venerdì 21 settembre 2012

RENZIADE: Fenomenologia di Matteo Renzi

Diceva Thomas Paine che “il governo, nella migliore ipotesi, non è che un male necessario; nella peggiore, un male intollerabile". L’attivista radicale americano ideologo della ribellione delle colonie contro la madrepatria Inghilterra, scriveva per dare sostegno morale e filosofico all’azione intrapresa dai suoi compatrioti in rivolta contro il legittimo sovrano per diritto divino, come si diceva allora. Azione inaudita, per l’epoca, ma che poiché ebbe successo, passò alla storia come Rivoluzione Americana.
I suoi scritti, che per alcune posizioni allora ritenute estreme sconcertarono perfino i Giacobini francesi, oggi possono essere considerati patrimonio culturale comune di tutti i paesi che si ispirano ai valori che trionfarono con le due rivoluzioni americana e francese. Il principale, per l’appunto, si chiama Senso comune, come se l’autore preconizzasse che poiché le verità che affermava erano talmente evidenti e basate sul puro buonsenso, un giorno sarebbero state riconosciute per tali e poste a base della filosofia politica come postulati indiscutibili.
Il senso comune vuole che un governo, quando si pone come tirannico o comunque lontano dai desideri e bisogni del popolo, venga rovesciato dal popolo stesso. Dalle nostre parti, qualcosa del genere è stata affermata dal compianto ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che parlò esplicitamente dell’ammissibilità nel caso suddetto del ricorso a mazze e pietre.
Per il resto, sia il pensiero politico-filosofico, sostanzialmente fermo a Machiavelli ed al suo Principe, sia la mentalità spicciola e la prassi quotidiana del popolo italiano, sostanzialmente fermi a Masaniello e alle rivolte del pane dei Promessi Sposi (episodi fini a se stessi, nel mare magno dell’arte di arrangiarsi), non hanno consentito ai cittadini di questo paese grossi passi in avanti nel rapporto con i propri governanti, nonostante alcune conquiste ratificate dalla costituzione repubblicana.
Nel dopoguerra, stante la contrapposizione dei due blocchi occidentale e sovietico, abbiamo avuto una serie di governi che giustificavano la loro esistenza principalmente, e in alcuni momenti quasi esclusivamente, con la necessità di tenere lontano dal potere un’altra forza politica, il Partito Comunista, che si riteneva non compatibile con il sistema occidentale stesso, quando non addirittura asservito agli interessi dell’altro blocco.
Cosicché, un partito contraddittorio come la Democrazia Cristiana ha potuto governare ininterrottamente per quasi 50 anni senza mai correre o quasi il rischio di essere sconfitto per la semplice ragione che non esisteva alternativa. E’ rimasta celebre la frase di Indro Montanelli, che invitava i suoi lettori in occasione di ogni tornata elettorale a turarsi il naso ed andare a votare, per la DC o i suoi alleati, ovviamente.
Dopo un periodo iniziale caratterizzato dal grande carisma di Alcide De Gasperi e dalla grande paura
dell’Unione Sovietica guidata da Stalin, la DC ha protratto il proprio potere nel tempo nonostante la perdita progressiva di immagine causata da episodi di corruzione e di malgoverno conclamato che producevano altrettanti scandali, mai nessuno dei quali però decisivo, per la consapevolezza popolare che al governo non ci si ribella, al massimo gli si mugugna contro, ma da dietro le spalle. E poi perché, come si è detto, alternativa non c’era, o faceva comodo pensare che non ci fosse.
Finché l’ultimo di questi scandali, sfociato nell’inchiesta Mani pulite, poco dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda che misero fine alla giustificazione dell’anticomunismo, riuscì a spazzare via Democrazia Cristiana e Prima Repubblica, illudendo chi sperava in un cambiamento epocale che quel momento fosse arrivato.
Ma è proprio allora che quegli italiani hanno appreso - dai loro stessi concittadini - la lezione storica più importante, che poi consiste sempre in una sostanziale parafrasi della celebre frase che Giuseppe Tomasi di Lampedusa mette in bocca al personaggio principale del suo Gattopardo, il Principe di Salina: in questo paese, tutto cambia sempre perché nulla cambi veramente..
