Diceva Thomas Paine che “il governo, nella migliore ipotesi, non è che un male necessario; nella peggiore, un male intollerabile". L’attivista radicale americano ideologo della ribellione delle colonie contro la madrepatria Inghilterra, scriveva per dare sostegno morale e filosofico all’azione intrapresa dai suoi compatrioti in rivolta contro il legittimo sovrano per diritto divino, come si diceva allora. Azione inaudita, per l’epoca, ma che poiché ebbe successo, passò alla storia come Rivoluzione Americana.
I suoi scritti, che per alcune posizioni allora ritenute estreme sconcertarono perfino i Giacobini francesi, oggi possono essere considerati patrimonio culturale comune di tutti i paesi che si ispirano ai valori che trionfarono con le due rivoluzioni americana e francese. Il principale, per l’appunto, si chiama Senso comune, come se l’autore preconizzasse che poiché le verità che affermava erano talmente evidenti e basate sul puro buonsenso, un giorno sarebbero state riconosciute per tali e poste a base della filosofia politica come postulati indiscutibili.
Il senso comune vuole che un governo, quando si pone come tirannico o comunque lontano dai desideri e bisogni del popolo, venga rovesciato dal popolo stesso. Dalle nostre parti, qualcosa del genere è stata affermata dal compianto ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che parlò esplicitamente dell’ammissibilità nel caso suddetto del ricorso a mazze e pietre.
Per il resto, sia il pensiero politico-filosofico, sostanzialmente fermo a Machiavelli ed al suo Principe, sia la mentalità spicciola e la prassi quotidiana del popolo italiano, sostanzialmente fermi a Masaniello e alle rivolte del pane dei Promessi Sposi (episodi fini a se stessi, nel mare magno dell’arte di arrangiarsi), non hanno consentito ai cittadini di questo paese grossi passi in avanti nel rapporto con i propri governanti, nonostante alcune conquiste ratificate dalla costituzione repubblicana.
Nel dopoguerra, stante la contrapposizione dei due blocchi occidentale e sovietico, abbiamo avuto una serie di governi che giustificavano la loro esistenza principalmente, e in alcuni momenti quasi esclusivamente, con la necessità di tenere lontano dal potere un’altra forza politica, il Partito Comunista, che si riteneva non compatibile con il sistema occidentale stesso, quando non addirittura asservito agli interessi dell’altro blocco.
Cosicché, un partito contraddittorio come la Democrazia Cristiana ha potuto governare ininterrottamente per quasi 50 anni senza mai correre o quasi il rischio di essere sconfitto per la semplice ragione che non esisteva alternativa. E’ rimasta celebre la frase di Indro Montanelli, che invitava i suoi lettori in occasione di ogni tornata elettorale a turarsi il naso ed andare a votare, per la DC o i suoi alleati, ovviamente.
Dopo un periodo iniziale caratterizzato dal grande carisma di Alcide De Gasperi e dalla grande paura
dell’Unione Sovietica guidata da Stalin, la DC ha protratto il proprio potere nel tempo nonostante la perdita progressiva di immagine causata da episodi di corruzione e di malgoverno conclamato che producevano altrettanti scandali, mai nessuno dei quali però decisivo, per la consapevolezza popolare che al governo non ci si ribella, al massimo gli si mugugna contro, ma da dietro le spalle. E poi perché, come si è detto, alternativa non c’era, o faceva comodo pensare che non ci fosse.
Finché l’ultimo di questi scandali, sfociato nell’inchiesta Mani pulite, poco dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda che misero fine alla giustificazione dell’anticomunismo, riuscì a spazzare via Democrazia Cristiana e Prima Repubblica, illudendo chi sperava in un cambiamento epocale che quel momento fosse arrivato.
Ma è proprio allora che quegli italiani hanno appreso - dai loro stessi concittadini - la lezione storica più importante, che poi consiste sempre in una sostanziale parafrasi della celebre frase che Giuseppe Tomasi di Lampedusa mette in bocca al personaggio principale del suo Gattopardo, il Principe di Salina: in questo paese, tutto cambia sempre perché nulla cambi veramente..
Apparve chiaro allora e lo è rimasto in seguito che qui si va sempre a votare non per l’alternativa migliore, ma per quella meno peggio. A DC e PCI successero da un lato un partito nato dalla trasposizione armi e bagagli in politica di una azienda privata e dei suoi interessi in conflitto, dall’altro una gioiosa macchina da guerra che dicevano avesse chiuso i conti con un passato dai risvolti abbastanza sinistri ma che sotto la quercia aveva ancora la falce ed il martello (e soprattutto, come ha dimostrato e dimostra tutt’ora ove ne ha la possibilità, poca o nessuna cultura amministrativa).
