie del dopo-elezione del Presidente della Repubblica per cercare di recuperare qualcosa, la nouvelle vague del centro-sinistra Debora Serracchiani festeggiava la sua fresca elezione a Presidente della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia lamentando di essere stata completamente abbandonata dal suo partito nel momento cruciale della campagna elettorale, e di avere pertanto vinto da sola, anzi malgrado i suoi compagni.
Pochi giorni dopo, sul Piccolo di Trieste del 27 aprile compariva la notizia (mai smentita da nessuno successivamente) che alla elezione della Serracchiani, risultata vincitrice per 2.000 voti scarsi sul candidato del centrodestra Renzo Tondo, hanno contribuito in maniera evidentemente decisiva i 6.000 istriani (abitanti cioè di un territorio non più appartenente all’Italia dal 1945, di etnia italiana, ma di nazionalità jugoslava fin dai tempi del trattato di pace avendo essi optato in tal senso, che hanno poi recuperato una cittadinanza italiana puramente formale con la fine della Guerra Fredda e l’avvento dell’Unione Europea) che il PD è andato a prendere oltre confine a poche ore dalla chiusura delle urne con appositi pullman, affinché facessero pendere dalla sua parte un ago della bilancia dalle oscillazioni estremamente incerte.
A parte l’interpretazione della legge elettorale discutibile, poiché assimila a emigranti o figli di emigranti persone che non hanno mai risieduto in Italia e che anzi alla fine degli anni Quaranta scelsero la cittadinanza di un altro paese, salta agli occhi da parte della Serracchiani un chiagnere e fottere (absit iniuria verbis) tipico di altre latitudini nazionali. Per chi ricorda le sue lamentazioni in prima serata tv, davvero un bell’esempio di coerenza, nonché di gratitudine e solidarietà di partito.
Altra icona della Sinistra al femminile in rapida ascesa, è la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, che esterna spesso e volentieri, a 360°, tanto da far concorrenza allo stesso Presidente della Repubblica (al quale almeno però la Costituzione conferisce formalmente tale potere). Così, la troviamo il 1° maggio a parlare di problemi del lavoro a Portella delle Ginestre (luogo dove ogni anno si commemora l’eccidio compiuto in pari data dagli uomini di Salvatore Giuliano sui contadini che chiedevano la riforma agraria, nel 1947), lei che essendo stata in tutti questi anni a giro per il mondo ovviamente conosce bene la realtà dei lavoratori italiani. La ritroviamo poi il 28 aprile subito dopo l’attentato di Prieti a Palazzo Chigi, ma in realtà a due poveri rappresentanti delle Forze dell’Ordine che hanno l’ingrato compito di proteggere lei e i suoi colleghi quotidianamente, in prima linea a stigmatizzare il clima di “violenza verbale” che si registra nei confronti della classe politica.
Come a dire, queste sono le ovvie conseguenze. E neanche una parola sulla violenza ai danni dei cittadini attanagliati da una crisi spaventosa perpetrata da un Parlamento che, a tre mesi dalla sua elezione, si è ben guardato ancora dal cominciare a funzionare per quella che è la sua funzione legislativa e per la quale è lautamente retribuito, eccezion fatta per alcuni provvedimenti importantissimi tra cui la concessione dell’assistenza sanitaria gratuita ai conviventi gay dei parlamentari, oppure la ratifica di una Convenzione firmata a Istanbul che stabilisce che la violenza sulle donne va punita (come se non esistesse già un Codice Penale a tal proposito).
Troviamo ancora la Presidente della Camera, più volte, a ribadire il suo capolavoro di sensibilità politica, l’affermazione che il problema principale della società italiana e la questione più importante nell’agenda del nuovo governo è e non può essere altro che l’accoglienza agli immigrati, regolari e non. Se non lo sa lei del resto, che è stata negli ultimi 25 anni lontana dall’Italia, a lavorare presso le Nazioni Unite come portavoce dell’Alto Commissario per i Rifugiati, chi può saperlo? Il suo è stato sicuramente un osservatorio decisamente privilegiato. Su cosa, quello è un altro discorso.
Ma è soprattutto una l’iniziativa per la quale la Presidente Boldrini si è distinta dal giorno in cui il suo nome è stato estratto dal cilindro del Partito Democratico per andare a sedersi sullo scranno più alto di Montecitorio: l’allestimento di una squadra speciale della Polizia Postale con il compito di scandagliare quotidianamente il web in cerca di qualsiasi cosa che possa essere ravvisata come offesa alla terza carica dello Stato. Cioè alla sua persona. Ora, a parte che la suddetta Polizia Postale, all’epoca del boom di Internet, svolge già istituzionalmente una mole di lavoro impressionante e forse non aveva – in questi tempi di magra (leggasi spending review) - bisogno che le venisse aggravato il carico di lavoro, la creazione di questo reparto speciale con compiti di censura ha inoltre qualcosa di sinistro, e ricorda molto l’atteggiamento verso il nuovo strumento di comunicazione sociale e di informazione digitale assunto da anni dalla Repubblica Popolare Cinese (tanto per ritornare al Grande Timoniere).