Apparve chiaro allora e lo è rimasto in seguito che qui si va sempre a votare non per l’alternativa migliore, ma per quella meno peggio. A DC e PCI successero da un lato un partito nato dalla trasposizione armi e bagagli in politica di una azienda privata e dei suoi interessi in conflitto, dall’altro una gioiosa macchina da guerra che dicevano avesse chiuso i conti con un passato dai risvolti abbastanza sinistri ma che sotto la quercia aveva ancora la falce ed il martello (e soprattutto, come ha dimostrato e dimostra tutt’ora ove ne ha la possibilità, poca o nessuna cultura amministrativa).
Una cosa accomuna sempre gli elettori di destra a quelli di sinistra in Italia: sono regolarmente costretti a turarsi il naso con forza per spuntare sulla scheda il nome di personaggi più o meno inguardabili con l’unica consolazione vera o presunta che quelli dall’altra parte sono anche peggio.
Nell’anno di grazia 2013, quando dicono che i poteri forti che governano l’Europa adesso consentiranno anche a questo Belpaese di tornare a votare (cosa per la quale, evidentemente, non eravamo pronti - o meritevoli - nel 2011), a quanto pare si riproporrà la stessa alternativa di sempre. Gli attori in gioco sono arcinoti, e tutti ormai abbondantemente indigesti ad un popolo che sta pagando duramente una crisi economica prodotta in buona parte dai suoi stessi governanti (con la sua acquiescenza). Qui interessa parlare del cosiddetto nuovo che avanza.
Scontata l'affermazione di Lega Nord e Movimento Cinque Stelle come catalizzatori del voto di protesta trasversale, il fenomeno chiave da monitorare sarà, una volta di più, quello di Matteo Renzi. L’uomo che esordì in pubblico nello studio televisivo di Mike Bongiorno, meriterebbe forse che Umberto Eco gli dedicasse (come fece per lo stesso Mike nel 1961 nel suo Diario minimo) uno studio di fenomenologia.
L’uomo che si schiera con Marchionne in un paese di sempre più disoccupati, l’uomo che vorrebbe far funzionare l’Italia e per il momento amministra la città più sporca e mal funzionante d’Italia, l’uomo che vorrebbe rottamare il Partito Democratico e che si candida dentro il Partito Democratico, che vorrebbe rottamare Berlusconi eppure deve tutto a Berlusconi, soprattutto il modo come buca lo schermo e si pone in sintonia con i sentimenti spesso inespressi della gente comune; quest’uomo si appresta a riscuotere una valanga di consensi, sorprendenti (adesso come quelli di vent’anni fa per Berlusconi) solo per chi analizza la politica dalle stanze della politica e dalle redazioni dei giornali, non tra la gente comune.
Per capire questo, basta sintonizzarsi per una settimana su una delle tante rubriche di approfondimento che la TV ci propone (e propina) quotidianamente. Dopo aver visto scorrere il Museo delle Cere (o degli Orrori) dei protagonisti della vita politica della Seconda Repubblica, dopo aver sentito dire a Vendola che stanno seriamente pensando di candidare Prodi al Quirinale, o a Rosy Bindi che nel programma di Renzi c’è solo l’attacco personale a lei (e viene da mordersi lingua e quant’altro ripensando alla celebre battutaccia di Berlusconi), o Bersani dire qualcosa che francamente non capiscono nemmeno al suo paese, o quelli del PDL dire che nel Consiglio Regionale del Lazio ci sono dei rubagalline (come 20 anni fa nel partito socialista c’erano dei mariuoli, abbiamo poi visto come è andata a finire), dopo aver sentito il decano sopravvissuto dei giornalisti Eugenio Scalfari pontificare su come Mario Monti sia il migliore dei presidenti del consiglio possibili, ecco che arriva Matteo Renzi.
Non dice altro che quello che sa che la gente, devastata da una crisi spaventosa e dai ricami sconcertanti che ci fanno sopra i suoi politici (che bruciano risorse come Maria Antonietta mangiava le brioches alle Tuileries), vuole sentirsi dire. Magari nonsense agghiaccianti, o posizioni contrarie a quel senso comune che da Tom Paine ad oggi anche in Italia ci eravamo abituati ad esercitare. Ma li dice con sicurezza e convinzione, o almeno così pare alla stessa gente.
Quando un popolo è abituato ad attendere l’Uomo della provvidenza, e ad andargli dietro se questo si
presenta al momento giusto, quando cioè la crisi morde le caviglie a sangue, quell’uomo sa che è solo
questione di tempo, di non fare gaffes come quella di Romney in America, e se non intervengono giochi strani, avrà la sua chance. E la coglierà. Non perde mai la sua sicurezza, o sicumera, Matteo Renzi. Vorrà pur dire qualcosa. 
Quanto ci manca Indro Montanelli…..