Una cosa accomuna sempre gli elettori di destra a quelli di sinistra in Italia: sono regolarmente costretti a turarsi il naso con forza per spuntare sulla scheda il nome di personaggi più o meno inguardabili con l’unica consolazione vera o presunta che quelli dall’altra parte sono anche peggio.
Nell’anno di grazia 2013, quando dicono che i poteri forti che governano l’Europa adesso consentiranno anche a questo Belpaese di tornare a votare (cosa per la quale, evidentemente, non eravamo pronti - o meritevoli - nel 2011), a quanto pare si riproporrà la stessa alternativa di sempre. Gli attori in gioco sono arcinoti, e tutti ormai abbondantemente indigesti ad un popolo che sta pagando duramente una crisi economica prodotta in buona parte dai suoi stessi governanti (con la sua acquiescenza). Qui interessa parlare del cosiddetto nuovo che avanza.
Scontata l'affermazione di Lega Nord e Movimento Cinque Stelle come catalizzatori del voto di protesta trasversale, il fenomeno chiave da monitorare sarà, una volta di più, quello di Matteo Renzi. L’uomo che esordì in pubblico nello studio televisivo di Mike Bongiorno, meriterebbe forse che Umberto Eco gli dedicasse (come fece per lo stesso Mike nel 1961 nel suo Diario minimo) uno studio di fenomenologia.
L’uomo che si schiera con Marchionne in un paese di sempre più disoccupati, l’uomo che vorrebbe far funzionare l’Italia e per il momento amministra la città più sporca e mal funzionante d’Italia, l’uomo che vorrebbe rottamare il Partito Democratico e che si candida dentro il Partito Democratico, che vorrebbe rottamare Berlusconi eppure deve tutto a Berlusconi, soprattutto il modo come buca lo schermo e si pone in sintonia con i sentimenti spesso inespressi della gente comune; quest’uomo si appresta a riscuotere una valanga di consensi, sorprendenti (adesso come quelli di vent’anni fa per Berlusconi) solo per chi analizza la politica dalle stanze della politica e dalle redazioni dei giornali, non tra la gente comune.
Per capire questo, basta sintonizzarsi per una settimana su una delle tante rubriche di approfondimento che la TV ci propone (e propina) quotidianamente. Dopo aver visto scorrere il Museo delle Cere (o degli Orrori) dei protagonisti della vita politica della Seconda Repubblica, dopo aver sentito dire a Vendola che stanno seriamente pensando di candidare Prodi al Quirinale, o a Rosy Bindi che nel programma di Renzi c’è solo l’attacco personale a lei (e viene da mordersi lingua e quant’altro ripensando alla celebre battutaccia di Berlusconi), o Bersani dire qualcosa che francamente non capiscono nemmeno al suo paese, o quelli del PDL dire che nel Consiglio Regionale del Lazio ci sono dei rubagalline (come 20 anni fa nel partito socialista c’erano dei mariuoli, abbiamo poi visto come è andata a finire), dopo aver sentito il decano sopravvissuto dei giornalisti Eugenio Scalfari pontificare su come Mario Monti sia il migliore dei presidenti del consiglio possibili, ecco che arriva Matteo Renzi.
Non dice altro che quello che sa che la gente, devastata da una crisi spaventosa e dai ricami sconcertanti che ci fanno sopra i suoi politici (che bruciano risorse come Maria Antonietta mangiava le brioches alle Tuileries), vuole sentirsi dire. Magari nonsense agghiaccianti, o posizioni contrarie a quel senso comune che da Tom Paine ad oggi anche in Italia ci eravamo abituati ad esercitare. Ma li dice con sicurezza e convinzione, o almeno così pare alla stessa gente.
Quando un popolo è abituato ad attendere l’Uomo della provvidenza, e ad andargli dietro se questo si
presenta al momento giusto, quando cioè la crisi morde le caviglie a sangue, quell’uomo sa che è solo
questione di tempo, di non fare gaffes come quella di Romney in America, e se non intervengono giochi strani, avrà la sua chance. E la coglierà. Non perde mai la sua sicurezza, o sicumera, Matteo Renzi. Vorrà pur dire qualcosa.
Quanto ci manca Indro Montanelli…..
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