Le false foto naturiste della Presidente della camera sono state prese infatti a pretesto per una campagna censoria quale in Italia, va detto, non si vedeva più dagli anni 50. Viene da chiedersi cosa sarebbe successo a un Giorgio Forattini se il compianto senatore Giovanni Spadolini (per dirne uno) avesse ragionato come la signora in questione. Viene anche da chiedersi cosa succederà ad Internet ed alla libertà di espressione, visto che subito la cosiddetta Casta si è schierata compatta, Presidente della Repubblica in testa, dalla parte dell’iniziativa poliziesca della Presidente di Montecitorio. Che ha tenuto a ribadire in varie circostanze che il suo intento è solo quello di combattere i commenti sessisti e violenti. Una categoria, come si vede, talmente labile da gettare un’ombra inquietante sulla libertà di parola in questo paese.
In una di queste circostanze, tra l’altro, ha avuto una sponda più realista del re nella giornalista Concita De Gregorio, altra icona del progressismo rosa, che l’ha intervistata per Repubblica. La De Gregorio non si è fatta scrupolo di parlare di “campagna contro Laura Boldrini”, dipingendo un quadro in cui la signora avrebbe ricevuto più minacce di morte del Presidente John Fitzgerald Kennedy prima del suo viaggio fatale a Dallas, e in cui sarebbe sottoposta quotidianamente a ricevere quantità enormi di messaggi contenenti insulti e minacce varie, i cosiddetti commenti sessisti. “La magistratura è avvertita, le denunce sono partite (…) La politica deve essere coraggiosa, deve agire”. Se queste parole le avesse dette un esponente del centrodestra, senza fare nomi, si sarebbero aperte le cateratte del cielo. Qui, invece, si aggiorna la già problematica agenda del governo, e tutti zitti.
A proposito di agenda, tra le novità introdotte dal Presidente del Consiglio Enrico  Letta con la sua compagine governativa e tra le icone emergenti del panorama politico femminile di sinistra troviamo l’attuale Ministro per l’Integrazione (Boldrini chiama, Letta risponde) Cécile Kyenge. La Kyenge, originaria della Repubblica Democratica del Congo, giunta in Italia come immigrata clandestina (poi regolarizzata) nei primi anni 80 e diventata cittadina italiana nei primi anni 90 a seguito di matrimonio con un italiano, dai primi anni 2000 attivista del Partito Democratico che l’ha candidata alle ultime elezioni, aveva appena giurato nelle mani di Napolitano che un attimo dopo ha pensato bene di uscire con la dichiarazione senza mezzi termini di voler concedere la cittadinanza a tutti gli immigrati presenti sul suolo italiano, a prescindere dalla loro posizione nei confronti della legge. E ciò in virtù, nientepopodimeno, della riforma di un principio cardine dell’ordinamento giuridico italiano, fin dal tempo del suo predecessore illustre, l’Impero Romano: lo jus sanguinis.
Com’è noto, due sono i principi giuridici in virtù dei quali avviene nel mondo moderno la acquisizione della cittadinanza. Lo jus sanguinis consiste nella sua acquisizione per nascita da cittadini, o per matrimonio con cittadini; è il principio in vigore in Italia, ed in molti paesi latini. Dovunque si nasca, si è italiani se si nasce da italiani, o lo si diventa se (come è successo alla Kyenge) si sposa un italiano/a. L’altro principio è lo jus soli, la cittadinanza si acquista in base al suolo su cui si nasce, o alla permanenza su quel suolo per un certo numero di anni ed a certe condizioni; è il caso dei paesi anglosassoni, Gran Bretagna e Stati Uniti, e della Francia.
Ora, a parte il fatto che la questione investe altre problematiche alla base della attuale situazione economica e sociale italiana (siamo un paese di 60 milioni di abitanti censiti e con almeno 8 milioni di immigrati registrati, più tutti quelli irregolari, e che sta attraversando una crisi economica epocale), sarebbe il caso magari che come metodologia applicata alla politica in un paese cosiddetto democratico essa fosse oggetto di consultazione popolare, dato che va a toccare appunto un principio cardine dell’ordinamento.
La Kyenge, invece, dimostra di essersi perfettamente integrata nella mentalità del suo partito quando comunica alla platea dei sudditi il suo intento indiscutibile, anziché interpellare dei cittadini sull’opportunità della sua proposta. Che se fosse approvata tra l’altro avrebbe le conseguenze devastanti facilmente immaginabili, chiunque potrebbe venire a partorire un figlio in Italia (salvo poi andarsene subito) e prendere così la cittadinanza per il figlio, da estendere magari successivamente a tutta la famiglia (cosa vogliamo fare, separarli?). Tutto ciò nel contesto di un paese la cui solidità istituzionale, politica e sociale non è neanche lontanamente paragonabile a quella degli U.S.A., della Gran Bretagna o della Francia, da secoli abituati a concedere l’integrazione agli immigrati sulla base di un rigido sistema di diritti e doveri inderogabile.

Come diceva il Grande Timoniere, le donne portano sulle spalle l’altra metà del cielo. Queste sono alcune delle donne che – dispiace dirlo – ci portiamo sulle spalle noi.

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