mercoledì 19 settembre 2012

Corso e Gianni si sono ritrovati al Bar Lux


Sono passati due anni da quando Corso Salani se n’è andato, tradito da un cuore che forse aveva speso troppo, dopo una vita spesa tutta senza risparmiarlo, quel cuore.
Mancava a tutti, Corso, soprattutto agli amici che lo conoscevano fin da ragazzo. Ma soprattutto mancava al suo amico del cuore, Giannino Lavacchini, con il quale aveva diviso gli anni migliori, quelli dei sogni, quelli in cui non ci si pongono limiti e non si ha data di scadenza, perché non ci si può nemmeno immaginare di averla.
A un certo punto, deve aver deciso Gianni che il suo amico gli mancava troppo, che era ora di rimettere insieme la coppia, e di ritrovarsi di nuovo da qualche parte come ai vecchi tempi a ragionare dell’ultimo disco di Lou Reed, o del concerto di Patti Smith…
Oppure è la vita che ha deciso per lui, per loro, credendo magari di far loro un piacere. Non lo so. Spero che non sia stata una “decisione” sofferta, un passaggio doloroso, ma magari solo un semplice viaggio in tram come quelli che facevamo tutti i giorni, per andare in Via Martelli o altrove..
Guardo la foto di quando avevano, avevamo tutti vent’anni. Non potrò fare altro che ricordarmeli così, al Bar Lux e dintorni. Consegnati ad una eternità che è quella della nostra giovinezza. Se chiudo gli occhi li rivedo ancora, quei giorni…… Franco e Mario dietro il bancone, dall’altra parte noi, seduti su quegli sgabelli, a quei tavolini a metà tra lo strapuntino del vagone ferroviario di seconda classe di allora e la mensa universitaria…….un caffè in cinque per giustificare una giornata trascorsa lì, a bivaccare, in attesa che la vita ci chiamasse, persi tra i sogni di un futuro che per Gianni e Corso si era anche realizzato, con lo sguardo buttato di fronte al portone di scuola, se era mattina, per vedere che nel frattempo non si materializzasse qualche incubo (noi le “forche” le facevamo lì, davanti scuola….. “a uscio”, come si dice a Firenze).
Se chiudo gli occhi….Corso, Giannino, il Pisa, Fede, il Mencio, Giangi, il Guerra, io non so nemmeno come mi chiamavano (e forse è meglio che non lo sappia), il Gimmy, il Poverino, il Rimbombato, la Pecci, la Gallori, l’Ilaria, la Rubino, il Pilo, il Fonta, la Pierallini, il Giackets…….il Tequila Party nel mezzo di strada dell’81….vestiti da donna sul “sette” per Fiesole……a vociare sotto casa di Federico o del Pisa…..il capodanno del 78 che si fece il lancio del giavellotto con i cartelli stradali in Via Lamarmora…….il ciao che si avviava a pedali, quando si avviava……..in Via de’ Biffi…..
Se chiudo gli occhi, siamo ancora giovani, e tutti insieme, a prendere per i fondelli l’omino che passava con il cartello “I tuoi figli hanno troppo”, o qualcosa del genere…..noi che eravamo ancora figli in attesa di diventare padri…..
Voglio pensare che Corso s’era avviato, e Gianni ha deciso di raggiungerlo, perché separati non potevano stare……. E che siccome nel frattempo Franco e Mario hanno riaperto il Bar Lux, su una nuvola d’oro del cielo qui sopra di noi, hanno fissato di vedersi lì, senza nemmeno telefonarsi (perché ai nostri tempi non c’erano i cellulari), così, per semplice intesa consolidata da una vita…..e a quest’ora si sono ritrovati e sono seduti sulle panche del Lux, uguali e scomode come sempre…….come saranno sempre uguali loro.
E come succedeva trent’anni fa, piano piano nel bar entrerà qualcun altro di noi e andrà a sedersi accanto a loro…..per trascorrere insieme la più bella eternità che potevamo immaginare. O anche soltanto sognare.

venerdì 14 settembre 2012

Addio a Novantesimo Minuto


E’ la fine di un’epoca, che ha caratterizzato la nostra storia sociale e familiare dai tempi della televisione in bianco e nero fino a quelli della pay TV. Addio Maurizio Barendson, Paolo Valenti (foto), Tonino Carino, Luigi Necco, Marcello Giannini. Addio anteprima dei gol segnati in una giornata di campionato giocata tutta insieme, o comunque ancora in gran parte, nel pomeriggio della domenica.
Si tornava a casa stanchi, infreddoliti o accaldati, incavolati o entusiasti. I babbi brontolavano i figlioli o perdonavano tutto a seconda se la squadra aveva perso o vinto. Ma la prima cosa era accendere il televisore per vedere Novantesimo minuto. Per rivedere quei gol che si erano soltanto intravisti magari da postazioni infelici allo stadio. O che erano stati segnati in altri campi, e si erano solo immaginati fino a quel momento nel racconto dei radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto. Ed erano altre incavolature, o altri entusiasmi. Il rigore per noi c’era, il gol di quell’altra no, manco per sogno... si arrivava all’ora di cena, e poi alla Domenica Sportiva serale ebbri di calcio, in una apoteosi che si rinnovava domenica dopo domenica, dal dopoguerra fino a poco tempo fa.
Ultimamente, con l’avvento delle pay-tv, la Rai e Mediaset (che si erano fatte guerra per anni) reggevano male la concorrenza miliardaria di Sky. Murdoch offriva spesso di più ad una Lega Calcio sempre più ingorda di introiti da riversare in un calcio sempre più costoso.
Allora la RAI – per esempio – si era inventata trasmissioni come Quelli che il Calcio, dove Fabio Fazio e Marino Bartoletti, con l’aiuto di immagini comunque prese dagli stadi e di ospiti estemporanei riuscivano comunque a restituire sensazioni in diretta a chi era costretto a casa e senza immagini, almeno fino al fatidico novantesimo minuto.
E’ tutto finito. Dal prossimo fine settimana, chi non è abbonato Sky vedrà i gol soltanto la sera tardi. La multinazionale televisiva del magnate australiano Murdoch si è aggiudicata i diritti di trasmissione in chiaro delle immagini sportive per il triennio 2012-15 del campionato italiano di calcio. Chi ha il decoder, alle sei vedrà i gol, gli altri aspetteranno la notte sulle altre reti. L’asta ha fruttato alla Lega Calcio 3,2 milioni di euro l’anno, che uniti ai proventi di altri diritti consente complessivamente al presidente della Lega Maurizio Beretta di mantenere la promessa di un miliardo di euro l’anno da distribuire alle varie società affiliate alla Lega (serie A e serie B).
Si può discutere sulla opportunità e sulla moralità di certe cifre, e non da oggi. Si può discutere se questo Calcio non sia diventato un business a livelli troppo vertiginosi, nel bel mezzo di una crisi economica che sta stringendo alla gola la nostra società. Si può ragionare sulla efficacia dell’azione dei vari governi di fronte all’effettivo peso economico delle multinazionali che gestiscono vari servizi, tra cui quello televisivo. Sta di fatto che è un altro pezzo non solo di storia, ma anche di produttività italiana che se ne va.
Con la stessa sfiducia nel sistema-paese con cui si è scelto di non partecipare alla selezione per la città ospitante le Olimpiadi 2020 (con Roma che era praticamente in pole position, per crediti acquisiti in passato), così si sceglie di non investire più nei servizi pubblici, tra i quali la RAI. La spending review colpisce sistematicamente prodotti italiani di qualità, a beneficio innegabile di potenze economiche estere. A raccontare un calcio italiano dove ormai gli italiani non giocano quasi più, sarà d’ora in poi una televisione australiana.
Qualcuno ironizzava sul web sulla somiglianza fra la signora Anna Maria Tarantola, fresca nominata ai vertici di Viale Mazzini, ed il presidente del consiglio Mario Monti. Senza scomodare Lombroso o Crozza, si può affermare che c’è una somiglianza di attitudine mentale. I banchieri lasciati a se stessi non hanno mai risollevato le sorti né di una singola azienda né di un paese intero. Addio Novantesimo Minuto. Hai reso la nostra infanzia in bianco e nero molto piacevole. E molto più colorata di questa nostra vita di adesso.

lunedì 10 settembre 2012

DIARIO OLIMPICO: Addio Londra, si spegne anche la fiaccola paralimpica


LONDRA - Anche i Giochi Paralimpici lasciano Londra, la fiaccola si è spenta definitivamente. I giochi si chiudono con un risultato sorprendente per l’Italia: 28 medaglie, le stesse conquistate dalla nazionale normodotata. E’ un pareggio storico, in un paese dove i portatori di handicap patiscono ancora le conseguenze di ritardi culturali e strutturali, dove le barriere architettoniche vengono abbattute con fatica e i servizi latitano o sono carenti, e semmai qui il pareggio avviene al ribasso, nel senso che ormai la carenza riguarda tutti i cittadini, qualunque sia la loro condizione.
Con soli 97 atleti a fronte dei 300 normodotati, l’impresa della nazionale paralimpica salta ancora di più agli occhi. 10 medaglie in più rispetto a Pechino, 13° posto assoluto nel medagliere, un salto di qualità pari solo all’audience che questi giochi hanno avuto tra il popolo degli spettatori (un grazie alla RAI, tante altre volte carente nella copertura di eventi sportivi, stavolta è d’obbligo), segno che qualcosa finalmente si sta veramente muovendo, non soltanto nel movimento atletico paralimpico ma soprattutto nelle coscienze di tutti i cittadini.
Come al solito, è più facile tracciare un bilancio tecnico (straordinariamente positivo, come si è detto) che emotivo. Difficile dire quale dei gesti tecnici o delle medaglie vinte o degli scorci di vita resterà maggiormente nel cuore di chi ha seguito i giochi: da Zanardi alla Minetti (che già erano personaggi meritatamente alla ribalta) a tutti gli sconosciuti atleti che hanno vinto o anche solo partecipato, e che adesso – anche in questo perfettamente alla pari dei colleghi normodotati di tante discipline - si spera che non ritornino completamente nell’oblio per i prossimi quattro anni.
Da un punto di vista esclusivamente storico, forse l’immagine simbolo l’ha regalata una volta di più lui, Oscar Pistorius. A Pechino fu l’Usain Bolt della situazione, vincendo tutto. Stavolta ha dovuto abdicare nei 100 e 200 metri, proprio nell’anno in cui ha ottenuto la sua vittoria più grande: l’ammissione ai Giochi Olimpici. Il secondo posto non sminuisce certo la statura né umana né sportiva di quest’uomo, che resterà nella storia non solo sportiva di questi anni. «Il mondo intero ha visto che il livello dello sport paralimpico è veramente alto», ha detto.
E’ vero, ed è ora di accorgersene per tutti, che abbiano seguito questi straordinari giochi o meno. Il premio per l’atleta paralimpico che va a medaglia per esempio, è esattamente la metà di quello dell’atleta olimpico. Per la parità effettiva, c’è ancora strada da fare, ed è ora di farla.

mercoledì 5 settembre 2012

DIARIO OLIMPICO: Paralimpiadi, Annalisa Minetti, la donna che ”vede con il cuore”



LONDRA - La storia è di quelle che sembrano fatte apposta per affascinare e commuovere il grande pubblico. Ma non è una storia costruita in laboratorio, o sul tavolo di uno scrittore-sceneggiatore, o in un set televisivo. E’ una storia vera, che parla - come tutte quelle degli atleti che stanno partecipando alle Paralimpiadi di Londra 2012 - di coraggio, forza di volontà, classe indiscussa. Di una vita che sta restituendo
quanto e più di quello che ha tolto in principio.
Annalisa Minetti è diventata non vedente a 18 anni, l’età in cui si comincia a realizzare i sogni fatti nell’adolescenza, o almeno ci si prova. Dopo le scuole superiori e l’avvio di una carriera di artista di pianobar, si scoprì ammalata di retinite pigmentosa e degenerazione maculare, malattie che la condussero gradualmente alla cecità. Luci ed ombre durante il giorno, buio completo di notte.
Non avere più la fortuna di poter ammirare la bellezza del mondo che la circondava, né di poter cogliere visivamente l’entusiasmo della gente che assisteva alle sue esibizioni, e neppure avere più un’idea del proprio aspetto e di quanto potesse essere e mantenersi gradevole con gli anni, tutto ciò non le impedì di continuare a coltivare e realizzare sogni di una carriera artistica.
Nel 1997 fece il suo esordio alla ribalta nazionale in occasione del Concorso per Miss Italia, arrivando tra le prime dieci. Ma siccome la bellezza era probabilmente il minore, o il meno interessante per lei, dei suoi talenti, eccola partecipare l’anno dopo al Festival di Sanremo, e questa volta vincere (sia tra le Nuove Proposte sia nella classifica principale), con la canzone Senza te o con te. Perché la voce è un altro dei doni di cui la natura l’ha dotata, a risarcimento della sua menomazione.
Per una donna abituata a convivere con questo handicap e a non soccombergli, poteva essere sufficiente. Anni di soddisfazioni artistiche sia canore che teatrali l’hanno accompagnata fino al 2008, quando si è sposata e ha avuto un figlio. Ma proprio allora Annalisa ha deciso – a 32 anni – di aggiungere un altro incredibile capitolo alla sua bella storia decidendo di dedicarsi all’Atletica paralimpica. E ricevendo anche in questo campo la conferma di essere una persona speciale, oltre che un carattere d’acciaio.
Corre nella vita Annalisa, e corre anche in pista. La specialità in cui è risultata eccellere sono gli 800 metri classe T11 (non vedenti). Si corre con una guida, in genere un ex atleta normodotato, a cui l’atleta paralimpico è unito da un bracciale e da cui riceve la direzione in corsia. A Londra ancora gli 800 non sono presenti come disciplina paralimpica, e pertanto Annalisa ha dovuto cimentarsi nei 1500 metri classe T12 (ipovedenti), correndo quindi con atleti dotati di handicap inferiore e che non necessitano una guida. Risultato, terza assoluta e medaglia di bronzo, con record del mondo non vedenti in 4’48’’88, dietro a due atlete ipo.
Ad una prestazione che fa di lei una leggenda dello sport oltre che un esempio di dove può arrivare l’essere umano quando è sorretto da una personalità come la sua, ha fatto seguito una bellissima dichiarazione: «Tutto è possibile, io ne sono la dimostrazione. Rappresento un movimento di persone che vogliono essere ascoltate, e trattate come atleti, e vorrei che tanti atleti del passato potessero unirsi alle nostre guide per dare una mano».
Sarebbe davvero bello che lo facessero. Sarebbe davvero bello se Annalisa potesse vedere quello che ha fatto, e l’entusiasmo e la commozione che ha suscitato in tutti noi.

martedì 4 settembre 2012

RENZIADE: Matteo Renzi, lo Stil Novo che avanza

Chi lo ha visto in maglia viola allo stadio, sa che ormai la questione è arrivata ad un punto di non ritorno. Nella Tribuna Autorità, di solito, le cosiddette Autorità sono solite portare i figli più o meno piccoli con indosso la maglia della squadra, e questo è normale, percepito come tale, ed anche simpatico, come tutto ciò che è legato all’infanzia.
Lui è andato oltre, come sempre. Quando si è presentato, la maglietta la indossava lui, con tanto di numero e nome approntati dalla solerte società viola, e siccome a volte la fortuna aiuta i molto audaci, poiché la Fiorentina ha vinto, ha finito per scrivere un’altra pagina spettacolare della sua storia personale e del suo ancora più personale modo di fare il Sindaco di Firenze.
Matteo Renzi non è fatto per unire. O lo ami, o lo detesti. Dal giorno in cui si è affacciato sulla scena della vita politica prima cittadina e poi nazionale, l’ha trasformata in uno show di cui è il protagonista assoluto, riducendo a comprimario chiunque lo affianchi o lo affronti. Capace di rubare la scena a Roberto Benigni, a Cesare Prandelli, a Vittorio Sgarbi, perfino a Silvio Berlusconi (che di scene se ne intende), Renzi buca lo schermo come pochi altri.
Della politica c’è da chiedersi cosa abbia capito, della comunicazione ha sicuramente capito tutto, e sembra più che mai intenzionato – e capace – di ripetere la parabola del suo predecessore, il Grande Comunicatore di Arcore. Ma l’uomo di Arcore, al confronto, pare demodé, superato. Non si è mai visto con la maglietta del Milan addosso.
Barzellette sì, ne racconta, ma non più sfacciate di quelle di Benigni. Non ha mai premiato nessuno, finendo tra l’altro per tenersi lui il vero premio. Non ha mai scritto libri. Perlomeno non libri che riscrivono la storia della letteratura e della politica italiana (altri l’hanno fatto per lui, se mai). Renzi fa tutto questo e anche di più.


La sua ultima fatica letteraria tra l’altro è un testo chiave, per capire non solo l’autore, ma anche il destino dell’Italia che egli s’appresta a girare in campagna elettorale a bordo dei due camper appena affittati. Si, perché il nostro – primarie del PD o no –ha deciso, scende in campo, e se la sorte gli arriderà (in Italia la sorte è poco esigente, arride facilmente), governerà quell’Italia con la stessa verve dimostrata nell’amministrazione del capoluogo toscano.
Magari sfilandosi la maglia viola per indossare quella azzurra. Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter. Già il titolo dovrebbe far pensare (c’è tempo fino all’ultimo momento, nella cabina elettorale): il Sindaco che studia da Presidente del Consiglio, e che per conseguire questo salto di qualità ha deciso di virare verso un look e un atteggiamento giovanilista estremo, condivide con la generazione che più lo intriga rappresentare un quantomeno singolare approccio culturale verso il passato, frutto anche di decenni di pubblica istruzione tra il devastante e il compiacente.
Nel libro, se poi si ha il coraggio di sacrificare preziosi momenti di vita e di sfogliarlo, si trova tutto lo Zibaldone (programma pare una parola grossa) del Sindaco che twitta. I grandi personaggi del Medioevo fiorentino erano modelli di virtù, senza bisogno di partiti o sindacati che non rappresentano nessuno o servono a nulla, con un Welfare State perfettamente funzionante grazie alle Dame di Carità, con nobili signori che sapevano quando era il momento di rottamarsi a favore dei giovani (nessuna menzione ovviamente di tecnologie alternative quali la congiura, l’avvelenamento, l’accoltellamento, ma son dettagli), con altrettanto nobili re che facevano fallire le banche non pagando i debiti al contrario di quanto succede oggi (che nessuno paga i debiti, ma falliscono gli Stati), et similia.
Colpisce il fatto che nessuno degli esempi portati dal Renzi sia successivo all’ancien régime, ma d’altra parte si parla di bellezza e di stil novo ed è noto a tutti coloro che condividono l’impostazione culturale del Sindaco, o semplicemente come lui hanno fatto il Boy Scout, che l’umanità dopo la rivoluzione francese ha prodotto veramente poco in ogni campo.
Dal Big Bang con cui presentò alla Leopolda la sua tempesta di idee alle pacche sulle spalle con un Della Valle altrettanto aperto alle nuove tendenze, passando per la poetica di un Dante che chissà cosa starà facendo nella tomba e una pagina di Facebook dove si parla di tutto con pari disinvoltura ed altrettanto costrutto (e dove gli si può chiedere di tutto, subito qualche solerte sostenitore risponderà al posto suo), Matteo Renzi si è candidato a diventare il Baden Powell d’Italia.
I Boy Scout, fedeli al loro motto, sono sempre pronti, e anche molti ex PCI-PDS-DS in crisi di identità. Personaggi in cerca d’autore a cui nessuno ha saputo spiegare perché devono sostenere Monti e le sue lacrime ed il suo sangue (e senza nemmeno le Dame di Carità del Renzi), ma che non possono fare a meno – per propria abitudine mentale - di seguire insegnamenti ed orme di un nuovo Grande Timoniere e della sua dottrina.
E’ stata una lunga strada quella di Renzi. Mentre allagava il pubblico italiano di trasmissioni televisive a 360°, il pubblico fiorentino ha visto la propria città allagata diverse volte a causa della pioggia e di tombini poco collaborativi, e una volta addirittura trasformata dalla neve nella New York di The Day After Tomorrow. Ma il nostro ha idee e soluzioni brillanti, l’ha dimostrato, e così ha celermente provveduto: gli ultimi allagamenti non sono colpa sua, ma delle municipalizzate alle quali ha trasferito la responsabilità. Chi va sott’acqua, e poi gli punge vaghezza di twittare o condividere su facebook delle rimostranze (e qualche improperio) sulla pagina del Sindaco, che almeno si documenti prima, e che diamine!
E ogniqualvolta le previsioni meteo hanno indicato neve, le truppe del Comune con tanto di spargisale sono sfilate in parata in Piazza della Stazione (rispettando anche la ZTL), come una volta succedeva a Mosca il 7 novembre. La neve, va detto, intimorita, non ha avuto più il coraggio di farsi viva. Perché Renzi è uno che studia, impara e rielabora.
Se la magistratura indaga sulle sue assunzioni facili al tempo della Provincia, o sulla gestione allegra dei finanziamenti della Margherita da parte di Lusi e di chi ne ha beneficiato, allora è il momento di inserire nel programma la riforma della Giustizia, addirittura come priorità. La sua canzone preferita attualmente è We take care of our own, di Bruce Springsteen. Tradotta in fiorentino, mi preoccupo del mio.

Non si sa qual è stata la reazione del Boss alla notizia. La sua ultima parola d’ordine è esportare il modello fiorentino a livello nazionale. Non è dato sapere quanti fiorentini apprezzano e ringraziano, ma è facile pensare che molti, ritenendo di avere già dato, sperano. Non sarebbe la prima volta che Firenze si libera dei suoi problemi spedendoli a Roma. Padre Dante & C. insegnano.